Al Teatro Sociale “Rosalyn”

Inestricabili i labirinti della mente. Insondabili. Al Teatro Sociale c’è “Rosalyn” di Edoardo Erba sul piano inclinato della scacchiera della vita, una sorta di Cubo di Rubik sbilenco sulla china della perdizione, su cui si consuma un thriller “noir” anzi “black end white” dalle tinte tragicomiche. In scena –  in equilibrio quanto mai precario –  due attrici consumate degli schermi televisivi come Marina Massironi ed Alessandra Faiella che tessono una ragnatela di legacci che le terrà avvinte per sempre.  Nessuna complicità alla Thelma e Louise, nessuna torbida relazione nemmeno con la leggera spinta sull’acceleratore dell’omofobia, ma più un gioco a rimpiattino con i propri istinti perversi pronti a deflagrare ad un cenno subliminale della parola.  La potenza evocatrice “delle” parole, sediziose e fomentatrici di nefande ideologie che spingono ad un gioco al massacro nel delirio di una scrittura che invita alla liberazione di sé. In qualunque modo.  Sui cubi perfettamente levigati di un grande puzzle, quasi gradoni sconnessi di un antico tempio sconsacrato, in cui il più bieco manicheismo vede solo il bianco ed il nero, il giallo-rompicapo elaborato dalla regista Serena Sinigaglia ingaggia una complessa, scellerata partita a scacchi con il morto, scompigliando le carte fino a confonderle, a sovrapporle, in un incalzante, disarmante finale. Ma chi è veramente Rosalyn? Una donna delle pulizie, sempliciotta e ignorantella, goffa e sprovveduta quanto basta, ma certamente imprevedibile, incontrata per caso a Toronto durante la presentazione dell’ultimo best seller della scrittrice americana di successo Esther O’ Sullivan? Oppure un lupo famelico vestito da agnello che fa a brandelli l’ingenua alterigia della “femme fatale” della letteratura contemporanea, inchiodata dalla Polizia durante uno stringente interrogatorio fiume sul ritrovamento della sua stilografica nel risvolto dei pantaloni del malcapitato Ben, bugiardo e violento, concubino di entrambe, e per questo freddato e occultato in una discarica? Certamente è materia da psicanalisi, o meglio, della psichiatria delle nuove neuroscienze. Nel suo vaniloquio sommerso dal fragore della cascate del Niagara, l’ingenua, melliflua e un tantino sfigata Rosalyn racconta delle angherie subite da un uomo infingardo e crudele che l’ha sottomessa nel basso al rango di mera sguattera e “orizzontalmente” in donna da trivio. “Un uomo del genere è da ammazzare”, sbotta Esther.  “Infatti – risponde Rosalyn – è nel bagagliaio”. E’ da questa lucida, “inconfessabile” confessione che inizia in un torbido flash back l’inarrestabile marcia di Esther verso la distruzione, annichilita dinanzi a quell’ “Ho fatto quello che tu avresti voluto che fosse fatto!”.  In questo thriller da dark comedy niente è come appare, e tutto è il contrario di tutto. Un mistero fitto che scava, irriverente, negli abissi tenebrosi dell’animo umano, appellandosi all’inammissibile natura “ambigua” dell’uomo, in un ritratto maligno della società contemporanea fragile e precaria pronta ad esplodere e graffiare, oltrepassando il lieve confine del bene e del male.

Nello Colombo
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