Il paradosso del mistero pasquale

di: Maria de falco Marotta

Il  mistero pasquale è così centrale nella vita del cristiano, che non meraviglia più il vedere a Piazza s. Pietro- la Domenica delle Palme- migliaia e migliaia di fedeli, arrivati da tutto il mondo per celebrare- assieme al Papa- la festa della gioventù, ma anche L’inizio della Settimana Santa che ripropone - anno dopo anno,- la Via Crucis, cioè la Passione e Morte di Gesù Cristo, figlio di Dio. Hanno intervistato l’attore (ormai vecchio, sono più di 40 anni che interpreta Jesus) e gli hanno chiesto se è stanco di tale ruolo. Si è meravigliato di tale domanda (dagli italiani era facile aspettarselo, perché spesso ci “stufiamo“ di tutto) e ha detto con tanta semplicità che Jesus gli ha cambiato la vita.

Il nostro augurio è che la cambi a tanti di noi che arranchiamo nella povertà dell’oggi, nella miseria di sentimenti e di amore, mentre- in realtà- Gesù Cristo è solo Amore per tutti. Jesus Christ Superstar in questo mondo che ti tradisce giorno dopo giorno, che uccide gli innocenti, peggio che al tempo di Erode, che maltratta le sue compagne di vita, che sta riducendo il Creato un mucchio di rovine, aiutaci a trovare la strada che porta a te e che ci fa voler bene come fratelli.

Ho amato in modo particolare il teologo  Hans Urs von Balthasar, e del suo pensiero,  ripropongo un suo stimolo per il cammino intellettuale e spirituale del cristiano in questo tempo di Pasqua.

“Il messaggio cristiano è gioia”

«L’evento cristiano comincia con l’incarnazione annunciata come la “grande gioia” (Lc 2, 10). [...] L’evento sfocia nella grande gioia e meraviglia della risurrezione (Lc 24, 41) e del ritorno al Padre (Lc 24, 55)»2.

E’ solo alla luce del mistero pasquale che si riesce ad intuire l’originalità della gioia cristiana e quanto il messaggio cristiano sia messaggio di gioia. «La vita e la passione di Cristo ricevono la loro giustificazione a partire dalla Pasqua, e la missione della Chiesa di annunciare questa universale giustificazione di Dio nel mondo con l’evento pasquale, resta una missione di gioia», nonostante il dramma della sofferenza.

Von Balthasar sottolinea come il messaggio delle beatitudini esprime questo paradosso della gioia cristiana: « nessuna gioia è  profonda senza sacrificio delle felicità superficiali; non soltanto sul piano individuale, ma anche sociale: il singolo può rinunciare a se stesso con gioia per il bene comune [...]», tuttavia, non nel senso hegeliano-marxista di un sacrificio della persona, bensì con la coscienza di essere amato ed eternamente affermato come persona. E questo, a partire dalla luce che scaturisce esplicitamente dalla buona novella della Risurrezione. E’ il sì filiale che diviene il paradigma d’interpretazione dell’atteggiamento cristiano davanti alla gioia e alla croce: «Il sì alla sofferenza e alla notte ha la sua ultima giustificazione nella cristologia: in un sì del Figlio alla volontà del Padre che ha potuto essere pronunciato soltanto nella gioia e non nel lamento». In tal modo von Balthasar ci svela la dimensione trinitaria del mistero della sofferenza. Dietro il sì del Figlio alla volontà del Padre sta il cuore del Padre, un Padre che deve essere d’accordo già prima con le sofferenze dell’amato. La gioia cristiana include dunque nel suo centro la croce. Von Balthasar ha meditato a lungo sulla dialettica cristiana della gioia e della croce, mostrando come questa dialettica rimanda a un mistero nel cuore stesso di Dio, e si chiede: «Non potrebbe la gioia divina essere così grande e così profonda da tollerare di albergare in sé il grido dell’abbandono di Dio senza esserne offuscata?»

“La Chiesa è fondata, inviata, congedata a partire dalla Pasqua”

Il messaggio cristiano di gioia che nasce dalla Risurrezione di Cristo è manifestato al mondo mediante la Chiesa. Infatti, il paradosso della gioia e della croce accompagna la vita della Chiesa perché è a partire dal Risorto che la Chiesa attinge la sua vita, la sua forma, estranea a questo mondo che passa. Von Balthasar non manca di riflettere sul mistero della Chiesa che conserva, come un mistero d’amore, nel suo centro il venerdì santo e il sabato santo0: «[…] una Chiesa che ama marcia sempre, con il sì mariano-giovanneo, anche in direzione della croce [...]». E una tale Chiesa può solo essere «“tenda” di un popolo pellegrinante» che, in quanto corpo di Cristo, obbedisce alla legge di Cristo.

