SERVO DI SCENA

(Nello Colombo) Forse perché troppo carico di aspettative per il calibro di un capolavoro come “Servo di scena” di Ronald Harwood, di un cast di prim’ordine capitanato da Geppy Gleijeses, Maurizio Micheli e Lucia Poli, la regia di un figlio d’arte come Guglielmo Ferro, l’esordio della nuova Stagione Teatrale 2022-2023 va letto in versione agrodolce declinata in un chiaro e uno scuro dalle mille sfumature sceniche. In scena un mostro sacro come Geppy Gleijeses, genio interpretativo che celebra alla perfezione il suo amore sviscerato per il palcoscenico, accanto alla nobile classe dell’esile silhouette di Lucia Poli volto noto del cinema, del teatro e della televisione. Molte le attese concentrate su Maurizio Micheli figlio del “Piccolo Teatro di Milano”, punta di diamante del cabaret italiano e attore nato per le scene, chiamato nel difficile ruolo di “cavalier servente” del dio padrone dell’universo teatrale. “Servo di scena”, oltre ad essere il sigillo d’autore su un amore dilagante per l’arte scenica, è una sorta di teatro nel teatro, non quello spiato dal buco della serratura, ma ostentato, in piena luce, tra fondali nebbiosi e alberi contorti di uno squallido autunno londinese impestato dalle micidiali sortite dei bombardamenti aerei nazisti del ’42, e tra diaboliche antesignane macchine della pioggia, del vento, dei lampi e con tanto di lamiera pensile da squassare per ferrei tuoni vaganti. Teatro nel teatro, un metateatro che parla di sé. Come un autoritratto d’autore riflesso in uno specchio talvolta spurio. O attraverso le ombre cinesi che proiettano drammi shakespeariani che imperversano nelle sale londinesi dell’ultimo conflitto mondiale. Sir e Norman vestono allora le facce di un Giano bifronte proiettati nell’ultimo atto di un viale del tramonto che non ammette repliche. Opposti, ma complementari nel loro bisogno di completarsi. Il vecchio seduttore che non perde mai il pelo, avvezzo ai trionfi del proscenio, è ormai al capolinea. E sa di esserlo, purtroppo.  E Norman, il suo confidente, il suo aiutante di campo, il suo “barbiere sivigliano” è lì, pronto ad esaudire ogni suo desiderio, a imboccargli le battute che la mente fallace e vacillante sembra aver dimenticato. Eppure di tanto in tanto si respira un’atmosfera - forse volutamente - stagnante, lenta, che sembra prolungare l’agonia di una vecchiaia che sfibra l’anima prima che il corpo. Sullo sfondo altre figure di contorno, pur talentuose, di una scuola di recitazione. Di recitazione. Ma il teatro è vita. Lo sapeva bene il buon Eduardo che sotto tutte le sue mille maschere indossate era sempre sé stesso. E sapeva circondarsi di persone vere che assecondavano un dramma che si chiamava “vita”. Gleijeses stesso ne è il testimone geloso con le sue superbe interpretazioni del teatro verace di De Filippo che ha sempre amato. Ma il ghigno beffardo della morte è lì, incurante degli ultimi bagliori di un tramonto che vira verso la notte più fonda, “tra una folla di volti di pietra mentre il silenzio spegne l’ultima illusione”.
Nello Colombo

Cultura e spettacoli