L’ODIO UCCIDE TUTTI, straordinario saggio di Maria de falco Marotta

Il colibri: “Ognuno faccia la sua parte per spegnere l’incendio”

Non è oggi un tempo felice per stare allegri e sereni, specie per coloro che hanno dato allo Stato italiano rigore, onestà, rispetto delle leggi, discese dalla Costituzione. Pare che tutto debba essere gettato in un burrone, profondo e viscido, sicché gli italiani/e si trovano altro che in un mondo di guai, sono nell’abisso.
Ma non è detto che vinca il Male: c’ è sempre la speranza, una dote bellissima dell’essere umano che lo aiuta a valicare anche i dirupi più alti. E- sinceramente- in questi ultimi tempi- ne abbiamo visti parecchi.
Adesso passiamo a chi ha già scritto sulla questione dell’odio, dell’insofferenza, della lacerazione dell’umano.
Hannah Arendt, in L’umanità in tempi bui (Raffaello Cortina Editore, 2006) riflette su una particolare forma di umanità che si sviluppa in condizioni di pressione, incidendo nel rapporto tra un individuo e lo spazio pubblico nel quale vive.
“La storia conosce molti periodi in cui lo spazio pubblico si oscura e il mondo diventa così incerto che le persone non chiedono più alla politica se non di prestare la dovuta attenzione ai loro interessi vitali e alla loro libertà privata. Li si può chiamare tempi bui “. (B. Brecht)
La Arendt prosegue il suo ragionamento avanzando l’ipotesi di una particolare forma di umanità che cancella le divisioni del mondo, unisce le persone in maniera intensa, e fa sentire anche agli esterni una gioia ed una forza profonda.  L’anima di questo sentimento profondamente umano e “naturale” e lo spirito di fraternità. Questo sarebbe il sentimento e la passione più preziosa generate quasi spontaneamente laddove le condizioni esterne premono sugli individui al punto tale da “togliere la parola” e da portarli a cercare rifugio nell’isolamento dal mondo.
Come esempio di spirito di fraternità emerso dai tempi più bui che il XX° secolo abbia attraversato, la Arendt porta quello molto forte della comunità ebraica:
“L’umanità nella forma della fraternità fa inevitabilmente la sua comparsa nella storia presso i popoli perseguitati e ridotti in schiavitù. Nel XVIII secolo doveva essere pressoché naturale scoprirla tra gli ebrei, allora nuovi arrivati nei circoli letterari. Questo tipo di umanità è il grande privilegio dei popoli paria; è il vantaggio che i paria di questo mondo possono avere sempre e in tutte le circostanze sugli altri”.
“E’ un privilegio pagato caro; spesso accompagnato da una perdita del mondo tanto radicale, da un’atrofia tanto terrificante di tutti gli organi per mezzo dei quali entriamo in comune con cui ci orientiamo in un mondo condiviso con gli altri al senso della bellezza o al gusto, con cui amiamo il mondo – che nei casi estremi, in cui la condizione di paria si è prolungata per secoli, possiamo parlare di reale acosmia (eng. wordlessness, ted. weltlosigkeit, NdA) e l’acosmia, purtroppo è sempre una forma di barbarie”.
“In tale umanità, per così dire organicamente sviluppata, tutto avviene come se sotto la pressione della persecuzione i perseguitati si avvicinassero talmente gli uni agli altri da provocare la scomparsa dello spazio intermedio che abbiamo chiamato mondo (e che naturalmente esisteva tra di loro prima della persecuzione, creando una distanza tra l’uno e l’altro). Ciò provoca una calore tra le relazioni umane che può colpire chi è entrato in contatto con quei gruppi come un fenomeno quasi fisico. E’ ovvio che non voglio negare che il calore dei perseguitati sia qualcosa di grande. Nel suo pieno sviluppo, può generare una bontà e una gentilezza di cui altrimenti gli esseri umani sono difficilmente capaci. Spesso è anche sorgente di una vitalità, di una gioia per il semplice fatto di essere vivi, che induce a pensare che la vita raggiunga la sua pienezza solo presso coloro che, dal punto di vista del mondo, sono gli umiliati e gli offesi”.
In questi passaggi nei quali la Arendt riflette sulle conseguenze e sui modi che gli esseri umani elaborano per sopravvivere in condizioni politiche avverse, emerge tutta la notevole lucidità di una filosofa complessa. La forza della Arendt sta nel modo articolato con cui porta elementi di riflessione concreti, non per indottrinare chi legge, ma per fornire basi costruttive al pensiero.
La Arendt semina nel mondo, alla maniera del filosofo illuminista tedesco Gotthold Lessing, quelle idee che possono portare gli uomini e le donne al pensare da sé (Selbstenden), ovvero a cercare per sé quegli elementi che permettono di comprendere il mondo in maniera autonoma. Questa rimane la prima e principale forma di libertà: pensare per sé, confrontarsi, anche polemicamente, ma andando sempre verso l’indipendenza profonda delle proprie idee.
Forse solo questo può portarci fuori dalla colpa del Secolo breve. Magari con una nuova forma di umanità e di fraternità a fianco di coloro che, offesi ed umiliati, condividono il nostro stesso spazio pubblico. Mamma mia, fa che sia così!(Cfr. Hannah Arendt, L’Umanità in tempi bui, Raffaello Cortina Editore, 2006.)

