Dislessia, Canyon, Garattini. E poi Mostra alla Marconi e la Certosa di Parma

A cura di Carlo Mola

Un aiuto per la diagnosi precoce della dislessia
E’ stato chiarito il ruolo di un gene mutato che si associa a specifici deficit visivi. Uno studio, pubblicato da The Journal of Neuroscience, è stato condotto da ricercatori dell’Università di Pisa e del Cnr, in collaborazione con l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Un marcatore genetico per aiutare la diagnosi precoce della dislessia. Un recente studio condotto da Guido Marco Cicchini dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (In-Cnr) di Pisa e Maria Concetta Morrone dell’Università di Pisa - in collaborazione con Daniela Perani dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, e Cecilia Marino e Sara Mascheretti dell’Ircss Medea (Si occupa di ricerca, diagnosi, cura, informazione oncologica dei cittadini e della formazione del personale medico ed infermieristico) ha rivelato un’associazione tra un particolare tipo di dislessia causata da un’alterazione di un gene, il DCDC2, e un disturbo specifico della visione. “Ad oggi la dislessia è diagnosticata solo quando si evidenzia un ritardo dell’apprendimento e vengono escluse altre cause”, commenta Cicchini. “Questo rallenta molto, talvolta anche di anni, ogni forma di intervento. Scoprire un marcatore genetico e fisiologico cambia radicalmente tale prospettiva: in futuro, la diagnosi di questo tipo di dislessia potrebbe essere più semplice e molto più precoce”. Il DCDC2 è una ripartizione di una ristretta famiglia di geni collegati alla dislessia. È già noto che il 20% dei dislessici ha un’alterazione in DCDC2, tuttavia il ruolo di questo gene finora era rimasto oscuro. Nella ricerca, apparsa in questi giorni su The Journal of Neuroscience, gli autori hanno preso in esame un gruppo di dislessici portatori di un’alterazione di questo gene, dimostrando che sono ciechi al movimento di alcuni stimoli visivi, quelli che di solito sono i più visibili nei soggetti normali. “Questi soggetti dislessici riportano correttamente la forma o l’orientamento di un oggetto, ma se forzati a indicare la direzione in cui si muovono alcuni stimoli tirano a caso”, spiega Maria Concetta Morrone. “Per fortuna questo deficit è presente solo per alcuni tipi di stimoli e quindi l’impatto nella vita quotidiana può essere limitato, ma in alcuni casi potrebbe non essere così: per esempio la direzione di un pedone o di una bicicletta visti da lontano potrebbe non essere percepita. Siamo di fronte a un sottotipo particolare di dislessia che sarebbe auspicabile riconoscere e trattare in maniera specifica nei primi anni di vita e la genetica può aiutare a selezionarlo in età molto giovane, quando le terapie riabilitative sono più efficaci”. Nello studio venivano mostrate a soggetti normali e dislessici con l’alterazione del DCDC2 mire visive di varie grandezze che si muovevano in direzioni diverse e di differente contrasto. Mentre i primi percepivano la direzione del movimento fino a contrasti molto bassi, i dislessici avevano forti difficoltà con gli stimoli minori di un grado di angolo visivo e non riuscivano a indicare correttamente la loro direzione di movimento neanche al massimo contrasto (bianco su nero). La ricerca ha anche chiarito che un terzo gruppo sperimentale, composto da dislessici senza l’alterazione genetica del DCDC2, aveva un deficit di gravità molto inferiore e solo per stimoli molto piccoli, vicino ai limiti della visibilità. I ricercatori pisani e milanesi da oggi sono più vicini all'obiettivo di definire biomarker (Biomarcatore, o marcatore biologico, generalmente si riferisce a un misurabile indicatore di uno stato biologico o condizione)  specifici e terapie più appropriate soprattutto nella dislessia associata a mutazioni genetiche. Grazie al loro lavoro, possiamo comprendere che un approccio multidisciplinare integrato alla dislessia è necessario per avere diagnosi e terapie sempre più specifiche e risolutive.  (C.M.)

