ARGOMENTI PROPOSTI DA Mario PULIMANTI: 1) PRODI IN BILICO 2) RIFLESSIONI 3) INCIDENTI 4) ALITALIA 5) IN BOCCA AL LUPO, GABRIELE!

1) PRODI

Il Senato approva la riforma della giustizia e il centrosinistra si salva per un voto, bocciando l'emendamento sulla presenza degli avvocati nei consigli giudiziari: protesta l'opposizione, ancora una volta determinanti i senatori a vita.Incredibile. Il ministro Mastella: "Buona riforma, ora Anm revochi lo sciopero".Assurdo. Bagarre in aula: la forzista Bonfrisco dà dell'assassino all'ex procuratore di Milano, D'Ambrosio.Cosa ci vuole per risolvere questi "casini?" Ve lo dico io: Casini premier. Subito!!!

2) RIFLESSIONI

Al Pontile, davanti a una gigantesca M gialla, emblema di tutto quello che odio dell’America. Incontro un amico. Ci sediamo al bar per un gin tonic. Anzi, due. Poi un cuba libre. Ahh, ora sto meglio! Lui è un mio coetaneo, ma dimostra la metà dei miei anni. Viso malrasato e brufoloso da ragazzino, titolare di una particolare vocetta uggiolante, è comunque un bravo ragazzo. Dice che una risposta alla crisi del teatro italiano sono gli spettacoli a basso costo. “Gli sconti non servono a niente: la gente deve pagarselo caro il biglietto d’ingresso” dice infine. Scoppio a ridere. “Un tantinello elementare, non credi?” “All’arrembaggio” dice ridendo con il viso paonazzo boccheggiando per prendere fiato. E’ quest’ultimo dettaglio a farmi decidere a cambiare discorso. Dico: “Non lamentarmi nel vedermi sorpassare sul lavoro dai soliti raccomandati non è forza di carattere. E’ pura e semplice debolezza”. “Non ti credo. Tu non sei debole”, dice. “Lo sono, invece. Debole e irresoluto. E ho pure i trigliceridi alti!” aggiungo, puntando un dito tremante su ipotetici colleghi. “Ah, sì? E che fai allora? Te ne resti con le mani in mano?” mi fa. “Perché ti sorprenderebbe?”. Passiamo a un White Russian. “Ma che cosa t’impedisce di trovare sponsor anche tu? Ce ne sono tanti in giro. Sarebbe stupendo se ci fossero reggenze anche per te”. “Non mi va” sbuffo scuotendo la testa. “Ma rimarrai solo tu senza incarichi. Sarà terribile”. “Può darsi”. Non serve aggiungere altro. Lo raggiunge la moglie. Da quel po’ che la conosco mi è sempre parsa una donna molto pugnace. A questo punto capisce che il tempo della nostra conversazione è scaduto. “Ciao, allora” mi dice soltanto. Da questo breve colloquio a propulsione alcolica traggo la convinzione che io stia diventando una sorta di affascinante visionario. Non esistono, infatti, incarichi senza raccomandati! Rimasto solo, penso a mio padre. Chissà cosa avrebbe detto lui? Credo vi siate ormai resi conto che provengo da una famiglia molto unita, e che ai miei occhi tradizionali valori familiari della lealtà e del sostegno reciproco sono stati sempre della massima importanza. L’uomo che mi ha inculcato questi valori, e che ricordo sempre con immenso affetto, è stato appunto papà: un uomo di un calore e di una vitalità da sbalordire, un uomo che ha trascorso la sua vita in una nuvola dorata di allegria. E che infatti è morto così come aveva vissuto, ridendo della morte. Penso alla Pasquetta del novantadue, giorno dell’addio. Le lacrime mi pungono gli occhi. Perché ve lo racconto? Sono uno scrittore? No, anche se scrivo. Cavolo, avete da guardarmi a quel modo? Scrivere mi distende. I nervi. Certo, certo. Ma le ingiustizie rimangono. A volte mi piace credere che prima o poi otterrò qualcosa anch’io. Chimere. Arrivo a casa. Spingo la porta. Apro. Non c’è nessuno. Apro il frigorifero. Prendo una bottiglia di vermentino. Riviera ligure di ponente. D.O.C. 2001. Penso a mia nonna Jole. “Mica stiamo a pettinare le bambole” avrebbe detto. Esco sul balcone. Dopo una giornata afosa, cercando ristoro alla canicola, cosa c'è di meglio di un calice di vino bianco freddo. Disseta, allontana i cattivi pensieri. Un piacere da degustare lentamente. Seduto comodamente al fresco del balcone bevo e penso. Penso a quando andrò in pensione. Cosa lascerò ai miei figli? Si dice che un individuo si comporta in maniera miope quando le sue scelte di risparmio e assicurative non sono proiettate al futuro, cioè quando manca quella pianificazione che permette di soddisfare il fabbisogno di risorse nel periodo