ARGOMENTI PTOPOSTI DA Mario PULIMANTI; 1) LA PENA DI MORTE 2) POESIA PER SIMONETTA 3) IL CANE TORTURATO 4) IL LAVORO MI PIACE

1) PENA DI MORTE E’ l’una di notte. Non riesco a dormire. Mi ha svegliato un cane. Ulula come un lupo a mezzanotte. Esco sul balcone. I ricordi mi assalgono. Ricordo mio padre: “Ho un problema, Mario”. “Un problema?” “Di salute. Niente di serio. Devo farmi curare.” E’ morto due mesi dopo, il 20 aprile 1992. Ne è passato di tempo, ormai, ma il ricordo è ancora vivo. Bruciante. Proprio come allora. Dio, che umidità. Rientro. Non ho più sonno. Prendo il giornale che ormai è quello di ieri. Ah, ogni tanto una bella notizia. Perfetto. Leggo che l'Italia ha ottenuto dai Ministri degli Esteri dell’Unione europea il mandato per preparare con la Presidenza tedesca Ue la risoluzione sulla moratoria della pena di morte da presentare all'assemblea generale dell'Onu. Ora è il momento giusto per fare un nuovo tentativo per presentare un'iniziativa, che nelle due precedenti riunioni dei ministri degli Esteri europei era stata accolta con perplessità da alcuni Stati europei, soprattutto Gran Bretagna, Olanda, Danimarca e Ungheria, preoccupati più dall'opportunità dell'iniziativa che non dal suo contenuto. Naturalmente per D’Alema esiste già di fatto una maggioranza contro la pena di morte, tanto che vorrebbe presentare la risoluzione inserendo questo tema all'ordine del giorno del prossimo Consiglio europeo di giugno per cercare di allargare il consenso affinché un gruppo di Paesi possa essere promotore con Italia e la Germania, evitando di perdere tempo andando alla prossima Assemblea generale a settembre. Sul mio volto compare un accenno di sorriso. Non lo avrei mai detto. Giusto, sta arrivando finalmente il momento giusto per eliminare la pena di morte, una punizione crudele, inumana e degradante. Una violazione dei diritti umani fondamentali che viola il diritto alla vita, è irrevocabile e può essere inflitta a innocenti. Sono piuttosto scosso. Non riesco a concentrarmi per la contentezza, ma mi impongo la calma e riprendo a leggere. Perfetto: anche Gabon e Kazakhstan si sono uniti alla dichiarazione in favore della moratoria, portando il numero dei firmatari a 92. Per avere una maggioranza all'assemblea generale dell'Onu ne servono 97. “Fusse che fusse la vorta bona”, come diceva il grande Nino Manfredi nei panni del barista di Ceccano.

2) SIMONETTA

La luna brilla sulla terra.

I primi bagliori dell'alba la mandano via.

Sembrano piangere i petali dei fiori pieni di rugiada.

Sento la tua voce.

Mi sveglio.

Tu sei lì.

Stupenda realtà di tutti giorni.

Dal 14 luglio del millenovencentoottantaquattro.

3) CANE

Incredibile! Leggo sul giornale che a Frosinone un cagnolino è stato legato e appeso a muso in giù sul fuoco, come uno spiedo, da giovani teppisti, come se volessero farlo arrosto. Poi, credendolo morto, lo hanno trascinato per molti metri sull'asfalto. Una tortura inaudita che fortunatamente non lo ha ucciso. Il cucciolo è stato infatti soccorso da un veterinario. Ha orribili scottature. Ci vorrà un po’ prima che si riprenderà. Senza commenti.

4) LAVORO

Il lavoro mi piace. Mi piacciono l’ambiente e i colleghi (bé, quasi tutti). Tutte le mattine accompagno mio figlio Alessandro alla Scuola San Gallo di Ostia entro le otto, prima di correre in ufficio a Roma, dove arrivo a ore variabili, secondo i capricci della metropolitana. Anche oggi mi tocca lavorare più di dieci ore. Ma lunedì mi prenderò un’intera giornata di ferie per fare acquisti importanti con mia moglie. Entro dall’ingresso principale e mi dedico al mio allenamento giornaliero: salire una rampa di scale anziché prendere l’ascensore. La mia stanza è al primo piano. Per arrivarci percorro un corridoio lungo e largo. Il mio capo vi entra di rado e posso lavorare in pace e senza interruzioni. Accendo il computer. Sullo schermo si apre la finestra “Proprietà, data e ora”. E’ la funzione del sistema operativo Windows XP che si usa per attivare il PC. A destra del desktop appare un calendario con indicata la data del giorno e, sulla sinistra, le barre di icone dei siti web e il menù a tendina con i comandi equivalenti. Occhieggio la foto di mio figlio Gabriele, sentendomi rassicurato dal suo sorriso. Metto la mia borsa sopra la poltrona, accanto alla scrivania. Apro i documenti che mi interessano e inizio a lavorare, poi interrompo per andare a una riunione. Ho iniziato a lavorare con un dirigente pignolo, che imponeva uno standard molto alto: c’era sempre qualcos’altro da fare, qualche nuova pratica da istruire, un’ora in più da trascorrere in ufficio. Poteva farti impazzire. Poteva anche insegnarti a diventare un gran bravo funzionario. Mi imbatto in una collega del mio ufficio. Quando mi vede resta imperturbabile. Assume una postura rigida, con la schiena dritta, le labbra contratte e gli occhi freddi, l’unica parte del suo corpo che sembri dotata di movimento. C’è decisamente del marcio in Danimarca, come diceva Shakespeare. Mi volto verso un amico e scoppio a ridere, indicandogli la megera. “Se vuoi restare vivo in questo ufficio, tieni gli occhi aperti” mi redarguisce cercando di reprimere un sorriso “e non camminare per i corridoi come un boy scout in gita”. A malincuore ammetto che ha ragione. E’ venerdì, dopo la pausa pranzo deciso di ritornare a casa. Arrivo, indosso la tuta e vado a fare una passeggiata verso il Porto. Ad un certo punto mi accorgo di non aver con me le mie liquirizie preferite. Cavolo, come Indiana Pipps non posso farne a meno. Entro così in un negozietto deserto vicino al Porto, una vecchia drogheria di Nuova Ostia. Le finestre sono state verniciate e all’interno è accesa un’unica lampadina nuda. La porta sul retro è socchiusa e lascia intravedere un cumulo di rifiuti, vecchi scaffali e lattine polverose di salsa di pomodoro. Il locale ha l’aria di un vecchio circolo di malavitosi. Quello che vedo non mi piace per niente. Ma la voglia di liquirizia è tanta e ne chiedo ugualmente un pacchetto al proprietario che, seduto a un tavolo traballante, si limita ad annuire porgendomi le Saila. Al Porto mi siedo su una panchina di fronte al mare. Penso a Sara, la figlia di un anno e mezzo mio fratello Stefano. Quando era ancora più piccola era così divertente starsene anche solo a guardare i suoi occhi che cambiavano continuamente espressione: quando scopriva qualcosa di nuovo, quando rideva. Stefano se ne stava seduto sul pavimento a quattro zampe vicino a lei, che prendeva il pollice del padre con le sue piccole dita. Penso ai giochi che facevo quando ero piccolo. Avete presente il gioco del telegrafo senza fili? Come alle feste dei ragazzi, si deve dire sottovoce una parola a quello che sta accanto, ma quando arriva in fondo alla fila è tutta diversa. Bè, si è fatto tardi. Torno a casa. Pesco il cellulare dalla tasca e avviso mio figlio Gabriele che ho rimediato i biglietti della partita. Di coppa. Esatto.

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