Australia, esplorato visualmente il Canyon di Perth
Vi sono ancora luoghi  inesplorati sul nostro pianeta.  E’ la prima occasione che viene esaminato il Grand Canyon sommerso L’impresa è stata compiuta al largo dell’Australia da un team internazionale che comprende l’Ismar-Cnr. I ricercatori hanno mappato in dettaglio 4.000 chilometri quadrati, rinvenendo pareti di corallo solitario e scogliere viventi e subfossili di coralli coloniali. I campionamenti permetteranno di comprendere meglio l’evoluzione climatica degli oceani.
Si è così conclusa la campagna oceanografica della nave Falkor che ha per la prima volta esplorato visualmente il Canyon di Perth, nell’Oceano Indiano al largo delle coste dell’Australia occidentale, rilevando fra l’altro la presenza di coralli viventi e subfossili. A realizzare l’impresa, un team scientifico che comprende l’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr) di Bologna. “Abbiamo scoperto il corallo solitario di profondità Desmophyllum dianthus che, in una parete verticale del Canyon, si presenta come una sorta di muro formato da numerosissimi individui. Le associazioni più ricche sono state individuate per la prima volta fra i 600 e i 1.000 metri di profondità”, spiega Marco Taviani dell’Ismar-Cnr, che ha descritto le caratteristiche geologiche e biologiche del fondale man mano che il Rov (Remotely Operated Vehicle)’Comanche’, imbarcato sulla Falkor, mandava in diretta le immagini. “Si tratta di un ritrovamento significativo poiché, essendo questa specie diffusa in tutto il mondo, incluso il Mar Mediterraneo, permetterà di comprendere meglio la distribuzione geografica della fauna che si cela nelle grandi profondità marine”. “L’analisi in laboratorio degli individui di Desmophyllum campionati fornirà inoltre importanti dati sull’evoluzione climatica degli oceani, dato che gli scheletri calcarei di questi coralli sono autentici archivi della storia del mare. I loro ‘cugini’ mediterranei sono stati rivelatori della variazione della temperatura e fertilità del mare, fornendo indicazioni per gli scenari futuri sul riscaldamento globale e sulla progressiva acidificazione delle acque marine”, aggiunge Paolo Montagna dell’Ismar-Cnr. “Oltre ai coralli solitari sono stati trovati cespugli di corallo rosso, una specie diversa da quella che s’incontra in Mediterraneo, e piccole scogliere viventi e subfossili di coralli coloniali. La datazione dei coralli fossili mediante il metodo dell’uranio/torio permetterà di comprendere meglio la storia evolutiva di uno dei più diffusi ma inosservati ecosistemi dell’intero pianeta, le scogliere coralline di grande profondità”. Il Canyon di Perth è una grande incisione nel margine continentale australiano, a cinquanta chilometri dalla cittadina di Fremantle. Presenta all’incirca le dimensioni del Grand Canyon americano, del quale è più profondo, spingendosi fino a 4.200 metri, mentre la parte superficiale arriva a circa 50 metri. I ricercatori hanno mappato in grande dettaglio un’area vasta 4.000 chilometri quadrati. Alla missione, coordinata da Malcolm McCulloch dell’Università di Western Australia, partecipano anche il Western Australian Museum e la Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation. La Falkor è stata messa a disposizione dallo Schmidt Ocean Institute, un’organizzazione filantropica per lo studio delle ultime frontiere marine.  (C.M.)

