Astra Lanz nella sua incantata e seducente pièce “Camille”

Bella come un fiore in boccio in una radura selvaggia, selvaggia come una chimera prigione nella pietra marmorea, marmorea come il basaltico inganno dell’acme di una voluttà sconfinata e libera, libera come un’amante insaziabile che insidia il talamo e la mente tormentata, tormentata come una mater dolorosa che sgrava rabbiosa il suo tormento, parto dell’anima, non più suo. E piange lacrime amare e sediziose che sfuggono ad ogni congettura. E’ Astra Lanz, attrice che palpita di luce ed emozione, che nella sua incantata e seducente pièce “Camille” incarna l’artista talentuosa, musa ispiratrice e modella insostituibile del grande Rodin di cui era discepola prediletta e concupiscente sogno di un eros multiforme in una burrascosa liaison che sfarfalla nel suo disinibito rapporto carnale da Danaide deificata. “Da quando Camille è diventata la mia amante, Eros appare ovunque nel mio lavoro”, confida Rodin che le affida “l’oro che lei ha tenuto tutto per sé”. “Camille Claudel, una grande creatura, troppo grande per essere stata una donna, a cui dedico una retrospettiva epistolare autentica che rappresenta un viaggio nel mondo interiore delle sue passioni, i suoi conflitti, le sue modalità di reagire alla vita”, ha confidato Lanz che dell’arte ha fatto il suo gioioso e tormentato vessillo.  Uno spettacolo unico nel suo genere, il suo, che inchioda lo spettatore sin dal primo vagito espressivo, col pianista Pitti Caspani che veleggia con riguardosa densità tra le sue atmosfere sonore ora cupe e drammatiche, ora dolci e sognanti, sulle evoluzioni drammaturgiche delle coreografie di Natasha Mordovkina. In scena prima a Teglio al “Teatro Festival Valtellina” con il versatile Alex De Simoni alla fisarmonica e piano, poi per “AD-ARTE  CalcataCineTeatro Festival (VT), nell’isola di Procida nella suggestiva ambientazione delle carceri di Palazzo D’Avalos, poi ancora  a Chiavenna presso l’ex concento dei Cappuccini a chiusura della Mostra “IL vuoto e le forme” a cura di Anna Caterina Bellati, ancora a Sondrio presso l’Accademia Musicale “A. Lamotta”, e poi ancora domani  alle 21 e il 7 novembre allo Spazio Centrale di Arquino per l’Associazione socio culturale Agharti con un laboratorio espressivo come luogo di ricerca e sperimentazione in cui esplorare le proprie potenzialità e complessità attraverso il gioco del teatro, prima di spostarsi a Tirano il 6 novembre nello spazio “Renzo e Nuccia Maganetti”. Dilagante il successo di una visione artistica d’incredibile intensità emotiva che nel suo percorso incontra varie anime musicali. Grande l’intensità drammaturgica di un’attrice a tutto tondo come Astra Lanz che interpreta le lettere scritte da Camille prima e durante l’internamento in manicomio dove lei ha trascorso gli ultimi trent’anni della sua vita. Una follia che affonda le radici nella sua esaltata, paranoica gelosia di un amore malato per Auguste che, pur dannatamente fustigato nell’intimo dalla passionalità esuberante della sua ispiratrice del “Bacio”, la “luce della sua vita” come amava definirla, e immagine stessa dell’amore immortale, l’ha messa spregevolmente da parte quando lei gli ha reso la pariglia con una fugace scappatella con Debussy che ne aveva colto l’intima essenza di una musica carnale a cui era impossibile resistere. E’ sempre lei l’artefice seduttiva dei celeberrimi nudi sensuali che Rodin aveva immortalato nella sua “Porta dell’Inferno”, bruciando di quel desiderio strisciante che palpita nei corpi possenti e plastici delle sue opere, tra cui si può intravedere l’evanescenza fisica di Paolo e Francesca di un inferno dantesco che li condanna in un’unica fiamma all’eterna vertigine amorosa. Astra tocca i registri più profondi dell’anima di Camille, ne diventa parte indissolubile, anche quando affronta un blocco cretoso da modellare per simulare, in un crescendo vertiginoso di irrequieto tremore, un aborto che le dilania l’anima.  E Camille sembra rivivere di luce propria, nel lussurioso poema carnale di una danza rituale, o incastonata tra le bronzee membra dei vaneggiamenti scultorei e nei bassorilievi di una mefistofelica “Porta degli Inferi” che lo stesso Rodin durante l’Esposizione universale a Parigi aveva devastato a colpi di martello non riconoscendosi più in un’opera che l’aveva reso immortale anzitempo a dispetto dei suoi tardivi “ravvedimenti” artistici. Vibrante, Astra Lanz, tra l’estasi sublime e tumultuosa di una “Teresa” trafitta dal dardo, e il dolore insopprimibile dell’abbandono, accartocciata su se stessa nel terribile momento dell’abbandono. 

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