La norma di Cristo è una norma oggettiva che determina la soggettività del cristiano e dunque anche l’esperienza della sua sofferenza soggettiva: «La Chiesa nella sua totalità, nella misura in cui essa è realmente (attraverso l’Eucaristia) corpo di Cristo, deve essere crocifissa con il suo capo e, in primo luogo, senza considerare la sofferenza soggettiva dei cristiani, ma grazie al semplice fatto della loro esistenza e della logica della fede». Infatti, von Balthasar ricorda che il peccatore, in quanto peccatore. è appeso alla croce di Cristo, e ciò realmente: «“Cristo muore della morte del mio peccato”, mentre io, al di là di me stesso, raggiungo in questa morte la vita dell’amore di Dio». Il cristiano porta dunque non la sua sofferenza, bensì la sofferenza di morte del Cristo. Perciò il cristiano, secondo l’apriorità e l’oggettività di questo essere con-crocifissi, deve orientare la sua soggettività.

Esistenza nel mistero pasquale

La gioia di Pasqua nasce dalla vittoria dell’amore sul peccato, alla quale il cristiano è chiamato a partecipare non solo come spettatore, ma come collaboratore della Gloria dell’amore. Vivere una esistenza pasquale significa vivere, con Cristo e in Cristo, il paradosso della gioia e della sofferenza. Il cristiano può «dire, con Dio e in Dio, sì al dolore nella gioia e a un dolore che ha, ciononostante, la profondità dell’abbandono di Dio. Anche Dio lo fa, e in ciò è un mistero del suo amore». Von Balthasar ricorda che l’esistenza cristiana «resta avvolta nel mistero insolubile del periodo “intermedio”, tra la dipartita e il ritorno del Signore. [...] la comprensione della Chiesa del rapporto tra la croce e la gioia si colloca all’interno del mistero della croce dello stesso Gesù, il quale soltanto in forza del suo rapporto filiale, diretto, con Dio Padre può assaporare sino in fondo l’abbandono totale del Padre».

Non è dolorismo. Non è rifiuto di una gioia terrena che Dio offre all’uomo. Ma è una esistenza capace di unire nella gioia della Risurrezione i dolori e le gioie quotidiane. L’atteggiamento ad assumere nella sofferenza è quello di Cristo: «Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi» (1 Pt 4, 12s). L’elemento alienante della sofferenza diviene pegno, anzi presenza velata della gioia escatologica. Inoltre «nella misura in cui la sofferenza e la prova sono una partecipazione del cristiano a Cristo, devono anche poter essere trasmesse ad altri: l’esperienza acquisita del dolore non è una cosa privata, ma deve essere valorizzata nella comunione dei santi, e ciò in duplice maniera: rendere possibile un’altra esperienza di dolore di tipo cristiano, confortare e lenire durante queste prove». Ma non è tutto. Il paradosso non è gioia e sofferenza, ma gioia e croce, cioè croce come via di liberazione dai peccati. E’ quindi una gioia nella quale si esprime la gioia per la liberazione dal peccato: «Si tratta ad ogni modo di una gioia che non si può adagiare, soddisfatta, su nessuno dei beni terreni, ma che anche nell’autentico godimento tiene davanti agli occhi l’amore di Cristo, quale si manifesta nella Chiesa».

Von Balthasar ricorda come l’esistenza pasquale è una esistenza feconda nella forza di Cristo che concorre ad una fecondità non sempre visibile, ma ben reale, come lo rivela l’impegno dei santi: «In quanto impegno nella preghiera pura, nella notte della croce, nella sofferenza nascosta, esso può essere molto più fruttuoso di ciò che si verifica visibilmente […]»

Seguendo il pensiero di von Balthasar in questo tempo della Risurrezione di Cristo possiamo essere riportati, mediante il mistero della Risurrezione, al centro della nostra fede cristiana, fede che diventa vita nella Vita del Risorto. Vivere una vita pasquale significa vivere nella gioia della fecondità della Croce, secondo la logica dell’amore, una pro-esistenza eucaristica; significa amare dell’amore stesso di Dio e conoscere l’autentica gioia filiale di chi accetta di essere con-crocifisso con Cristo. Il pensiero di von Balthasar ci aiuta ad integrare il mistero della Passione nel Mistero della Passio caritatis di Dio, evitando una concezione estrinseca della Croce che porta sia a svuotarla del suo significato che a leggerla in modo riduttivo(cfr.  Prof. Dr. André-Marie Jerumanis).

La morte dell’uomo alla luce del Mistero Pasquale.