Garattini e il farmaco, carissimo, contro l'epatite C
Dall’autorevole rivista Negri News ci giunge un articolo di Sergio Garattini pubblicato su “Il Messagero” nel dicembre 2014. La grande autorità di Sergio Garattini ebbe con il nostro direttore, Alberto Frizziero, un incontro non dimenticato. Quando Frizziero era Presidente del CID, nei lontanissimi anni  60  incontro nella sala della CCIAA assieme a Emilio Trabucchi, grande farmacologo. Frizziero giovane anticipava i tempi!!!.  Ora parliamo del farmaco per la cura dell’epatite C. Un farmaco dal prezzo altissimo Il Sofosbuvir  che è  assai promettente contro questa malattia grave assai diffusa anche in Italia. Siamo in attesa, in Europa, di altri farmaci virtualmente concorrenziali per efficienza e prezzo. Il Sofosbuvir è stato messo in vendita dal produttore americano Gilead Sciences (Approvato dall’US Food and Drug Administration FDA nel mese di dicembre 2013 e dalla Commissione europea nel mese di gennaio 2014, Sovaldi di Gilead) al prezzo esorbitante nella storia della farmacologia. Se venissse introdotto in Italia, il SSN incorrerebbe in gravi guai! Occorre ostacolare decisamente la speculazione. Fra l’altro, in Egitto. lo stesso farmaco è in vendita a un prezzo molto meno esorbitante.  (Basta andare in Francia per scoprire che l'aspirina là costa parecchio meno che non da noi!!! - ndr).

Fra l’altro leggiamo e riproduciamo”Finalmente la legge di stabilità è stata approvata e salvo cambiamenti improbabili alla Camera dei Deputati, sarà disponibile nel 2015 il finanziamento di 1 miliardo di euro per sostenere l’acquisto del nuovo farmaco che svolge un importante effetto terapeutico sull’infezione indotta dal virus dell’epatite C. Tuttavia la somma sarà per 100 milioni di euro a carico dello Stato, mentre 400 milioni saranno disponibili nel 2015 e 500 milioni nel 2016 da reperire su fondi del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Si tratta quindi per il prossimo anno di una disponibilità di 500 milioni di euro che verranno interamente dedicati all’acquisto del Sofosbuvir”,

Si calcola che solo in Italia muoiano a causa di questa malattia ben 10.000 persone ogni anno. L’Italia è uno dei Paesi a più alto tasso di epatite C, anche se siamo in fase calante. Le conoscenze epidemiologiche sono ancora relativamente grezze perché molti portatori sani del virus e molti ammalati non vengono diagnosticati. Comunque con molta approssimazione si può ritenere che vi siano in Italia 1 milione e mezzo di infetti e di questi circa 3-400.000 persone diagnosticate con oltre 50.000 casi veramente gravi.  (C.M.)
 

Alla Marconi in 22 artisti per i 50 anni dello Studio

Giorgio Marconi festeggia 50 anni di attività con una collettiva di 22 dei numerosi artisti che, nella grande sequenza degli anni, hanno esposto il loro lavoro nello storico Studio Marconi, suo primo spazio espositivo in via Tadino 15, inaugurato nel 1965 e costruito con l’anima  in poco tempo, uno dei punti di ragguaglio nell’attività artistica milanese. Durante la sua lunga attività lo Studio Marconi ospitò oltre cento artisti che Giorgio Marconi sceglie con intelligenza e rara sensibilità e  “fiuto” non solo di esperto ma di sensibilità e dono naturale. Ancora oggi la Fondazione Marconi prosegue “il lavoro di divulgazione e promozione dell’arte contemporanea, occupandosi, tra l’altro, della valorizzazione di alcuni importanti fondi e collezioni di artisti del ’900, da Man Ray a Sonia Delaunay e Louise Nevelson, da Lucio Fontana a Gianni Colombo e Mario Schifano, da Gianfranco Pardi a Mimmo Rotella, Valerio Adami, Enrico Baj, Giuseppe Uncini ed Emilio Tadini. La collettiva, al primo e secondo piano della Fondazione recentemente rinnovata e ampliata, raggruppa  le 22 opere.
Per l’occasione verrà pubblicata una piccola guida con brevi biografie degli artisti in mostra e un testo introduttivo sulla Fondazione Marconi, che va ad aggiungersi all’ampio volume incentrato sullo Studio Marconi: Autobiografia di una galleria. Lo Studio Marconi 1965/1992(Skira 2004), con un testo-intervista di Natalia Aspesi, una rassegna antologica delle esposizioni realizzate, corredata da una ricca selezione di opere e testi critici.

