Sondrio a Teatro: EROS E THANATOS A CORTE DI DOSTOEVSKIJ

(Nello Colombo) I registi Alberto Oliva e Mino Manni ci hanno lavorato a lungo a quattro mani sul capolavoro di Fedor Dostoevskij “L’Idiota”, rivisitandolo in una sorta di dopo partita dagli esiti sconcertanti con una pièce teatrale dai toni chiaroscurali presentata al Teatro Sociale di Sondrio. In scena tra cornici sospese o infrante, su un marmoreo, lapideo simulacro di morte, si commenta l’amore, la deità della bellezza di Nastasja Filippovna che si muove sensuosamente nell’ombra avocando a sé l’elegia disarmante del tenero amante malato e il bitume igneo di un amante stolido e catramoso, irretita nel suo torbido legame di sesso e di sangue. In scena il bianco ed il nero manicheo del bene e del male che inchiodano alla croce dei sensi ogni barlume di reminiscenza alata che conduce al cielo, verso una redenzione però intollerabile, distopica, “dostoevskiana” preclusa ai perversi dannati di questo mondo.  Da una parte il candido, ingenuo, angelico e un po’ “idiota”, principe Myskin, dall’altra il suo contraltare incarnato dal cupo sembiante del rozzo, materico e libidinoso Rogozin. Insieme a sfidarsi e cercarsi, in un abbraccio “blasfemo”, come facce della stessa umanità dalle lunghe ombre e pure dagli slanci empirei svenati da ogni energia. E in mezzo c’è lei, Nastasja, l’essenza stessa divinizzata della bellezza angelicata che solo la morte salverà dalla cruda marcescenza, o la quintessenza distopica di un’amante voluttuosa e ingorda, la femmina procace che giace infine pallida e fredda sulla sua nuda lapide, in attesa dell’inumazione nella terra “negra”. Pur stretta nell’estremo abbraccio del suo truce carnefice e del suo salvatore castrato nel delirio estatico dei suoi spasimi notturni seppelliti dagli spasmi terribili dell’oscuro male dell’epilessia. Eppure, tra silenzi striscianti, in tanto squallore, sembra emergere dall’alto un’icona picassiana disancorata, scomposta, sconnessa, frammentata, che sembra vigilare sull’immenso dipinto del “Cristo morto” di Hans Holbein il Giovane, nella sua devastante umanità fallace devastata dalla morte nel viso tumefatto, le crudeli ferite al costato, i segni terribili del patimento, nella rigida compostezza del rigor mortis. Un dio profanato da “Thanatos”.  Eppure una bellezza altera, salvifica, da abbracciare, da stringere a sé come una calda amante, ma che non solleverà di una sola libbra l’infame causa dell’abominio di un assassinio perpetrato e sentenziato da tempo.  Sublime, superba, puntuale, “millimetrata” alla perfezione la colonna sonora, dotata di voce propria in una descrizione drammaturgica che respirava assestante nell’afonia di una recitazione a tratti “in-audita” dal fondo della sala. Faust e Mefistofele a banchetto. Peccato per la dolce Margherita.
Nello Colombo

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