“Riposa tra i “Giusti”, Lydia” “Una vita è una vita”

di Nello Colombo

Sondrio 27 gennaio. Il “Libro della Memoria” non si chiude mai.  Splendide interpreti al Teatro Sociale, Angela Demattè e Maria Laura Palmeri, di “Lydia tra le nazioni” di Mara Perbellini, la storia controversa di Lydia Gelmi Cattaneo, prima bergamasca con la riconoscenza di “Giusta tra le nazioni” per aver salvato numerosi ebrei tra il 1943 e il 1945. Essenziale la scena in una gabbia esistenziale fatta di scarni piani che emergono appena da un “cupore angoscioso” solcato da una bianca increspatura, limite naturale di una recitazione intima e sofferta su un dramma collettivo che all’alba delle famigerate “Leggi razziali” aveva gettato l’abisso di perdizione per l’intero popolo ebreo. Figlia di un ufficiale medico, famiglia in vista la sua, Lydia, carattere forte e volitivo, disingannata da quel “me ne frego” mussoliniano che l’aveva spiazzata annichilendone le sue aspirazioni monarchiche, accoglie in casa l’“amichetta” del fratello. Altezzosa, di una fine noblesse dell’alta borghesia triestina, Irene Weis sfodera tutto il suo fascino muliebre coi suoi occhialoni a goccia di cuore, il cappellino vezzoso a la moda parigina, la borsetta tuttofare che cede d’impulso alla madre di quattro marmocchi quasi in un rito di transfert identitario, che accetta di accoglierla sotto il suo tetto facendosi “fuorilegge” con falsi documenti che permetteranno all’intera famiglia Weis di giungere in terra elvetica. Ci penseranno gli “spalloni” i mitici contrabbandieri delle nostre valli a condurli nella Terra Promessa, verso la libertà. Ma la malaccorta ed esuberante Irene, ai limiti dell’incoscienza imprudente, si lascia condurre dalla frenesia della vita che scorre nelle vene di una giovincella innamorata dell’amore, e incappa in un incidente che non le permetterà di fuggire nel cuore della notte coi suoi familiari. Ci penserà ancora una volta Lydia che calca l’emancipazione femminile di ventennio assurdo nei nobili panni di una contessa altera che sventola arditamente identità fasulle per condurre la spedizione ebrea in salvo in barba a tedeschi e fascisti su per i sentieri montani delle Retiche, oltre confine. Anima e voce, Demattè e Palmieri che intrecciano una dolcissima e struggente “Bella ciao” con tutta l’enfasi dolorosa di “Via Rasella” di Gabriella Ferri. Palpabile il tormento all’incursione scellerata fascista a cui Lydia sfugge solo grazie al buon nome paterno, ma ormai il dado e è tratto e nulla la fermerà, nemmeno quando con il cuore in gola riuscirà a farsi beffe d’incauti ed ingenui tedeschelli sfuggendo a malapena alle rotaie che portano a Tirano.  A rischio della vita, quasi un buon Schindler temerario, ne salverà 52 di ebrei in fuga. Graffiano gli archi in overdrive della colonna sonora discreta e dolente di Paolo Bignamini, regista della pièce teatrale, fino al gracchiare dei radiogiornali dell’epoca che annunciavano la resa della Germania e la fine della guerra. Sconvolgente cambio di passo per la pasionaria Lydia che stavolta non esita a raccogliere la feccia umana dei repubblichini, nudi, oltraggiati e feriti, lasciati ai margini di una strada solitaria a crepare, suscitando l’amara rivalsa della sua pupilla Irene che le spiaccica addosso tutto il suo veleno contro chi aveva abusato, umiliato, ucciso, vilipeso poveri innocenti, accusandola di essere stata falsamente egoista solo per sentirsi importante, indispensabile, coraggiosa, mentre lei non può perdonare, vuole solo giustizia. Anche se sommaria. E lei resta lì, indifesa innanzi alle accuse di chi ha sfamato, protetto, salvata dall’abisso, innanzi a quella soffitta che ospita derelitti dell’ultima ora: uomini, soltanto uomini feriti, ora perseguitati a loro volta. Caini delittuosi alla mercè del destino, cani sanguinari che attendono il giusto castigo eppure implorano la salvezza.  Oltre il beneficio del dubbio, Irene saprà infine valicare il tenue confine della spietata logica della vendetta, dell’occhio per occhio e dente per dente, riconoscente per sempre a chi le ha salvato la vita, consapevole che “una vita è una vita e colui che salva una vita in pericolo, salva l’umanità intera”.
Nello Colombo

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