GENERALE DELLA CHIESA. EROE, MARTIRE, UN ESEMPIO

(Dal Ten. Col. Rocco TAURASI)  LEGIONE CARABINIERI “Lombardia” COMANDO PROVINCIALE di Sondrio
COMUNICATO DEL 3 SETTEMBRE 2022

Nel giorno del 40° anniversario della strage nella quale rimase vittima, l’Arma dei Carabinieri ricorda il Gen. C.A. Carlo Alberto dalla Chiesa

Era la sera del 3 settembre 1982 quando a Palermo un commando mafioso uccise l’allora prefetto di Palermo, il Generale di Corpo d’Armata dell’Arma dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro. L’agente di scorta, Domenico Russo, ferito gravemente, morì poco giorni dopo.

Qualche elemento biografico, sicuramente insufficiente per delineare una figura tanto titanica.
Inizia la vita militare con la dura guerra nel Montenegro come sottotenente nel 1941. Un anno dopo passa ai Carabinieri. Impegnato in territoriale durante gli anni della guerra di liberazione, collabora con i partigiani fino a quando è costretto a continuare la sua opera dandosi alla macchia insieme agli altri patrioti e svolge le funzioni di responsabile delle trasmissioni radio clandestine di informazioni per gli americani.
In Sicilia con il grado di Capitano affronta il terrore della mafia agraria, quella di Don Calò Vizzini, di Genco Russo e di Luciano Leggio; è una mafia più arcaica ma non meno spietata.
Cosa Nostra ha stretto un patto di ferro con i più retrivi latifondisti che temono le lotte e le rivendicazioni contadine guidate dai sindacalisti comunisti e socialisti.
Dalla Chiesa è chiamato dal colonnello Ugo Luca nel nuovissimo CFRB (Comando Forze Repressione Banditismo), che ha la missione di farla finita con Salvatore Giuliano, il re di Montelepre. A lui viene affidato il comando del gruppo squadriglie, basato a Corleone. È un ufficiale abile, duro, inflessibile, gran lavoratore, non meno paziente dei suoi avversari corleonesi. A dispetto dell'omertà e della paura estremamente diffuse riesce insieme ai suoi colleghi a inchiodare tutti gli assassini del sindacalista Rizzotto ed a spedirli sotto processo, incluso il mandante Lucianeddu Leggio (più conosciuto come Liggio), il segretario della Camera del Lavoro di Corleone.
Il processo però si conclude con una serie di assoluzioni per insufficienza di prove ed il giovane capitano viene trasferito e da ufficiale superiore è aiutante maggiore della legione e capo ufficio OAIO (Ordinamento Addestramento Informazioni Operazioni) della IV brigata di Roma e della legione di Torino. Poi regge i comandi del nucleo di polizia giudiziaria e del gruppo di Milano.