dell'invecchiamento. Se i motivi di questo comportamento sono molteplici e ancora oggetto di studio, le conseguenze sono ovvie: una pianificazione basata su un orizzonte temporale limitato porta a carenze di risorse e spesso a condizioni di povertà nella vecchiaia. Se gli individui possono soffrire di miopia, i governi e certamente le istituzioni preposte a fornire garanzie per il futuro dovrebbero, per definizione, essere lungimiranti. Devono garantire la sostenibilità dei sistemi di welfare e in particolare del sistema pensionistico, cioè un equilibrio delle risorse finanziarie nel tempo e non soltanto in un singolo periodo, devono inoltre garantire l'equità tra generazioni, cioè trattare i figli come i padri e come i nonni. Il tema pensioni è invece diventato negli ultimi anni una patata bollente da passare ai governi successivi per quel che riguarda la decisione politica, che si concretizza di solito in soluzioni ad hoc, e da passare alle generazioni successive per quel che riguarda il finanziamento. Così i giovani, già alla nascita, si portano addosso un debito nei confronti di genitori e nonni pur avendo difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro e pur avendo carriere più discontinue delle precedenti generazioni. C'è un'aggravante: la demografia nei prossimi 20-30 anni ci costringerà a fare i conti con entrate contributive magre a fronte di spese pensionistiche crescenti: la patata diventerà sempre più bollente! Se è quindi legittimo considerare le pensioni un diritto di tutti e dovere dei governi provvedere affinché ci siano redditi dignitosi nelle età anziane, bisogna chiedersi da dove vengano le risorse e se stiamo garantendo una vecchiaia serena anche ai nostri figli. E intanto bevo. Tra un pensiero e l’altro non mi accorgo di aver finito la bottiglia. Ricaccio in fondo alla mente la consapevolezza di essere ormai ubriaco, anzi molto ubriaco, ubriaco forse come mai in vita mia. Riesco a ciondolare fino al tavolo della cucina e ad affondare grato sulla sedia. Mi volto. Intorno a me, nessuno. Un singhiozzo mi scuote il corpo: sono talmente ubriaco, talmente stanco. Mi alzo dalla sedia e scivolo rapidamente lungo il corridoio, via, fino alla mia stanza. La sensazione successiva che riesco a mettere a fuoco è che sono seduto sul letto della mia stanza. Mi guardo una mano. La sinistra. La luce è accesa e non ho più la maglietta. E’ appallottata sul pavimento, nei pressi dell’armadio. Mi alzo in piedi e vacillo all’istante, in parte per l’ubriachezza in parte per la rabbia. Quello che succede ultimamente in ufficio sembra sfidare la mia comprensione: una metà di me vuole cancellare all’istante dalla memoria questi ricordi, l’altra metà si affanna a riesumarli per sviscerarne ogni singolo particolare. E’ vero, e’ proprio vero che certi colleghi hanno ottenuto privilegi incredibili? Ed è proprio vero che a me non sono stati offerti? Nel frattempo ho smaltito la sbornia, e con una rapidità che mi pare insolita. Tremante e seminudo, provo una smania improvvisa di mettermi a scrivere al computer, e con questo pensiero in mente attraverso la stanza, raggiungo il pc, lo accendo e inizio a scrivere le cose che state leggendo. Dolore. Confusione. Stanchezza. Li fondo in un’unica e sola passione: rabbia. Che senso ha continuare a lavorare, quella fatica perpetua da mulo dell’ufficio, se non mi viene mai offerta su un piatto d’argento l’opportunità di ottenere le reggenze e gli incarichi, secondo i miei desideri. Altri hanno la fortuna, gli sponsor, la presenza di spirito di coglierli. Io, no. Fisso le parole sul pc finchè non si trasformano in accuse casuali e prive di significato: finchè non perdono ogni senso. Poso il mouse. Smetto di scribacchiare oscenità su alcuni colleghi. Mi alzo, barcollo e vado a sbattere su una parete. Forse non sono sobrio quanto credo. In quel momento entra in casa Simonetta. Mi saluta. Sono in piedi accanto al bagno quando squilla il telefono. Risponde: è la sorella. Poi mi sento cedere le gambe e mi vedo scivolare lungo un fianco dello sgabuzzino. Mia moglie non si accorge di nulla. Beghe telefoniche. Avvisto il letto dall’altra parte e con un estremo e definitivo sforzo riesco a buttarmici su. E poi mi addormento.

