“IL CODICE DEBUSSY”

L’ultimo romanzo di Lorenzo Della Fonte

Nella penombra baluginante della stanza avvolta dai guizzi sanguigni del focolare e dal lucore cerato di una rozza bugia, l’artista stempera le ocre selvagge con rosso carminio della cocciniglia, ed il giallo solidago, quasi brunito, tronfiante sul turchese smeraldino venato di nero. La tela in attesa. È questa l’immagine di Lorenzo Della Fonte dalla doppia anima di musico danzante tra le parole che dipinge il suo chef-d ’oeuvre impastando sulla sua tavolozza infinita il giallo di un omicidio irrisolto col rosso della passione politica di chi combatte la sua guerra riparando in montagna “la vera regina dell’oblio, il nascondiglio perfetto dove scomparire, per poco o per sempre. Il mondo incantato dove vegliano le creature misteriose dei Giuet che spiegano la paura ai bambini, un mondo di torri di granito, di rocciosi padiglioni abitati dalle fate, di scarpate silenti in cui il più lieve fruscio può acquistare un significato inatteso”. Oppure mischiando audacemente l’asettico titanio del conquistatore delle vette impervie come il leggendario Ettore Castiglioni, con il lugubre eppure maestoso nero della morte che aleggia tra i sogni e le speranze del mondo nuovo di Ulisse e Tullio tra disunée ed eroi malconci che seminano il verde della speranza colando l’oro puro della scintillante musica di Debussy tradotta in un codice misterioso. Pagine vere di storia della cupa appendice dell’ultima guerra con l’esaltante eroismo di una Resistenza che è salita sulle spalle di mitici “passatori” che hanno traghettato nella Confoederatio Helvetica, pur per vile moneta, intere famiglie di profughi “razziali” e uomini insigni che hanno poi riscritto le vicende del dopo regime italico. Storia intricata sulla bisettrice biforcuta di una realtà vestita a tinte fosche e comunque verosimili di un’epoca amara di una Rethia ancora una volta crocevia di epici scontri tra insani titani, intrisa del sangue di troppi innocenti. A cominciare dalla povera Giuditta, “la fanciulla dai capelli di lino”, vittima fatale di una misteriosa valigia su cui aleggerà per sempre il mistero e che incancrenirà le mire dei suoi aguzzini. Oppure la tenera Brigida oggetto d’insano desiderio punito nel fuoco della Geenna. Una doppia narrazione per un “romanzo storico” venato di giallo e noir che sposta ripetutamente l’asse del tempo e dello spazio sullo sfondo di una Valtellina dilaniata da una guerra fratricida nelle notti senza luna dell’imbuto nero della valle del Caldenno, lungo il fatidico Passo del Muretto fino al Forte Canali su Tirano, a Polaggia che brucia, “nella valle dell’Adda, nell’aria pesante della piana dove sibilano gli insetti delle paludi e gracidano le rane nelle fiacche notti d’estate”, nel sottobosco ermetico di Cino e Cercino, al Montecchio a guardia del Pian di Spagna, nell’albugine incerta sul Pizzo Scalino e a Campo Moro fino al Maloja. Su tutto l’eccelsa musica dei “Preludi” di Debussy tradotti in un codice criptico irrisolto. Lorenzo Della Fonte, bacchetta alla mano, mente aprica, dirige ancora una volta mirabilmente la sua sinfonia di parole e musica in un affresco che intinge i suoi pigmenti essenziali nel tessuto carnale di una tradizione longeva che affiora a balze sinuose e sicure sorretta da “grida” essenziali e provate della storiografia contemporanea. Il sogno e la visione si fanno realtà. E l’opera è lì a parlare nel tempo di fatti e misfatti di un mondo in cui la vite ancora fa frutto, incurante della guerra che impera.
Nello Colombo 

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