Il successo di un film lo decide il pubblico degli spettatori (Amen per Cannes 2016)

A leggere le cronache dei moltissimi inviati a Cannes dai vari media per il suo Festival che è una specie di girone infernale, il decreto della Giuria capitanata dal regista George Miller, famoso per i film su Max Mad che tanto scalpore provocarono a Venezia parecchi anni fa non ha lasciato molto contenti gli addetti ai lavori, ma neanche i componenti della Giuria, viste le risposte piuttosto sibilline date a “caldo”. La Palmares d’oro è andata al film di Ken Loach (tutti hanno detto che è lo stesso film di 20 anni fa) I, Daniel Blake .

Il film parla di un  anziano vedovo,  che è un carpentiere, un uomo che lavora con le mani e suda come tutti i poveracci che lavorano con le mani. L’informatica è per lui un mondo sconosciuto. Parla in modo sincero, ha il temperamento forte ma il cuore delicato. Ha avuto un attacco cardiaco e il medico gli ha proibito di riprendere il lavoro. La macchina burocratica dell’assistenza sociale pero non è d’accordo. Macchina esemplificata fin dall’inizio, a schermo ancora nero e titoli di testa: il duetto di dialoghi tra Blake e la funzionaria dell’amministrazione ha qualcosa di robotico e comicamente surreale, se non fosse terribilmente tragico. Pian piano Blake precipita inesorabilmente nella non dignità. Il film è una rivendicazione, quasi un urlo, contro questa deriva. E il titolo lo esprime al meglio, con quell’Io seguito dal nome e cognome del protagonista

Blake si scontra contro tutte le meccaniche e le leggi, e coloro che ciecamente le servono, ormai incapaci di capire la sostanza dell’umano. Mentre Blake rappresenta l’umano in maniera prorompente: è l’incarnazione di questa grandezza nella semplicità e nell’umiltà. Ma la macchina è implacabile, è un diavoletto che ci entra in casa, o nel nostro computer, e fa dispetti. Per questo Blake è costretto a combattere contro i continui intralci burocratici che cercano di ributtarlo a terra. Egli fa poi amicizia con una giovane madre non sposata, anche lei in difficoltà e costretta a calpestare la propria dignità per preservare quella dei figli. E’ evidente che il regista si riferisce alla terribile burocrazia e alla macchina tecnocratica internazionale, non solo quella di Bruxelles, incapace di essere al servizio delle persone. Ma Blake oppone la forza del suo essere umano e si trasforma in agit-prop, al fine di rendere pubblica la propria condizione. La testimonianza di dignità sopravvive sempre. Anche all’uomo stesso. In fondo, Loach si è sempre eretto a paladino dei deboli e piuttosto che vedere altre scemenze (e non ne sono mancate), è meglio ribattere il tema della povertà e della sottomissione dei deboli all’invadenza estrema della burocrazia e dell’economia che schiaccia i più indigenti, contro cui necessita un duro combattimento di tutti coloro cui sta a cuore l’umano.
Naturalmente, i films sono tantissimi e se ne possono trovare gli elenchi su qualsiasi giornale, però noi vogliamo solo dire che questo è stato un anno più che buono per la partecipazione di tanti Paesi del terzo e quarto mondo e che le donne sia attrici che modelle hanno fatto impazzire i fotografi. Però nessuna regista tra i premiati(Ah, le giurie!).
In ogni caso, come è stato ripetuto alla conferenza di Europa Cinemas tenutasi al Festival di Cannes, il successo di un film lo decide il pubblico degli spettatori. Verissimo. Concordiamo pienamente con questa affermazione, anche per la nostra vecchia  e lunga frequenza al Festival di Venezia che rimane senza ma e senza perché il più elegante e il più “umano” dei vari festival del mondo. Viva il cinema che ci mette tutti vicini!

