Venezia 2014, un Leone d’oro difficile da capire

“Non avevo letto nulla sui film in concorso, e credo neanche gli altri membri della giuria. Sono arrivato in sala completamente a digiuno, senza preconcetti. Volevamo essere stupiti, colpiti e rimanere in ammirazione, e il film di Andersson ci è riuscito”. Così il Presidente della giuria ufficiale del concorso Venezia 71, il musicista Alexandre Desplat, ha commentato alla conferenza stampa finale della giuria della Mostra il Leone d’oro assegnato a A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence di Roy Andersson. Il regista svedese, dal canto suo, si è detto “felicissimo, profondamente commosso e onorato per aver ricevuto questo premio proprio in Italia” specificando che “se sono diventato regista lo devo al cinema italiano, in cima alla mia lista di film c’è Ladri di biciclette di Vittorio De Sica.

A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence
Il Leone d'Oro per il miglior film  attribuito a: A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence è un film surreale, assurdo, divertente ed esistenziale del regista svedese Roy Andersson  ed è Il terzo capitolo della “Living Trilogy” (Songs From The Second Floor nel 2000 e You The Living al concorso di Berlino quest’anno) E’ coerente con l’idea di narrazione per immagini, con 39 mini-scene e molte riprese fisse accuratamente messe insieme tanto da ricordare i quadri di Otto Dix e Georg Scholtz, due artisti tedeschi ispirati dalle proprie esperienze nella I Guerra Mondiale. Oltre al chiaro tentativo di condurre una riflessione esistenziale sullo stato degli esseri umani nello spazio, sottolineato dal titolo (illustrato letteralmente e figurativamente sul
grande schermo), il film è una commedia dall’inizio alla fine. Le scene sono sketch che potrebbero funzionare senza dubbio anche da sole, ma formano anche un vago senso di storia con dei personaggi che legano insieme le sequenze. Tra loro ci sono due cinquantenni che, con la maggiore serietà del mondo e una calma a prova di bomba, cercano di vendere curiosi oggetti d’intrattenimento a improbabili clienti che non cacciano fuori neanche un euro. Fermamente impegnati nella loro assurda volontà di vendita, simili a  Don Chisciotte e Sancho Panza, ci conducono attraverso le vite che si intrecciano di personaggi spesso molto vicini alla morte. Il tipico e cinico senso dell’umorismo scandinavo funziona bene soprattutto nella prima parte, quando lo spettatore beneficia dell’elemento sorpresa: un’anziana sul letto di morte rifiuta di lasciare una borsa con i gioielli che intende portare con sé nell’aldilà, una cassiera cerca di affibbiare a qualcuno un menù già pagato da un cliente a terra per un attacco di cuore, un insegnante di flamenco modifica la sua coreografia per toccare con nonchalance una delle sue allieve… La solennità dei personaggi fa esplodere l’assurdità delle situazioni, che ricordano talora il surrealismo dei Monty Python, come la sequenza nella quale un esercito del XVIII secolo entra a cavallo in un moderno pub di una zona industriale per soddisfare gli impulsi omosessuali del suo re. Il regista fa un uso impressionante di gag ripetute (come le variazioni della sequenza del telefono che diventa sempre più divertente man mano che compare nel corso del film) e rende la sua creazione differente rispetto alle precedenti lavorando sul ritmo,
che sembra un po’ meno una successione di immagini astratte. La  composizione delle sequenze (o tableaux), particolare cura e attenzione è stata ancora una volta data all’insieme dei colori(beige, grigi, ocra e altre variazioni di bianco crema), musiche poetiche e coreografie dei movimenti delle persone, per quanto rigide. Molti personaggi sono tinti di bianco, ridotti virtualmente a cadaveri ambulanti. Ma chi meglio di un quasi morto può guardare alla sua vita
passata per riflettere su quanto resta di sé, considerare le ragioni per festeggiare entrambe le cose, e nonostante tutto essere vivo?
Riteniamo il film difficile da capire ( sembra che nessun compratore italiano l’abbia acquistato)  e che l’originalità non basta per far vendere biglietti al botteghino, quando la TV ti inonda da mattina e sera di tante pellicole del passato o filmetti trash inguardabili. Ma tutti sappiamo che l’arte è molto difficile da farsi capire. Quindi la 71esima edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica si è conclusa  con il Leone d’oro a"A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence", firmato da Roy Andersson che, nel suo discorso di ringraziamento, ha voluto omaggiare il cinema italiano che continua a ispirarlo nel suo lavoro.

Il miglior regista, invece, è Andrey Konchalovskiy per la pellicola russa "Belye nochi pochtalona Alekseya Tryapitsyna (The Postman's White Nights)". Konchalovskiy si porta a casa il Leone d'Argento per la miglior regia del film che racconta la vita in uno sperduto villaggio russo, dove l'unico modo per raggiungere la terraferma è attraversare il lago in barca e il postino è il solo collegamento con il mondo esterno.

Soddisfazione italiana, anche se solo in parte, per le due Coppe Volpi con la vincita dei protagonisti di "Hungry hearts", Alba Rohrwacher e Adam Driver, che racconta il difficile rapporto di una donna con la maternità e il superamento di irrazionali paure nell'educazione e nella crescita del figlio.

Infine, tra i premi più importanti segnaliamo il Gran Premio della Giuria a "The Look of Silence" e quello Marcello Mastroianni consegnato al miglior attore emergente, il giovane Romain Paul di "Le dernier coup de marteau

Una cosa è certa il Festival del cinema di Venezia è il più antico, ma è anche quello che si getta nella ricerca del nuovo e di quello che sarà domani.

Maria De falco Marotta ed Antonio De falco
Cultura e spettacoli