SFIDARE IL VUOTO (e a proposito di giovani e rischio)

di Maria de falco Marotta

Oggi non fa più impressione l’attrazione dei giovani per comportamenti spericolati. Ne abbiamo visti parecchi negli ultimi tempi (i vari Rave all’aperto e al chiuso con migliaia di giovani, assalto a istituzioni, uccisioni senza alcun motivo) sebbene gli psicologi è da tempo che ne hanno fatto oggetto di ricerca nel loro campo. Ma quanto peso riveste il carattere culturale? È possibile dare un’accezione positiva al termine rischio?
Questo è certamente un concetto ambiguo. Beck (2000) e Giddens (1994) considerano il rischio come “una caratteristica intrinseca alla società”. L’antropologa Mary Douglas lo ritiene un prodotto culturale, che spesso varia da gruppo a gruppo. In una società che sembra aver abolito i riti di passaggio le condotte a rischio per Le Breton sono una sorta di riti privati, tentativi dolorosi di ritualizzare la transizione all’età adulta.
Una ricerca sul campo condotta nella città di Modena investiga sul fenomeno.
Prima periferia. Affiancato a file di anonime villette a schiera, si erge imponente un edificio abbandonato, rinominato come il famoso penitenziario “Alcatraz”. Ex fortezza bancaria, quel luogo oggi è divenuto teatro di avventurosi “svaghi” da parte di giovani frequentatori, che come emerge da diversi articoli di quotidiani locali, vi accedono abusivamente, salendo sulla terrazza del tetto, per poi postare le proprie “gesta” sui social media.
Il Comparto Manfredini (questo il nome del complesso) si compone da diversi blocchi di edifici, il più alto dei quali conta undici piani. Le scalinate di ingresso sono colme di erbacce; scritte d’amore, imprecazioni e bestemmie si sovrappongono sui muretti. Lampioni rotti e tracce di rifiuti al di là dei cancelli rimandano al passaggio del vento, delle intemperie… a presenze umane. Spiccano ovunque indicazioni di pericolo e divieto di accesso.
Avendo a che fare con un terreno di studi inaccessibile, si è proceduto a svolgere un lavoro in mancanza di persone, approfondendo l’osservazione sull’altro campo di indagine: lo spazio virtuale. Le pagine personali dei social network del gruppo diventano, infatti, vetrine delle loro azioni. Lo spazio digitale si fonde con quello reale. Filmati e fotografie restituiscono numerosi momenti di convivialità, di cui fanno parte anche ragazze. Si nota chiaramente un pavimento instabile, con mattonelle divelte e tubi scoperti. Le immagini sono accompagnate principalmente da musica rap.
Da alcune testimonianze, raccolte in totale anonimato a ragazzi maggiorenni, spicca a gran voce come quell’immobile degradato fosse diventato quasi l’unica alternativa alla mancanza di luoghi deputati allo svago durante la fase più acuta della pandemia. I ragazzi magnificano la loro personale visione di rigenerazione urbana: “Nessuno, né Comune, né proprietà, sono riusciti a dare ancora un futuro a questo mostro di cemento, almeno noi lo sfruttiamo con un senso”. Un liceale di vent’anni puntualizza che accedervi non è affatto facile, ma che al suo interno si apre un universo sconfinato, per quanto la terrazza sul tetto rimanga il luogo preferito. “Stiamo lassù a palleggiarcela e a fare discorsi sull’universo, sulla politica, sull’uomo, essendo tutti i miei amici universitari; inoltre quando siamo in balotta facciamo anche un po’ di freestyle, balliamo e cantiamo”. Minimizza sui pericoli giudicando la struttura in ottime condizioni e di non temere affatto la polizia. Dalle parole di un altro ragazzo, studente e musicista, riecheggia un messaggio duro verso la comunità locale: “Possibile che la gente non c’è mai entrata e quindi pensa subito a droga, armi, barboni, scippi? Possiamo parlare da persone mature […] di un piano di riqualificazione, seppur solo concettuale, magari sveglio la testa di qualche persona […] in qualche noioso ufficio comunale”.
Il Comparto Manfredini è diventato un’arena dove è in atto un conflitto tra due segmenti sociali: il gruppo di giovani che difende i propri comportamenti trasgressivi contro la politica locale, la quale si è limitata finora ad adottare misure di sicurezza e di ripristino del decoro urbano, in accordo con la proprietà e su sollecitazione della cittadinanza attiva del quartiere, senza mettere in atto provvedimenti concreti per scoraggiare i giovani dal tenere comportamenti limite. “Vale sempre la pena rischiare se vuoi qualcosa”, ribatteva Frank Morris, alias Clint Eastwood, nella pellicola “Fuga da Alcatraz”. La diversa percezione del rischio tra giovani e adulti orienta, quindi, le rispettive condotte, generando vulnerabilità in quel particolare contesto.
Talvolta un comportamento di rischio – e sembrerebbe proprio questo il caso – diventa gesto di denuncia nei confronti dell’inadeguatezza della società nel rispondere ai bisogni di tutti i suoi membri.
La pedagogia sociale, quel particolare sapere che si occupa del pluriarticolato rapporto educazione-società, potrebbe fornire un valido apporto in merito. “Capire le culture umane e in seno ad esse eventuali impieghi culturali più ristretti, è necessario per collocare adeguatamente una progettualità educativa nell’effettivo contesto in cui si trova ad operare”. Se la componente di rischio è ingrediente irrinunciabile della società moderna, è necessario ad ogni modo comprendere fino a che punto questi comportamenti vadano accettati come “normali” e qual è invece il confine che li fa deviare verso un percorso degenere.
Nella lettura di bisogni e desideri dei giovani e nella realizzazione di progetti o servizi, apparirebbe utile istituire percorsi di educazione alla promozione del benessere giovanile, alla legalità, alla prevenzione del disagio. Nello stesso tempo, occorrerebbe sensibilizzare gli organi istituzionali, recepire i messaggi che i giovani inviano loro, favorendo occasioni di darsi da fare per migliorare i loro bisogni, ma anche decodificando segnali spesso complessi e non sempre facili da accettare da persone con tutt’altra cultura e molto dolorosa da accettare nei comportamenti sociali condivisi dalle varie comunità.
Note:
M. Aime e G. Pietro poli Charmet, La fatica di diventare grandi: la scomparsa dei riti di passaggio, Einaudi, Torino 2014
D. Le Breton, Cambiare pelle: adolescenti e condotte a rischio, EDB, Bologna 2016.

Maria de falco Marotta
Angolo delle idee