Aung San Suu Kyi, Nobel della pace e i Rohingya, gruppo etnico perseguitato

Evidentemente non è tutto oro quel che luccica...

Aung San Suu Kyi,Nobel della pace e i Rohingya

Nel mondo ci sono problemi grossi come il “grassone” nordcoreano con i suoi missili che manda di qua e di là; Il volpone di Putin che vuole sbrancare di brutto l’unione dell’Occidente e altre cose carinissime che dovrebbero tenerci desti notte e giorno. Invece abbiamo i nostri piccoli problemi che impegnano la nostra mente e il nostro cuore. Non è per niente giusto. Noi, come umanità, apparteniamo al mondo intero e quando qualcosa fa soffrire gli altri, noi dobbiamo impegnarci per aiutarli in qualche modo. Sotto sotto c’è, per esempio, il caso Rohingya , di questo piccolo popolo che sta subendo ogni sorta di torture dai birmani( ma come, non sono i buddhisti, padroni della Birmania,  che amano e predicano la pace, la non violenza in ogni parte del mondo???) e per fortuna, i Nobel  se ne stanno accorgendo tanto che hanno inviato una lettera all’ONU in loro favore. Speriamo che il domani si volga al meglio per i Rohingya .
Noi, intanto cerchiamo di spiegarvi chi sono questi fratelli così lontani da noi.
Chi sono I Rohingya 
sono un gruppo etnico, di religione islamica sunnita, che parla il rohingya, una lingua indoeuropea del ramo delle lingue indoarie, strettamente legata alla lingua Chittagong e più alla lontana alla lingua bengalese. La loro origine è molto discussa: alcuni ritengono indigeni dello stato di Rakhine (noto anche come Arakan o Rohang in lingua Rohingya) in Birmania, mentre altri sostengono che siano immigrati musulmani che, in origine, vivevano in Bangladesh e che, in seguito, si sarebbero spostati in Birmania durante il periodo del dominio britannico. Secondo i rapporti delle Nazioni Unite essi sono una delle minoranze più perseguitate nel mondo. Molti Rohingya sono stati relegati in ghetti o sono fuggiti in campi profughi in Bangladesh e sulla zona di confine tra Thailandia e Birmania. Più di 100 000 Rohingya vivono in campi per sfollati, anche perché le autorità hanno proibito loro di lasciarli. I Rohingya hanno catturato l'attenzione internazionale sulla scia di alcune rivolte svoltesi nel 2012. Il fatto è questo: Il 28 maggio 2012 è avvenuto lo stupro e l'omicidio di una ragazza buddhista e tre ragazzi rohingya sono stati accusati di esserne i responsabili. La già difficile convivenza tra le due diverse etnie ha subito, per questo avvenimento, un duro colpo che ha portato ad una rapida degenerazione del rapporto. Alcuni giorni dopo un gruppo di buddhisti ha assalito a Rakhine un pullman che trasportava pellegrini musulmani provenienti da Rangoon, uccidendo una decina di persone. Il governo birmano è stato costretto a dichiarare lo stato d'emergenza nella provincia di Rakhine l'11 giugno, poiché a quell'episodio di violenza seguirono altri scontri tra buddhisti e rohingya, che hanno portato alla morte di 29 persone. Siccome la situazione era diventata insostenibile e le autorità non avevano preso una posizione forte neppure dopo l'intervento delle Nazioni Unite, che chiedevano di aprire le frontiere del Bangladesh ai profughi, migliaia di rohingya hanno cercato di lasciare la Birmania in barca, attraversando il fiume Naf .Essi sono musulmani di stampo sunnita. In Birmania l'identità religiosa, assieme a quella linguistica è uno dei motivi di contrasto con il governo birmano che sostiene la tradizione buddhista dello stato Rakhine. In Birmania i rohingya non possono muoversi liberamente nel paese, non possono avere più di due figli né hanno diritto alla proprietà privata. Vivono in campi sovraffollati fuori dalla città di Sittwe, capoluogo del Rakhine, privati dell’accesso alle cure mediche e all’istruzione. Il 1 aprile 2015 il governo birmano ha formalmente annullato le carte d’identità temporanee, che rappresentavano l’ultima forma di identificazione ufficiale dei rohingya, privandoli anche del diritto di votare.
Allora, cosa fa il premio Nobel della pace?
Il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi faceva il suo debutto circa un anno fa all’Assemblea generale delle Nazioni Unite come leader del Myanmar. Allora prometteva di fare tutto il possibile per combattere l’odio razziale nello stato del Rakhine, dove vivono i rohingya. A 365 giorni di distanza la minoranza musulmana è costretta alla fuga verso il Bangladesh e l’Onu parla di 313mila persone scappate perché sotto attacco dell’esercito birmano. E Suu Kyi ha deciso di non presentarsi al vertice in programma al Palazzo di Vetro per la prossima settimana. Una scelta, ufficialmente dovuta alla necessità di “gestire l’assistenza umanitaria e le preoccupazioni relative alla sicurezza”, che aumenta l’indignazione per il perpetrato silenzio del Nobel per la pace. Ma come Aung San Suu Kyi, la nobile e fiera ragazza che abbiamo amato e sostenuto, ti rifiuti di andare a parlare all’ONU della disgraziata situazione dei  Rohingya?. Brutta politica, brutta vita per tutti noi.

Maria de falco Marotta
Cultura e spettacoli