Sondrio, Maratona d’autore al Teatro Sociale

Arena infuocata per il concerto dei “Pulp Dogs”

Maratona d’autore al Teatro Sociale, arena infuocata per il concerto dei “Pulp Dogs” trascinati da due fuoriclasse come Antonello D’Urso e Vince Pàstano, protagonisti assoluti della scena musicale contemporanea, insieme al lungocrinito Diego Quarantotto con suo basso camminato che galoppava speditamente aprendo vaste praterie nell’innesco  percussivo esplosivo di Fabrizio Luca e Vincenzo Matozza di gran vena, con Tonino Farina, splendida voce in proscenio a pasturarsi tra le amene atmosfere di “Wiched game” e “Goodnight moon”. D’Urso e Pàstano si sono sfidati a singolar tenzone duellando a lungo tra i crinali impervi di accordi glissati e nel contrappunto perfetto di “Malaguena salerosa” mettendo in fibrillazione bonghi e rullanti sul tuonare  propulsivo e ferreo della cassa, passando in rassegna  il fior fiore dell’album “Song of jealousy”. Impalpabile il confine tra il pulp-rock e il blues che occhieggiava al western post bellico, sconfinando in un latino-americano in giuggiole che ripassava alla grande “cumparsite” e “cumbacheri”  tra attacchi vertiginosi al fulmicotone di guerrieri teutonici che scandivano il roboante maglio di un ritmo assassino. Da “Stuck In The Middle” al tuffo inebriante nel folklore latino-americano di “Down in Mexico” inarcandosi nel corroborante ritmo del mitico Carlos Santana  di “Black magic women” e “Oye como va”. Una rispolverata frenetica con Pàstano “Signore incontrastato degli Anelli”  con suo formidabile contraltare D’Urso, che si sono reinventati un Carosone inedito su una versione cosmopolita di “Tu vuo’ fa l’americano”.  Hai voglia a contrastare lo strapotere di una drammaturgia ritmica che smuoveva letteralmente dalle poltrone  il pubblico in trance per le evoluzioni acrobatiche degli effetti onnipossenti delle chitarre! Ma Quarantotto & Company ce l’hanno messa tutta per ordire una trama perfetta pentagrammata senza svolazzi eccessivi, per atmosfere purissime, cristalline di assoli ineffabili. Atmosfere in cinemascope in una contaminatio stilistica quasi surreale. I grandi nomi della discografia internazionale si reggono grazie al feeling virtuosistico di grandi strumentisti, e i “Sei cavalieri dell’Apocalisse” ne sono un fulgido esempio. Modena Park ha ancora l’eco delle devastanti cavalcate o delle morbide, inebrianti sonorità di Pàstano che fa cantare la sua chitarra per il pubblico in deliquio.  E Antonello D’Urso, arrangiatore e compositore di rango che porta nel mondo il sapore della tradizione jonico-salentina è la colonna portante dei più noti cantautori italiani.  Stessa sorte per Quarantotto, Luca e Farina. Sono loro le fondamenta della discografia moderna. Con i “Pulp Dogs” al Teatro Sociale si è scatenata la frenesia, si è illuminata la scena, dissolvendo le paratie delle resistenze mentali, per lasciarsi andare all’onda del ritmo travolgente. Ossatura finale del concerto, uno strepitoso omaggio con il primo graffiante affondo di “Hey Joe”, che ha sancito l’abbrivio col leggendario mago delle sei corde elettriche spalancate sulle cinque porte dell’anima, il grande Jimi Hendrix, fino all’irresistibile incedere di “Purple haze” dai vertiginosi picchi emotivi.  Straripante il successo dei “Pulp Dogs” a cui si sono francobollati i numerosi fans per strappare un autografo. Un olimpico trionfo che apre definitivamente le porte del Teatro Sociale alla musica rock d’autore, grazie ad un coraggioso e appassionato Ezio Bianchi anima certosina di talenti, uomo giusto al posto giusto, nel momento giusto. 

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