Sondrio, Teatro Sociale: "OMAGGIO A FELLINI"

di Nello Colombo

Una nebbia fitta e lattiginosa sparata dai fumogeni si addensa sul palco del Teatro Sociale trasmutato nello chapiteau di un circo felliniano per un omaggio al grande regista della “Dolce vita” e di “Amarcord”. E’ qui che principia il vaniloquio della svanita Titina, uno di quei personaggi magici e “prezzoliniani” che sembrano usciti da un bozzetto incompiuto della magica penna di un autore visionario affidato all’immaginario collettivo della cinematografia del grande visionario di un Fellini. Surreale quanto il suo burbero e scontroso Tonino, ma dal cuore pannoso, come “un cane che abbaia ma non morde mai e non aspetta altro che una carezza”, a cui si aggrappa con la tenacia di un’edera sfrondata. Dolcissima e sprovveduta, Silvia Priori, perfetto patron della scena, catalizzatrice di un arcadico mondo di clown e giocolieri, di trapezisti ed equilibristi dei Katablò che si destreggiano tra mille acrobazie nelle coreografie di Giulia Staccioli, e regina di un mondo da fiaba zappata con cui gli uomini si giocano a dadi la sua fresca e querula ingenuità, mentre Roberto Gerbolès fa il bisbetico indomato dalla pappinosa farragine di uno pseudolinguaggio rimasticato e indigesto che  se la pappa un sol boccone. Per Titina, nata da un semplice abbozzo del “Maestro” e poi accartocciato e buttato via, non c’è che la luna: il sogno irraggiungibile di una vita per chi come lei sa bene di camminare audacemente sull’impalpabile filo di un equilibrista senza bilanciere, sospesa sull’abisso: “Io sono nata su una tovaglia di un’osteria o forse su un pezzo di carta che volava via per la strada. Mi diceva “ridi” e io ridevo, “piangi” e io piangevo, “balla” e io ballavo. Non sapevo più cosa fare! Disegnava in continuazione. Io avrei fatto qualsiasi cosa pur di stare con lui! Ma lui non mi ha mai chiamata, ero un’idea imperfetta, un’idea uscita a metà. Senza un dito, un piede, un braccio, un’unghia, ma cosa mi manca? Ma perché non mi hai fatto giusta? E così mi tocca vagare qui in questa nebbia”. Già: una nebbia densa, infinita e vischiosa che scorre implacabile lungo la narrazione scenica mentre funamboli danzanti si destreggiano tra figure macchinose che cercano impatto visivo. E già, perché è nell’arena cinta del circo che l’improbabile domatore addestra le sue fiere mansuete e si diverte alle boutade dei suoi tristissimi clown, mentre l’orchestrina intona la marcia della parata che illumina l’universo felliniano. Tutto riflesso in uno specchio distorto in cui nulla si vede, ma tutto è affidato all’immaginazione.  E alla fine eccoli lì, Titina e Tonino, personaggi incompiuti, in cammino e mai arrivati, effimeri, orfani di padri, come Gelsomina e Zampanò, cuore a cuore, fianco a fianco, incamminati lungo la “strada” che porta all’argentea luna: lei eterea e sognante, una libellula dalle ali luminescenti a danzare quasi tra le nuvole, e lui seduto sul ventre molle di un pianeta disadorno dalle tonalità azzurrate dai gradi Kelvin, a ripercorrere le mille melodie della sua tromba. E sullo sfondo c’è lei, l’affascinante e indimenticabile musica di Nini Rota che dipinge l’anima dell’ingenua Titina-Gelsomina-Giulietta, stralunata e fatata, la sognatrice incallita che vive di sogni e d’incanto per sfuggire alla fragile esistenza delle illusioni e al tedio e l’assillo della “desolata e imperfetta società”. Mentre lui chioccola maldestramente il suo “Nulla si sa. Tutto si immagina”. E, felici di niente, ce la mettono tutta. Ma la nebbia rimane.
Nello Colombo

Cultura e spettacoli