3) INCIDENTI

Faccio una smorfia, leggendo il giornale. L'allarme sociale che suscitano i continui episodi di gravissimi incidenti stradali provocati da guidatori ubriachi o in preda a sostanze stupefacenti non è affatto ingiustificato. Disarmato scuoto la testa. Infastidito. Bisogna proprio non avere tutte le rotelle a posto per non essere allarmati. Allora, perchè non ci sono sanzioni adeguate nel nostro sistema giuridico per questi comportamenti contrari alle regole della convivenza civile che sono all'origine di autentiche tragedie per le persone coinvolte e per le loro famiglie? Non capisco. Troppo incredibile per essere vero. Con la fronte aggrottata, raggiungo a passi lenti il tavolo della cucina. Bevo un bicchiere di birra. Una buona vecchia birra scura. Ho ancora la mano destra intorno al bicchiere mentre spengo la luce. Poi esco abbottonandomi la giacca. Con l'espressione crucciata di chi vede intorno a sé oscuri presagi. Ne conseguo, comunque, che queste notizie non hanno alcun diritto di venire a stressarmi la vita. Passo davanti all'ascensore senza fermarmi. Non mi piace tutto questo e ne diffido

4) ALITALIA

Assurdo. L'abbandono da parte di Air One della gara per la privatizzazione di Alitalia e la conseguente chiusura dell'asta per mancanza di concorrenti da parte del Tesoro, è una brutta notizia. Ora l'Alitalia si trova nel momento più buio della sua storia: senza più un pretendente, con le azioni a picco a Piazza Affari, sotto la lente di Bruxelles che non vuole aiuti di Stato, con il presidente Libonati che si appresta a dare le dimissioni, spalancando così le porte al commissario. Eh sì, la cordata capitanata da Carlo Toto era, tra tutte, quella che dava le maggiori garanzie da tutti i punti di vista, considerata la sua italianità, la conoscenza del settore, la capacità di trattare con i sindacati, i 90 nuovi aerei che l'imprenditore aveva già ordinato e la partnership con Lufthansa (l'alleanza con un vettore europeo forte è indispensabile). E ora? Come diceva un famoso programma televisivo per ragazzi degli anni sessanta presentato da Febo Conti "Chissà chi lo sa?"

5) IN BOCCA AL LUPO

Gabriele è alle prese con l’esame di diritto pubblico, uno degli esami più importanti della facoltà di Legge. Ultime ore da dedicare al ripasso prima di cimentarsi con questo esame, uno scoglio da superare che gli genera parecchia ansia. Si sta, infatti, avvicinando sempre di più il fatidico giorno e mio figlio Gabriele sta ripassando le ultime cose. Sì, proprio Gabriele. Sono due anni che ormai sta dando esami all’Università. Ha scelto Legge, per seguire le orme paterne. Hmm, avrà fatto bene? Non so. Intanto studia. E questo di diritto pubblico è l’esame che finora lo ha preoccupato di più. E dire che solo due anni fa era alle prese con l'esame di maturità. Quello sì, che fa paura, perché ci si sente chiamati a superare la prima, vera, grande prova della vita. L'esame di maturità è come il primo amore: non si scorda mai. Tutti siamo stati tra i banchi di scuola. Tutti conosciamo la paura dell’esame, il timore di essere interrogati proprio sull’unico capitolo, che non abbiamo preparato. Ricordo quando questa esperienza l'ho fatta io e devo dire che l'orale mi faceva veramente paura. Io ero il terzo: ricordo molto bene l'attesa, quei minuti su e giù per il corridoio prima di entrare nell'aula... e poi il professore che mi chiama...: inizialmente mi tremava la voce, ma cercavo di controllare l'emozione nonostante intorno a me avessi tutti quei professori che mi guardavano e mi ascoltavano. Mentre parlavo non riuscivo a controllare quello che dicevo; avevo imparato a memoria tutto quello che dovevo dire, ma quando mi sono seduto di fronte ai professori, ho dimenticato ogni parola. Dentro di me, allora, mi sono detto: questo è il momento di esporre quello che so con le mie parole. Ho, quindi, improvvisato e, dato che nessuno mi ha interrotto, ho continuato tranquillamente a parlare, contento di vedere di fronte a me volti interessati. Finito il colloquio mi sono sentito soddisfatto di tutte le fatiche sostenute fino ad allora ma, nello stesso tempo, dispiaciuto perché era già tutto finito. Non fraintendetemi: non volevo ricominciare; solo che avevo aspettato talmente tanto e con ansia quei giorni che alla fine mi sembrava strano che tutto fosse già finito. Ed ora sono io che, giustamente compiaciuto, mi trova ad incoraggiare il mio primogenito, non per l’esame di maturità, ormai per lui un vecchio ricordo, ma anche per questi esami di giurisprudenza. In bocca al lupo, Gabriele!

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