Il viale del tramonto del teatro
IL VIALE DEL TRAMONTO DEL TEATRO
di Nello Colombo
Com’è difficile avviarsi lungo il “Viale del Tramonto” per chi ha calcato le scene dei più prestigiosi teatri! Un viaggio digradante verso la china irrefrenabile tra un cumulo di dorati ricordi e piccoli grandi acciacchi che preludono all’ultima uscita di scena. Ma non è certamente questo l’abstract dell’arcinota commedia di Neil Simon, “I ragazzi irresistibili”, messa in scena al Teatro Sociale da mostri sacri come Umberto Orsini e Franco Branciaroli insieme a Flavio Francucci, Chiara Stoppa, Eros Pascale ed Emanuela Saccardi, sotto la regia di Massimo Popolizio. Una tragicommedia dal sapore eduardiano che intende riscattare anni di buio silenzioso di due mattatori che si sono persi lungo la strada del declino prendendo vie diverse che si ricongiungeranno - forse - nell’epilogo melanconico dello snocciolamento di tutti i loro “antichi” successi. Joe Smith e Charles Dale osannati per la loro spumeggiante comicità si sono persi di vista da lunghissimi anni. Ma ci pensa un intraprendente nipote nelle vesti di agente teatrale a ritentare la carta di un’alchemica formula rampante fatta di esilarante semplicità e affiatamento totale. Un’ultima chance. Non per tornare sulle scene. Ma per riscoprire il fascino del “vero” teatro e di una lunga amicizia che si schermisce dietro sterili schermaglie. Ma in fondo il vero protagonista della super premiata pièce teatrale che ha dato linfa a irresistibili pellicole con insuperabili attori come Walter Matthau, George Burns, Woody Allen e Peter Falk, è il Teatro. Sì, il Teatro, visto nella sua luce primordiale di esposizione diaframmatica delle emozioni che avvampa il cuore degli spettatori, coattori di un dramma scenico. Anzi, un “vecchio” modo di fare teatro, diretto, incisivo, palpitante, mai edulcorato con la saccarina, ma spassionatamente “vero”, in cui anche gli “applausi dal vivo sono un’altra cosa” da quelli programmati a tavolino o infoiati dalla claque. Un Teatro proiettato in un anonimo appartamento spartano e un po’ demodè tra poche suppellettili e niente quadri alle pareti, un unico ambiente salotto-camera da letto con un letto sfatto e un vecchio arnese radiofonico “vestito da TV”, da cui occhieggia una piccola cucina a mo’ di quinta più che di sgabuzzino delle provviste. Il necessario. L’essenziale mengoniano che evoca un’acredine vestita da odio abissale, un rancore sordo vicino al livore, per essere stato costretto al “ritiro” anzitempo dal collega ormai stanco dopo oltre un quarantennio di un ménage teatrale che si riaccende dopo un esilarante “toc toc toc” e l’inevitabile “si accomodi!”. Una scusa per ferirsi graffiando l’anima rinverdendo sketch ormai rodati del dottore e il paziente che si rivela un esattore delle tasse. Perfettamente giuliva la formosa infermiera prona sulle carte con la sua voce stridula e sgraziata che fa da condimento a gag d’avanspettacolo tra reduci popolari della scena che si stuzzicano come coniugi dal veterano connubio. Orsini e Branciaroli sono giganti che si muovono sul pentagramma di una comicità surreale, in un chiaro e scuro che si sovrappongono perfettamente in una infinita gradazione di toni che passano repentinamente dall’ironia alla malinconia, dalla rabbia alla commozione, restando per sempre quei “ragazzi irresistibili” che hanno tracciato ormai una linea invalicabile del Teatro italiano.
Nello Colombo