Al Sociale un beniamino delle folle televisive, Luca Zingaretti

Sul palco del Teatro Sociale di Sondrio un beniamino delle folle televisive.  Smessi i panni del commissario Montalbano, Luca Zingaretti si è ricoperto di “panni reali e curiali per entrare nelle antique corti delli antiqui huomini”, elegantissimo, in smoking nero e farfallino, col suo fido commilitone di scena Fabio Ceccarelli alla fisa, con le musiche evocative di Germano Mazzocchetti, per dare afflato alla fascinosa narrazione della “Lighea” di Giuseppe Tomasi da Lampedusa legato indissolubilmente all’epopea gattopardesca del principe di Salina con quell’arte speciale di “annacarsi” dei baroni d’altri tempi. Giano bifronte di cangiante voce, Zingaretti si è sdoppiato nell’anima del senatore La Ciura, insigne ellenista, e del giornalista di borgata, Paolo Corbera. Dell’oro delle sue conche d’aranci e l’argento del siculo mare il senatore La Ciuria, alter ego del nobile Tomasi da Lampedusa, era innamorato da sempre, perduto inesorabilmente tra le forme sensuose delle Afroditi decapitate dai mercanti di Bellezza, le arenarie milleformi cesellate dal vento,  quella “pietra d'Aspra” delle antiche dimore degli avi,  sospinta dal vigore  dello scaltro Sisifo, l’eroe di Corinto che osò sfidare la divina protervia,  tra le  gole scavate dall’Alcantara  arroventate dal sole leonino; estatico dinnanzi all’imperio dell’architettura superba e immortale dei templi  dell’antica civiltà  che fu la Magna Grecia in una Trinacria dell’Etna senza tempo; inebriato dal profumo carnale dei ricci di mare appena pescati nell’imo degli anfratti rocciosi del promontorio delle Aci del mitico pastorello; sorpreso, irretito, stregato  un giorno, in preda alla sua demenza invasata da un dio, da una vergine dormiente delle acque, dalla grazia  venerea di una ninfa ondina, dall’ineffabile canto della sirena Lighea.  E’ questa la magica avventura vissuta nello splendore sfarzoso di una gioventù beata dall’ "l'onore di una nazione e il faro di tutte le culture”, – l’antonomasia ci marcia forte – da quel senatore La Ciuria, ritiratosi a vita privata, incontrato dallo schietto giornalista di provincia Paolo Corbera nella squallida mediocritas di una trattoria torinese nell’uggia malinconica della bruma invernale. La solitudine sempiterna del Dio che si svela e la semplicità appiccicosa del suo misero adepto, che si ritrovano a consumare i ricordi di una Sicilia ancestrale. E troppo lontana.  "Parliamo della Sicilia eterna, della sua pienezza nelle cose naturali: del profumo di rosmarino dei Nébrodi, del sapore del miele di Melilli, dell'ondulazione dei campi di grano nei ventosi giorni di maggio; delle solitudini che circondano Siracusa, dalle esplosioni di aromi che persistono sopra Palermo durante certi tramonti di giugno. Parliamo del fascino di alcuni notti estive contemplate dal Golfo di Castellamare, quando le stelle si riflettono nel mare della sonnolenza e dello spirito di chi, sdraiato sulla schiena tra gli alberi di lentisco, si perde nel vortice del cielo, mentre il corpo, disteso e vigile, lo teme”. E Zingaretti sa perfettamente vibrare le corde della nostalgia della terra di conquista di mille idiomi, illuminandosi del fuoco guizzante del focolare, per raccontare la fiabesca visione di Lighea, tenera fanciulla sedicenne emersa dalle acque del mare di Sicilia spalancato sull’eterno, i capelli scarmigliati e ribelli, l’acqua che gocciola sui suoi occhi verdemare, il suo odore magico di acqua salmastra, gravido di una precoce voluttuosità. E ancora “la sua voce leggermente gutturale, velata, e le sue parole dal ritmo dei pigri postumi di sbornie dei mari estivi, la voce delle ultime schiume sulla spiaggia, il passo del vento sulle onde lunari”. E infine la sua estremità pinnipede iridescente al sole. Una sirena! Come la Partenope napoletana portata dalle correnti marine tra gli scogli di Megaride. Un idillio perfetto contato dai giorni febbrili dell’incantamento innescato da un appuntamento fatale per il picciotto sfolgorante al sole, nascosto con cura nel cuore ammansito del senatore La Ciura che nel mesto tramonto degli anni scomparirà improvvisamente tra i flutti durante il suo ultimo viaggio. Forse per raggiungere per sempre in fondo al mare colei che l’aveva stregato sin dal suo primo sorriso.  Accattivante la parabola evocativa di Zingaretti col suo passo elegante e quella dimensione affabulante che di tanto in tanto sembrava aggirarsi sorniona tra le pieghe narrative di un ispirato Camilleri. E grande intensità lirica nei versi sublimi dell’inguaribile solitudine di un Montale che “ha sceso milioni di scale dando il braccio” alla sempiterna compagna uscita dalla sua vita anzitempo.  Bagno di folla clamante, infine, per il “Commissario Montalbano” sfavillante, saltellante, incontenibile nell’ovazione della platea e della galleria del “Sociale”.

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