INTERVISTA A SARFATTI (x)

Riceviamo e pubblichiamo

Riccardo Sarfatti, imprenditore avversario di Formigoni alle regionali del 2005 e coordinatore dell'Unione nel Consiglio Regionale lombardo, tra i fondatori dell’Associazione per il Partito democratico e Presidente dell’Apd Lombardia, ha deciso di concorrere per la Segreteria regionale del futuro Partito Democratico e di sfidare l’attuale segretario regionale dei Ds, Maurizio Martina, unico candidato in corsa fino a qualche settimana fa.

Partiamo da qui. Non le piaceva la candidatura unica di Martina?

Diciamo che non mi piaceva la candidatura unica. Sono del parere che l’assenza di concorrenti svilisce l’appuntamento elettorale, scoraggia l’affluenza ai seggi ed è palesemente in contraddizione con la richiesta di partecipazione attiva, che il Partito Democratico intende favorire. Se il risultato è già scontato si mortifica la democrazia e la voglia di esserci, mentre noi abbiamo un gran bisogno di accendere entusiasmo e riuscire a mobilitare quanta più gente è possibile.

Martina, ipotetico vincitore delle primarie, ha detto che il 15 ottobre inviterebbe a cena Sarfatti. Lei ci andrebbe?

Sì, ma mi piacerebbe fare personalmente la telefonata d’invito. Vorrebbe dire che gli elettori hanno voluto che fossi io a pagare il conto, e certo lo farei molto volentieri. Battuta a parte, voglio dichiarare sin d’ora la mia stima in Maurizio Martina. Giovane segretario regionale dei DS, che unisce all’esperienza maturata all’interno del suo partito tutta la carica positiva della sua giovane età. In qualunque caso, sarò felice di collaborare con lui senza alcuna riserva mentale e fiero di condividere le rispettive esperienze.

Perché ha deciso di candidarsi?

Il rinnovamento della politica è stato l’impegno principale perseguito, insieme a tanti compagni di viaggio, sin dalla costituzione dell’Associazione per il Partito democratico. Ritenevo di essere in debito verso quell’elettorato che, nel sostenermi, ha lanciato un segnale importante all’intero centrosinistra: la Lombardia non è persa. Oggi, quindi, metto nuovamente a disposizione la mia esperienza, maturata fuori dalla politica. Ma poi completamente dedicata ad essa, dopo la mia candidatura alla Presidenza della Regione Lombardia, che fu sostenuta da tutte le forze politiche del centrosinistra, nelle elezioni regionali del 2005. E poi mi affascina la struttura federale che il partito nuovo intende darsi. Questa volta la scelta dei segretari regionali può avere una grande importanza.

E’ vero che lei ha rinunciato a candidarsi per l’Assemblea Costituente Nazionale?

Sì, è vero. In coerenza col principio della non sovrapposizione dei ruoli e delle cariche. Come le dicevo, la grande novità riguarderà proprio i Segretari regionali. Non più scelti e nominati dai rispettivi organi dirigenti nazionali e da questi revocabili. Si tratterà, invece, di segretari regionali eletti. Dotati di una investitura democratica, che darà loro margini notevoli di manovra e di autonomia anche nei confronti delle rispettive segreterie nazionali. E' qui insomma che la sfida si fa seria. Ed è qui infatti che si manifestano, al riparo da occhi indiscreti, tensioni e scontri tra Ds e Margherita, e non solo.

Non è un mistero che da tempo il Nord e la Lombardia in particolare sono terreno ostico per il centrosinistra. Come pensa che il Partito democratico possa affrontare la sfida?


Rendendosi consapevole di alcuni innegabili dati di fatto e trovando la forza e la voglia di reagire. Da quasi 15 anni in Lombardia governa il centrodestra e lo stesso avviene per Milano. Una realtà politica che è l’evidente testimonianza di come i grandi processi di trasformazione sociale ed economica siano rimasti distanti, con imbarazzante evidenza, da un’attenta capacità di analisi delle forze del centrosinistra.