Ecco gli artisti presenti:
Valerio Adami - Enrico Baj - Gianni Colombo - Sonia Delaunay - Lucio Del Pezzo - Antonio Dias - Bruno Di Bello - Lucio Fontana - Richard Hamilton - Hsiao Chin - Emilio Isgrò - Man Ray - Louise Nevelson - Giulio Paolini - Gianfranco Pardi - Mimmo Rotella - Mario Schifano - Aldo Spoldi - Emilio Tadini - Giuseppe Uncini - Franco Vaccari - William T. Wiley

1965-2015. 50 anni dallo Studio Marconi alla Fondazione Marconi Arte moderna e contemporanea Via Tadino 15 - 20124 Milano Tel. 02 29 41 92 32 -Inaugurazione: 21 maggio 2015. Durata della mostra: dal 22 maggio al 31 ottobre 2015 Orario: martedì - sabato 10-13, 15-19 Ingresso gratuito  (C.M.)

“Certosa di Parma” e il suo Archivio-Museo
Vi è un grande nome che ci accomuna nel ricordo di un grande e, in particolare, Milano e Parma  ed  è il nome e la personalità del grande Stendhal. Ora nell’Abbazia cistercense di Valserena, tradizionalmente riconosciuta come la stendhaliana “Certosa di Parma”, a pochi chilometri dal centro di Parma stessa, il Rettore dell’Università di Parma Prof. Loris Borghi il 20 maggio in Triennale di Milano Viale Emilio Alemagna6 20121 Milano, ha tenuto una conferenza stampa per l’Apertura dell’Archivio-Museo CSAC Centro
Importante Centro  nell'Abbazia di Valserena
Studi e Archivio della Comunicazione dell'Università di Parma nell'Abbazia
La Triennale di Milano ha  ospitato all’interno del Teatro Agorà (primo piano) la conferenza stampa di presentazione del nuovo Archivio-Museo dello CSAC (Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma) che aprirà al pubblico in maniera permanente a partire da sabato 23 maggio.  Alla conferenza stampa ha presenziato Loris Borghi (Rettore dell’Università di Parma e Presidente CSAC), Claudio De Albertis (Presidente Triennale di Milano), Andrea Cancellato (Direttore Triennale di Milano), Francesca Zanella e Carlo Quintelli (curatori e membri del Consiglio direttivo CSAC) e Claudia Conforti (membro del Comitato Scientifico Consultivo dello CSAC).
L’Archivio dello CSAC, fondato nel 1968 da Arturo Carlo Quintavalle, RACCOGLIE E CONSERVA MATERIALI ORIGINALI DELLA COMUNICAZIONE VISIVA, DELLA RICERCA ARTISTICA E PROGETTUALE ITALIANA A PARTIRE DAI PRIMI DECENNI DEL XX SECOLO. Un non comune patrimonio di oltre 12 milioni di pezzi suddivisi in cinque sezioni: Arte, Fotografia, Media, Progetto e Spettacolo. Il nuovo Archivio Museo dello CSAC si presenta come uno spazio multifunzionale, dove le aree del Museo si integrano a quelle già esistenti dell’Archivio e del Centro di Ricerca e Didattica. Una prassi unica in Italia,  con un patrimonio di cataloghi (oltre 120 dal 1969 ad oggi), e di prestito e supporto ad esposizioni in altri musei, tra cui il MoMA di New York, il Centre Pompidou di Parigi e La Triennale di Milano. Il percorso espositivo del nuovo Archivio-Museo, attraverso gli spazi della grande Chiesa cistercense, della Sala delle Colonne, della Sala Ipogea e della Corte delle sculture, rappresenterà la vastità e la ricchezza delle collezioni dell’archivio con oltre 600 opere in mostra. Inoltre il CSAC è dotato di servizi di accoglienza e ospitalità, come un bistrot e una foresteria allestita in quelle che un tempo erano le celle dei monaci. Sarà presente anche un bookshop dove sarà possibile acquistare, tra l’altro, i cataloghi e i manifesti delle mostre che lo CSAC ha realizzato a partire dal 1969. 

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