'L'importanza di chiamarsi Ernesto' al Teatro Sociale. Visto e piaciuto

di Nello Colombo

Maestro dell'irriverenza e della dissacrazione, Oscar Wilde, come antitesi stigmatizzante della paludata e seriosa apparenza delle convenzioni sociali dell'alta società vittoriana, sferzante fustigatore dei costumi inveterati di una noblesse altamente “vistata” e ipocrita, ha condensato nell' “Importanza di chiamarsi Ernesto” il sovvertimento di millantati “topoi” che incarnano le leggi universali della morale comune, ribaltando con la sua brillante, corrosiva ironia, vezzi e sollazzi dello snobismo esclusivo di nobili squattrinati e saccenti in vena di melense piaggerie e insulsi rituali di una trita e ritrita cerchia di supponenti esponenti di sangue blu. Fortunate trasposizioni cinematografiche hanno sancito il successo definitivo dell'opera wildiana che è stata presentata al Teatro Sociale di Sondrio con la regia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia. Elena Ghiaurov, Elena Russo Arman, Luca Toracca, Nicola Stravalaci, Giuseppe Lanino, Riccardo Buffonini, Cinzia Spanò e Camilla Violante Scheller del Teatro dell'Elfo si son messi di buona lena a graffiare cavalcando una sorta di commedia dell'assurdo, a soffiare sul fuoco delle passioni con una leggerezza sulfurea. Esasperati però i toni e la gestualità di una trasposizione scenica che ha sclerotizzato i ruoli nella ricercatezza vistosa di tweed scozzesi a scacchi rosso e azzurro, di toupè a nido di topo, abbottonature da tonaca sacra, kilt e calzettoni bianchi da collegiale. Minimale la scena con grandi poster  evocativi sullo sfondo di asettiche ambientazioni. Simpatici siparietti hanno enfatizzato lo squallore vacuo di fuochi fatui di un amore svenduto ai quattro venti, di figure dallo stentato aplomb inglese, di personaggi caustici da “camera cafè” di Luca e Paolo, di vecchi maggiordomi in livrea che sbuffano come una locomotiva, tra muffin e plumcake, magnifici roseti a cascata e tramezzini ai cetrioli. Tutto un mondo che gioca sulle assonanze linguistiche, sul doppio che è in ognuno,  ma i tempi sono parsi dilatati nel racconto dell'onesto – si fa per dire – Jack perso dietro alla sua Gwendolen su un papocchio intricato di menzogne che sembrano dipanarsi nell' improbabile finale, quando dinanzi al suo alter ego Algernon con la sua bella Cecily, scoprirà di avere lo stesso sangue dell'algida Lady Bracknell. Una vicenda dal sapore da commedia dell'Arte goldoniana, ma soprattutto da comedie humaine che intinge nel cianuro la sua reprimenda sulle costumanze di signori mezza tacca che si spacciano per tale Ernest o attingono alla più bieca fantasia con  lo sventurato e inesistente invalido Bunbury, alibi perfetto  per una doppia vita dalla doppia faccia. Ben più terrifica, comunque, la realtà di chi, pur maldestramente, si barcamena tra un ménage matrimoniale imperfetto e un'altra famiglia dell'amante di turno. Finché la neve si scioglie e il luridume riappare sciorinata al sole ai margini di sentieri nauseabondi. L'ultima pièce  di mercoledì 3 aprile chiuderà la Rassegna Teatrale del Comune di Sondrio 2018-2019 con un tuffo nella più classica delle opere shakespeariane, “Sogno di una notte di mezza estate” per la regia di Elio De Capitani con Corinna Gustoni, Giuseppe Amato, Marco Bonadei, Sara Borsarelli, Clio Cipolletta, Enzo Curcurù, Loris Fabiani, Lorenzo Fontana, Vincenzo Giordano, Sarah Nicolucci, Emilia Scarpati Fanetti, Luca Toracca e Vincenzo Zampa del Teatro dell'Elfo.

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