A qualche ora dalla cerimonia di chiusura del festival di Cannes 2016, ecco un breve riassunto, personale ma non troppo, di una delle edizioni migliori che io mi ricordi.
1. Un’edizione eccezionale
È stato il concorso più interessante degli ultimi dieci anni, forse il migliore dal 2002 per quanto riguarda la qualità media dei film in concorso. In quell’edizione d’oro parteciparono, tra gli altri, Il pianista (Polanski), Bowling for Columbine (Moore), Le fils (fratelli Dardenne), L’ora di religione (Bellocchio), Arca russa (Sokurov) e Ten (Kiarostami). Quest’anno, i film che metterei sullo stesso piano, facendo una scommessa sul giudizio dei posteri, sono almeno cinque: Toni Erdmann (Ade), Paterson (Jarmusch), Aquarius (Mendonça Filho), Bacalaureat (Mungiu) e Elle (Verhoeven). L’unico vero fiasco era The last face di Sean Penn.
2. Il ricambio generazionale
A Cannes di anno in anno si afferma il merito come principio di selezione, con la conseguenza che ormai ci sono pochissimi registi di vecchio stampo che entrano in concorso di diritto. Quest’anno i veterani erano Ken Loach (I, Daniel Blake), i fratelli Dardenne (La fille inconnue/La ragazza sconosciuta) e Pedro Almodóvar (Julieta), presenze giustificate perché, pur senza innovare il loro linguaggio cinematografico, hanno tirato fuori dei film solidi, belli, da maestri consolidati.
Per il resto, è stata la generazione di mezzo a dominare il concorso in termini numerici, se non sempre qualitativi: i francesi Olivier Assayas e Alain Guiraudie, i rumeni Puiu e Mungiu, il filippino Brillante Mendoza, l’iraniano Farhadi, il canadese Dolan (giovanissmo in realtà ma già al sesto film), l’inglese Arnold, il danese Winding Refn, il coreano Park Chan Wook.
Cannes tende a coccolare i suoi beniamini solo finché fanno dei bei film. A conprovare questa tesi è il fatto che i registi di due tra i film più convincenti in concorso, la tedesca Maren Ade (Toni Erdmann) e il brasiliano Kleber Mendonça Filho (Aquarius), non erano mai stati presenti a Cannes con un lungometraggio prima di quest’anno, nemmeno nelle sezioni autonome della Quinzaine o la Semaine de la critique.
3. Finire in bellezza
La selezione del festival ha riservato il film più esplosivo alla fine. Forse solo Paul Verhoeven, regista di Basic instinct, poteva essere capace di prendere un argomento come lo stupro e farne una commedia nera, e forse solo Isabelle Huppert poteva essere capace di interpretare la protagonista: una donna in carriera forte, crudele, con la battuta sempre pronta. È un film che flirta pericolosamente con la delusione morbosa dello stupratore, ma la ribalta, alla fine, in un film che tratta anche degli affetti familiari, di come le storie costruite da altri ci condizionano, e come noi condizioniamo le storie. È un film da cui gli uomini escono malissimo. Verhoeven femminista? A detta di tre colleghe con cui ho guardato il film durante la proiezione per stampa, paradossalmente sì, per il ritratto che emerge di una donna che rifiuta di interpretare il ruolo della vittima imposto dal suo aggressore.
4. L’anno delle attrici
A proposito di “girl power”, è stato l’anno delle donne al livello di ruoli e di interpretazioni. Non c’era solo l’incandescente Huppert. Ho già scritto della stupenda Sandra Hüller, manager stacanovista nel film Toni Erdmann, e della bravura di Kristen Stewart (Personal Shopper di Assayas), che ormai si è scrollata di dosso il peso della trilogia Twilight e non deve più dimostrare a nessuno che sa recitare. Brava anche la francese Adèle Haenel nel film dei fratelli Dardenne. Ma personalmente darei il premio per migliore attrice alla magnifica Sonia Braga, pilastro portante di Aquarius, del brasiliano Kleber Mendonça Filho. A 65 anni, ormai una veterana, l’attrice interpreta l’inquilina ostinata il cui appartamento di Recife è l’unico baluardo contro un progetto sfacciato di speculazione edilizia. Il film è una specie di Le mani sulla città brasiliano che però relega gli imprenditori edili a ruoli secondari per concentrarsi sugli affetti personali, i ricordi e la forza d’animo di una donna indomita. Lo si potrebbe definire un film “psicourbanistico” (come tra l’altro l’ultimo del regista, O som ao redor): ci ricorda che i luoghi dove viviamo sono fatti non solo di malta e mattoni ma di storie e persone.
5. Italiani assenti giustificati
Montare polemiche su mancate presenze italiane in concorso a Cannes è diventato uno sport nazionale. Ma il direttore del festival Thierry Frémaux e i suoi selezionatori sono stati scagionati dall’accusa dei critici: nessun film italiano, presente nelle altre sezioni, era all’altezza del concorso. Dunque se ce n’erano tre l’anno scorso e nessuno quest’anno, sarà semplicemente una questione di tempi. Quello più apprezzato dalla stampa internazionale è stato il delizioso La pazza gioia di Paolo Virzì, che ha partecipato alla Quinzaine.
6. Il film spartiacque
Nicolas Winding Refn, l’autore danese di Drive e Solo dio perdona, ha firmato la sua opera più visionaria con The neon demon, che scava dentro il mondo della moda di Los Angeles per tirare fuori una fiaba strana, gelida, esteticamente affascinante, che Lesley Felperin, critico di The Hollywood Reporter, ha definito “un po’ come America’s next top model con la regia di Dario Argento” (c’è molto Argento nella scena in cui una modella cannibale vomita un bulbo oculare). Osannato (anche da me, con qualche riserva) e odiato in uguale misura, è stato il titolo che ha avuto i giudizi più contrastanti nei vari sondaggi fatti ai critici che escono dalle proiezioni del festival.
7. Il fiasco
The last face di Sean Penn ha registrato il peggior risultato di tutti i tempi (0,2) nel sondaggio Jury grid della rivista cinematografica Screen International, che riprende le valutazioni di undici critici internazionali. È un film che non sembra nemmeno accorgersi della spettacolarizzazione della miseria che mette in atto, quando si avvale della crisi umanitaria africana per rendere più drammatica una storia d’amore tra due medici che lavorano per un’ong nei campi profughi. Premio anche per l’abbinamento musicale più infelice: mentre i personaggi interpretati da Charlize Theron e Javier Bardem stanno facendo l’amore, adoperando la posizione del missionario, sentiamo il ritornello di una canzone dei Red Hot Chili Peppers: Take it on the other side.
8. La scena più bella
Non c’è discussione: la festa nuda nel film Toni Erdmann di Maren Ade. Non ve la descrivo, va vista e basta.
9. Due chicche fuori concorso
Non ho visto tantissimi film né nella sezione parallela Un certain regard (Ucr) né nelle sezioni autonome Quinzaine e Semaine della critique, ma ho avuto la fortuna di vedere sia il vincitore della Semaine, sia quello di Ucr. Il primo, Mimosas, del regista francese Olivier Laxe, è un’intrigante western spirituale, un Sentieri selvaggi del sufismo islamico, che si svolge tra le montagne dell’Atlas in Marocco. Il secondo, il finlandese Il giorno più felice nella vita di Ölli Maki, ambientato nei primi anni sessanta, smonta i cliché trionfali della tradizionale epopea sportiva in un delicato film inbianco e nero su un peso piuma innamorato.
10. I premi che darei
Palma d’oro: Toni Erdmann di Maren Ade
Grand prix: Elle di Paul Verhoeven
Premio della giuria: Bacalaureat di Cristian Mungiu
Miglior regia: The neon demon di Nicolas Winding Refn
Migliore attrice: Sonia Braga in Aquarius
Miglior attore: Joel Edgerton in Loving
Sceneggiatura: Paterson di Jim Jarmusch
Cinema
cannes 2016