Guardandola bene, la realtà ci dice che si è rivelata debole e inadeguata la risposta fornita alla domanda proveniente dall’intero tessuto connettivo della nostra regione. Dal mondo del lavoro a quello dell’impresa, dall’artigianato al commercio, dalle professioni al lavoro autonomo, dai servizi al disagio sociale, dalla cultura all’ambiente.

Tra ceto dirigente del centrosinistra ed elettori lombardi sono mancati quadri politici capaci di intercettare le esigenze nuove e di portarle all’interno della politica. Per dare forza e vigore ad un progetto di sviluppo alternativo e diverso da quello formigoniano e leghista. Troppe volte e troppo spesso è mancata la fiducia e la convinzione nella possibilità di proporre e attuare progetti di ampio respiro, fondati sui grandi valori della cultura democratica e riformista.

L’analisi è impietosa. Sta dicendo che mentre la società va verso radicali trasformazioni, i partiti si guardano l’ombelico?

Dico che in Lombardia la soggezione verso il formigonismo ha reso difficile la sintonia con una realtà caratterizzata dalla stretta compresenza di aspetti di avanzata modernità di sviluppo e di grande disagio sociale. Qui, assai più che altrove, l’innovazione della politica è perciò un passaggio decisivo per il futuro della regione. Ma anche per il Paese, dato il ruolo e il peso che essa stessa ha nel contesto europeo e mondiale.

Qui lo scollamento tra il mondo della produzione, gli operatori dello sviluppo e la politica è decisamente più evidente. Qui quotidianamente ci confrontiamo con la prossimità di una crescente emarginazione sociale, che tocca segmenti larghi delle nostre comunità. Certo, i grandi flussi di immigrazione ne accentuano la portata, ma non dimentichiamo che essi sono il prodotto sia della globalizzazione incalzante, sia delle oggettive necessità di economia interna.

Il Partito democratico può bastare? Non c’è il rischio che cambi solo la scatola?

No, non credo. Il fatto stesso che da due o più scatole se ne passi a una sola più grande, è già un bel cambiamento. Ma l’evento è di portata storica e molti in Europa ne stanno aspettando gli esiti, convinti delle ripercussioni inevitabili anche nei loro Paesi.

La nuova sfida del Partito Democratico, con le elezioni del 14 di ottobre e con la formazione delle Assemblee Costituenti, nazionale e regionali, dovrà essere caratterizzata dalle pietre angolari di ogni nuovo “stato nascente”: partecipazione ed entusiasmo. I capisaldi alla base dell’appello, sottoscritto da alcune personalità di spicco, per sostenere la mia candidatura e soprattutto per dar corpo all’ambizioso progetto di rinnovare la politica.

Il fatto che autorevoli rappresentanti tra gli imprenditori, gli intellettuali e i professionisti, lombardi o in particolare milanesi, abbiano deciso di prendere posizione a favore del processo innovativo del Partito Democratico, è una bella iniezione di fiducia e di speranza.

Cos’è, la società civile che manda a casa i partiti?

Anche il rinnovo dei ceti dirigenti è percorso riformista. Contendibilità delle leadership e loro rinnovamento devono essere la cifra del partito nuovo. Ma sbaglierebbe gravemente chi presupponesse “sostituzioni pesanti” dei ceti dirigenti attuali. Se la responsabilità di quanto successo è responsabilità collettiva, ora la priorità è consentire l’innesto di persone nuove, che portino alla politica gran parte di quanto, per lunghi anni, ne è rimasto fuori. Ci sono le condizioni perché ciò possa realizzarsi, col voto popolare del 14 di ottobre, ma non è scontato che ciò avvenga.

Si ha l’impressione che lei tema metodi vecchi per un partito nuovo. Non trova che ci sia stato troppo fermento intorno alla composizione delle diverse liste per le prossime primarie?

Senza dubbio c’è qualcosa di vecchio che è riemerso nella gestione di questa fase organizzativa e nella frenetica corsa alla composizione delle liste. Da questo punto di vista la mia candidatura rompe gli schemi e segna in concreto un momento di novità. Ora il ruolo dei territori diventa più che mai importante.

