Il respiro dell’anima

Al Teatro Sociale l’oscura vicenda di Cristina Mazzotti a 40 anni dal suo tragico rapimento

Infelicemente claustrofobico. Un fantoccio senz’anima, inerte, inarticolato, in una fredda tomba terranea. Rinserrata nella sua oscura prigione asfissiante, Cricri”, Cristina Mazzotti, sequestrata dalla mala, solo diciott’anni, imbottita di sonniferi e d’inganni e speranze caduche, si addormenta per sempre alla vita nel frustrante silenzio di una tomba anonima, buttata giù come un cencio usato, un relitto umano condannato a una discarica. E’ la storia messa in scena dalla pièce della Stagione Teatrale del Comune di Sondrio “5 centimetri d’aria” con la regia di Marco Rampoldi, e Lucia Marinsalta a destreggiarsi nel buio minaccioso dell’ondata di sequestri degli anni Settanta in terra lombarda, per concentrarsi infine sulla tragica vicenda della sventurata Cristina Mazzotti “inumata” anzitempo dai suoi carcerieri.  Il buio, la solitudine, l’aria malferma sono stati i suoi aguzzini nel lungo calvario di una tragica stagione di sequestri della criminalità organizzata. La stessa penombra che accoglie lo spettatore a sipario aperto sull’abisso di un rapimento sfuggito di mano, crea quello straniamento da vertigine oscura, quel soffocamento narrato, ma non sempre partecipato, spoglio, disadorno nel suo elenco stigmatizzato, senza scene, senza fronzoli, senza musica, e lei troppo sola sul piano inclinato di una china, promontorio proteso verso la platea, in vena di vaneggiamenti assassini. Angosciosamente contagioso. Se era questo lo scopo, è stato pienamente raggiunto. Il sapore ipnotico delle parole è il passe-partout per giungere al cuore. Lucia Marinsalta ha classe, ci ha provato, e con convinzione, incatenata però a una narrazione a tratti troppo “accademica”, senza spasmi emotivi, forse volutamente. Ma il teatro senza “drama” rischia di essere solo stantio esercizio. Il teatro senza “pathos” è un giardino senza fiori né profumo. Un arido deserto, pur con tutto il fascino di dune sempiterne spazzate dall’inquieto soffio del vento, arroventate dal sole leonino. Tutto il resto è “fuffa”. Capita talvolta che il mercante di parole leghi i suoi sogni alla cintura per affondare lo stilo nel dolore degli uomini amministrando un gioco senza giocatori, smanicando dall’alto il suo scibile altero senza arrivare al cuore della gente. Teatro è con-tatto.  Si è toccati dal “verbo” solo se fa farsi messaggio uscendo da soliloqui dissacrali e monologhi di pentimenti tardivi di cui è lastricato l’inferno. Crepuscolare l’atmosfera “ossianica” di un dio denaro come tragica merce di scambio. E a farne le spese è “Cricri” che si è spenta lentamente, purtroppo, forse senza nemmeno rendersi conto di perdere il suo ultimo appuntamento con la giovinezza. Di certo 5 centimetri d’aria non basteranno mai all’affanno del cuore in disarmo, né leniranno giammai le pene di una famiglia privata della luce dei suoi occhi. Ma Cristina non è destinata all’oblio.   

Nello Colombo
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