Alla conferenza di Europa Cinemas tenutasi al Festival di Cannes, il direttore generale dell'organizzazione, Claude-Eric Poiroux, ha annunciato che le nuove linee guida forniranno un forte sostegno ai Paesi difficili. Il network di cinema europeo è attivo in 576 città su 30 Paesi, in cui sono attivi 962 cinema con 2.320 schermi. Il sessanta per cento dei palinsesti di questi cinema comprende film europei.

I cinema svolgono un ruolo fondamentale nella distribuzione dei film europei," ha sottolineato Lucia Recalde Langarica, capo unità del programma Creative Europe MEDIA. Oltre al contributo economico, c'è anche un aspetto sociale. "Il ruolo del cinema nel processo di integrazione è essenziale," ha dichiarato la Recalde. Peraltro, i cinema registrano dati su quante persone assistono alle proiezioni, il che significa che "è possibile massimizzare l'impatto attraverso l'uso ragionato dei dati".
La Commissione Europea continuerà a sostenere i cinema. Il prossimo European Film Forum si svolgerà in collaborazione con Europa Cinemas durante il Festival di Venezia.
"Il cinema è una finestra privilegiata sulla nostra cultura," ha sottolineato Viviane Reding, membro del Parlamento Europeo ed ex vicepresidente della Commissione Europea. Le sale cinematografiche avranno un ruolo forte perché non possono essere sostituite da una piattaforma. L'esperienza cinematografica riguarda "l'identità, i sogni e il piacere puro - e questo non ha prezzo".
"Siamo attualmente in un anno molto strategico," ha riassunto Silvia Costa, membro del Parlamento Europeo, ma molto dipende dalla prospettiva politica del Parlamento. A dicembre, il Parlamento presenterà una relazione. "Abbiamo bisogno del vostro parere," ha richiesto la Costa. "I cinema hanno un valore strategico. Allo stato attuale, i dati dell'intera catena di fruizione non sono chiari, poiché non vi sono cifre disponibili derivanti da TV, DVD o VoD. Sebbene il consumo del cinema stia cambiando, il successo di un film si decide nelle sale".

Maria de falco Marotta & team
Cultura e spettacoli