Nei territori, tenendo conto delle specificità politiche di ciascuno, si tratta di aprire il partito nuovo a persone disponibili e di definire criteri e modalità nuovi di scelta e di aggregazione. Nella situazione attuale sono decisivi i modi e le forme con cui nascerà il nuovo partito: deve essere compiuto ogni sforzo perché già negli organismi costituenti si determinino assetti del tutto diversi da quelli di tipo correntizio, tanto meno di correnti verticali, con dipendenza nazionale.

Lei ha dichiarato di sostenere la candidatura di Rosy Bindi alla Segreteria Nazionale del Partito democratico. Come è maturata questa scelta?

Dalla consonanza di idee e dalla condivisione di vedute sull’indispensabile priorità dell’innovazione nella politica. Nonhé dell’assoluta necessità di un Partito democratico con regole nuove. Una scelta di cui sono convinto ogni giorno di più. Anche se resto del parere che il dibattito congressuale, che dovrà per forza di cose svilupparsi in tempi ristretti (marzo/aprile 2008), dopo l’elezione delle Assemblee Costituenti, sarà l’unico ambito in cui, con l’elaborazione di statuti e regolamenti, si definiranno i contenuti programmatici del Partito Democratico e i suoi effettivi organi dirigenti.

Ringrazio sentitamente Rosy Bindi e tutti coloro che, con l’apprezzamento della mia candidatura a Segretario Regionale lombardo del Partito Democratico, mi hanno dimostrato di ritenerla utile e di volerla sostenere.

Al tempo stesso, in linea con le decisioni assunte dal Coordinamento Regionale di APD Lombardia, nel rispetto delle caratteristiche di pluralità connaturate all’ Associazione da me presieduta, e pur in presenza di una sostanziale maggioranza favorevole ad una collaborazione con le posizioni espresse da Rosy Bindi, è stata confermata la trasversalità degli iscritti all’Associazione nella formazione delle liste a sostegno dei candidati alla carica di Segretario Nazionale, secondo le valutazioni effettuate sul territorio, collegio per collegio.

Come immagina Riccardo Sarfatti, o meglio come spera che sia, questo Partito Democratico?

Lo spero ben ancorato alle speranze e alle esigenze di ogni singola persona e di ogni singolo cittadino, ma capace di volare alto e di saper indicare prospettive ambiziose con competenza e serietà. Che non si limiti e non si accontenti di proporre misure parziali, per una soluzione contingente dei problemi, ma dia prova di capacità ben superiori e di programmi di lungo respiro.

Che sappia affrontare, ad esempio, la difficile coesistenza di modernità e disagio sociale, con adeguate proposte di sviluppo e di nuovo welfare. Che su un tema cruciale e straordinario come la sicurezza, non si fermi a parlare di lavavetri e di Rom, ma sia consapevole e capace di capire che cosa significhi questo problema. Quali investimenti sono necessari per sostenere un’efficace azione delle forze dell’ordine, che devono regolare la sicurezza, all’interno di una prospettiva di totale legalità. Come lo possano fare, garantendo una politica dell’accoglienza e disponendo di strutture adatte a far fronte ai grandi movimenti di immigrazione.

Il Partito Democratico deve far proprio il grande progetto. Il piccolo progetto lasciamolo alla Lega e a Formigoni.

Come sarà il 15 ottobre per la Lombardia?

Sono certo che la Lombardia, in una logica federale del partito nuovo, potrà svolgere un ruolo di grande laboratorio politico e culturale, utile a sé stessa e all’intero Paese, in particolare per la riconciliazione tra centrosinistra ed elettori lombardi. Che mi rifiuto di ritenere irrecuperabili ai grandi valori della solidarietà, dello sviluppo, della qualità, della laicità, della cultura e del merito. In una parola sola della libertà. Intesa come condizione per il mantenimento dell’autonomia e della realizzazione del progetto di ciascuno, per il miglioramento della qualità della vita complessiva, attuale e delle generazioni future. In definitiva, come laboratorio per un progetto alternativo al centrodestra, nella prospettiva di assetti istituzionali rinnovati e in una logica maggioritaria e bipolare.

(x) Candidato alla segreteria lombarda del futuro PD

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