Melissa Pignatelli
Testo citato: Hannah Arendt, L’Umanità in tempi bui, Raffaello Cortina Editore, 2006.
“Ognuno faccia la sua parte per spegnere l’incendio”: la morale della favola del Colibrì
di La Redazione
Un giorno nella foresta scoppiò un grande incendio. Di fronte all’avanzare delle fiamme, tutti gli animali scapparono terrorizzati mentre il fuoco distruggeva ogni cosa senza pietà.

Leoni, zebre, elefanti, rinoceronti, gazzelle e tanti altri animali cercarono rifugio nelle acque del grande fiume, ma ormai l’incendio stava per arrivare anche lì.
Mentre tutti discutevano animatamente sul da farsi, un piccolissimo colibrì si tuffò nelle acque del fiume e, dopo aver preso nel becco una goccia d’acqua, incurante del gran caldo, la lasciò cadere sopra la foresta invasa dal fumo. Il fuoco non se ne accorse neppure e proseguì la sua corsa sospinto dal vento.
Il colibrì, però, non si perse d’animo e continuò a tuffarsi per raccogliere ogni volta una piccola goccia d’acqua che lasciava cadere sulle fiamme.
La cosa non passò inosservata e ad un certo punto il leone lo chiamò e gli chiese: “Cosa stai facendo?”. L’uccellino gli rispose: “Cerco di spegnere l’incendio!”. Il leone si mise a ridere: “Tu così piccolo pretendi di fermare le fiamme?” e assieme a tutti gli altri animali incominciò a prenderlo in giro. Ma l’uccellino, incurante delle risate e delle critiche, si gettò nuovamente nel fiume per raccogliere un’altra goccia d’acqua.
A quella vista un elefantino, che fino a quel momento era rimasto al riparo tra le zampe della madre, immerse la sua proboscide nel fiume e, dopo aver aspirato quanta più acqua possibile, la spruzzò su un cespuglio che stava ormai per essere divorato dal fuoco. Anche un giovane pellicano, lasciati i suoi genitori al centro del fiume, si riempì il grande becco d’acqua e, preso il volo, la lasciò cadere come una cascata su di un albero minacciato dalle fiamme.
Contagiati da quegli esempi, tutti i cuccioli d’animale si prodigarono insieme per spegnere l’incendio che ormai aveva raggiunto le rive del fiume. Dimenticando vecchi rancori e divisioni millenarie, il cucciolo del leone e dell’antilope, quello della scimmia e del leopardo, quello dell’aquila dal collo bianco e della lepre lottarono fianco a fianco per fermare la corsa del fuoco.
A quella vista gli adulti smisero di deriderli e, pieni di vergogna, incominciarono a dar manforte ai loro figli. Con l’arrivo di forze fresche, bene organizzate dal re leone, quando le ombre della sera calarono sulla savana, l’incendio poteva dirsi ormai domato. Sporchi e stanchi, ma salvi, tutti gli animali si radunarono per festeggiare insieme la vittoria sul fuoco.
Il leone chiamò il piccolo colibrì e gli disse: “Oggi abbiamo imparato che la cosa più importante non è essere grandi e forti ma pieni di coraggio e di generosità. Oggi tu ci hai insegnato che anche una goccia d’acqua può essere importante e che «insieme si può» spegnere un grande incendio. D’ora in poi tu diventerai il simbolo del nostro impegno a costruire un mondo migliore, dove ci sia posto per tutti, la violenza sia bandita, la parola guerra cancellata, la morte per fame solo un brutto ricordo”.

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