Nella discesa agli inferi, Cristo si mostra come il Signore dell’Ade. Egli non solidarizza semplicemente con l’umanità peccatrice ma porta nel regno dei refaìm l’annuncio della vittoria ormai compiuta sul peccato e sulla morte. Il suo discendere testimonia ulteriormente che non c’è spazio al di fuori della sua portata, ma tutto reca i segni del suo passaggio e nulla mai è definitivamente irrecuperabile. Cristo si pone come evento decisivo della storia della salvezza. Egli segna la fine dell’Ade e apre le porte dell’Inferno, come possibilità di eterna dannazione: dinanzi a Cristo l’uomo è chiamato a prendere una decisione, che ormai ha il carattere della definitività. L’ultima tappa è la Pasqua: il giorno della Resurrezione6. Per la Chiesa, l’affermazione fondamentale è la resurrezione di Cristo, i cui principali significati teologici sono il suo carattere di unicità, la sua connotazione trinitaria, la necessità della autotestimonianza del Cristo Risorto. La Resurrezione è la condizione fondamentale, che va messa prima di tutto, perché soltanto essa ci permette di comprendere adeguatamente il significato della morte di Cristo. L’Incarnazione è funzionale alla Passione, ma la Passione, senza Resurrezione, non dice niente: la morte in croce e la discesa agli inferi sarebbero un nulla se non ci fosse la Resurrezione. la Chiesa ha da sempre avuto coscienza che l’affermazione della Resurrezione di Cristo è fondamentale: da un lato essa l’ha sempre intesa come una realtà oggettiva8, dall’altro essa sa che questa affermazione è possibile solo nella fede. La Chiesa non ha mai parlato della resurrezione in maniera distanziata o non impegnativa, ma sempre con commozione e nella nfessione. Questa affermazione è fondamento della Chiesa, infatti se Cristo non fosse risorto non si darebbe né Chiesa e né fede. È impossibile eliminare dal centro della fede cristiana la Resurrezione di Cristo ed è soltanto qui che ricevono il loro peso l’esistenza terrena di Gesù e la sua croce. La testimonianza più antica della Resurrezione è la formula di fede di Paolo ai Corinti: “...che Cristo è morto... e che è stato resuscitato il terzo giorno...” (1Cor 15,3-5). Questa citazione, insieme ad altri testi, ci avverte della oggettività con cui è stata creduta da subito la Resurrezione di Cristo. Ogni mitizzazione9 della Resurrezione condurrebbe ad una eliminazione del significato della croce per la redenzione e tra il Dio grazioso, che dona la grazia, e l’io gratificato, che accoglie la grazia, verrebbe a scomparire la mediazione oggettiva di Cristo. La filosofia può parlare della croce in maniera molteplice. Se essa però non è logos della croce nella fede in Gesù Cristo, potrà dire troppo o troppo poco. Troppo, in quanto essa si permette parole e concetti lì dove Dio tace, soffre e muore per rivelare ciò che nessuna filosofia può mai sapere, se non nella fede, e per vincere ciò che nessuna filosofia potrà mai superare. Troppo poco, perché essa non sa misurare l’abisso in cui sprofonda la Parola e non saprà mai cogliere in maniera esaustiva la profondità del mistero del dramma della morte di Dio.

Il cristiano deve resistere alla tentazione di ridurre la croce alle sue categorie. Egli è chiamato a riconoscere che la croce ha un principio logico, che può provenire soltanto da Dio: solamente Dio può dire il perché della sua morte, non la ragione umana. Solo il Logos di Dio può iustificare l’affermazione secondo la quale egli, pur essendo vita eterna, nello stesso tempo egli sia morto, morto della morte di maledizione. È proprio in questa finalità che brilla una luce: la luce dell’amore. La morte di Cristo è concretizzazione dell’amore assoluto ? Egli è morto per tutti? Ed allora essa assume la validità e la forza dell’affermazione di un principio. Questa non è certamente “logica formale”, ma è una logica che riceve il suo contenuto dalla irripetibilità e dalla personalità del Verbo eterno, creata anzi da lui ed a lui identica. Questa forza di sfondamento fa parte dello “scandalo” e non può essere “rammollita” o “svuotata”. Il NT non conosce logica diversa da questa. La morte di Cristo in croce, dunque, svela all’uomo che Dio è amore: amore assoluto, totale, estremo, scandaloso... La continuità tra lo stato di bbassamento ubbidiente fino alla croce e quello del Kyrios esaltato è data dall’amore assoluto di Dio per l’uomo, efficacemente rappresentati in tutti e due gli aspetti. Il fondamento della possibilità di questo amore per l’uomo è data dall’amore trinitario in se stesso. Nella croce, Dio si conferma e si rivela come il concretamente e divinamente libero, cioè come colui che ama nella propria libertà.

Dinanzi ad un Dio, che ama così profondamente l’uomo, anche la morte viene ad acquistare un volto nuovo. Se la croce vuol dire che Dio è amore, allora anche la morte fa meno paura: egli allora non può abbandonare le sue creature nella morte e non può privarle per sempre della sua vita. La morte dopo l’evento Cristo non può più essere intesa come un nero baratro, che segna per sempre il termine di ogni umano sperare, ma uno spiraglio di luce vi entra, grazie alla rivelazione del Dio della croce. Io credo, fermissimamente alla resurrezione come Lui ha promesso:” IO sono la Risurrezione e la vita, chi crede in me vivrà in eterno”E questo, per tutti noi poveri umani non è un augurio felice????

Maria de falco Marotta

 

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