A caccia di battesimi e nozze
Negli anni Sessanta Dalla CHIESA torna nell'isola del suo destino e per oltre 7 anni gli viene affidato come colonnello il Comando della Legione di Palermo (1966-1973).
Dalle assoluzioni di quindici anni prima ha imparato che bisogna conoscere a fondo la situazione e raccogliere quante più prove possibili, facendo i conti con la realtà del posto.
Cosa Nostra non è stata con le mani in mano e si è adeguata rapidamente ai tempi nuovi. Ha progressivamente spostato i suoi interessi dall'agricoltura all’industria ed al commercio, in particolare l'edilizia ed i lavori pubblici. I tradizionali rapporti di "strusciamento con il potere" si rafforzano specialmente con le istituzioni amministrative e politiche in modo da influire sulle direttrici di sviluppo edilizio delle città, sull'ubicazione delle opere pubbliche, sulle destinazioni dei finanziamenti, sugli appalti.
Lo scambio è sempre lo stesso: appoggio politico contro concessioni illegali di licenze e appalti. Il risultato è che gradualmente una serie di politici aiutano l'espandersi delle attività economiche mafiose, quando i rappresentanti mafiosi non sono direttamente inseriti nel tessuto politico ed amministrativo.
Alla base dell'organizzazione c'è la 'famiglia', rigidamente ancorata al territorio.
Una struttura del genere è difficile da infiltrare, ma qualcosa si può sempre sapere ed è possibile conoscere la struttura attraverso il legame della famiglia. Dalla Chiesa alla commissione antimafia del 1962 diceva: Onorevole presidente, scoprirli [i capi mafiosi] non è difficile, in quanto i nomi sono sulle bocche di molti. (...) Vorrei mostrare (...) una scheda, che io ho preparato per la mia legione, per tutti i miei collaboratori, dedicata proprio ai mafiosi o indiziati tali.(...) attraverso le parentele e i comparati, che valgono più delle parentele, si può avere una visione organica della famiglia, della genealogia, più che un'anagrafe dei mafiosi. Quest'ultima è limitata al personaggio; la genealogia di ciascun mafioso ci porta invece a stabilire chi ha sposato il figlio del mafioso, con chi si è imparentato, chi ha tenuto a battesimo, chi lo ha avuto come compare di matrimonio; e tutto questo è mafia, è propaggine mafiosa (...) ... è molto più efficace seguire i mafiosi così, cioè non attraverso la scheda solita del ministero dell'Interno, ma da vicino, attraverso i figli, attraverso i coniugi dei figli, attraverso le provenienze, le zone dalle quali provengono, perché anche le zone d'influenza hanno la loro importanza".
Non è una trovata trascendentale, ma è il metodo e la costanza con cui ci si applica che danno i risultati.
Nel 1966 un vero e proprio censimento degli uomini d'onore è stato finalmente realizzato e si conclude con l'arresto di 76 boss. Gente come Frank Coppola (Frank Tre dita) e Gerlando Alberti vengono arrestati e spediti al soggiorno obbligato.
La lotta al terrorismo coinvolge presto Dalla Chiesa, ormai promosso generale. Dall'ottobre 1973 al marzo 1977 comanda la Brigata di Torino. Poi nel maggio 1977 assume l'incarico di coordinamento del servizio di sicurezza degli istituti di prevenzione e pena. Prima del suo arrivo le evasioni spettacolari avevano insinuato il sospetto che nelle carceri si potesse fare di tutto. Dopo la "cura" del generale vengono fuori le cosiddette supercarceri dalle quali la fuga è praticamente impossibile. Si tratta di un duro colpo sia per i terroristi che per i mafiosi, come ben sa Totò Riina finito proprio in uno di questi istituti di massima sicurezza.
Successivamente (settembre 1978) assume anche le funzioni di coordinamento e di cooperazione tra Forze di Polizia nella lotta al terrorismo.
Dallas, come lo soprannominano affettuosamente i suoi con una contrazione, è sempre un militare tutto d'un pezzo. Gira senza scorta perché crede che un ufficiale, all'assalto, non ci va con la scorta, ma sa benissimo coprirsi le spalle dalle insidie dei palazzi romani.
Quando riceve i pieni poteri per la lotta alle Brigate Rosse, una stampa faziosa lo dipinge come un futuro uomo forte della scena politica italiana. Lui non si muove prima di una discreta e attenta gestione delle pubbliche relazioni, che gli garantisce un segnale di via libera anche da parte delle opposizioni.
Solo allora attua la sua controguerriglia urbana, conseguendo prestigiosi successi, celebrati dalla stampa nazionale ed internazionale, arrestando i capi storici delle Brigate Rosse e contribuendo validamente a debellare il fenomeno in Italia.
"I nostri reparti dovevano vivere la stessa vita clandestina delle Brigate Rosse. Nessun uomo fece mai capo alle caserme: vennero affittati in modo poco ortodosso gli appartamenti di cui avevamo bisogno, usammo auto con targhe false, telefoni intestati a utenti fantasma, settori logistici ed operativi distanti tra loro. I nostri successi costarono allo Stato meno di 10 milioni al mese".
Dal dicembre 1979 al dicembre 1981 comanda la prestigiosa Divisione Pastrengo a Milano per poi arrivare nel 1982 alla massima carica per un carabiniere: vice Comandante Generale dell'Arma.
Con le promozioni arrivano altre decorazioni: croce d'oro per anzianità di servizio, medaglia d'oro di lungo comando, distintivo di ferita in servizio, una Medaglia d'Argento al Valor Militare, una di Bronzo al Valor Civile, 38 encomi solenni, una medaglia mauriziana.
Al suo fianco compare, dopo la morte dell'amatissima moglie Dora Fabbo, una seconda moglie giovanissima e decisa: Emanuela Setti-Carraro. È un periodo durissimo, però il futuro sembra sorridergli.

L'escalation mafiosa è fortissima e l'austero generale sembra la persona giusta per arrestarla. Il ministro degli Interni, Virginio Rognoni pensa di nominarlo Prefetto di Palermo e ne parla prima con l'allora presidente del Consiglio, Giovanni Spadolini, poi con i segretari dei cinque partiti di maggioranza ed infine sonda gli umori delle forze di opposizione. Da tutti un aperto consenso e nel marzo 1982, Rognoni comunica a Dalla Chiesa la nuova nomina.

Dallas non esita a manifestare perplessità, ma suadente Rognoni gli dice: "Caro generale, lei va a Palermo non come Prefetto ordinario ma con il compito di coordinare tutte le informazioni sull'universo mafioso". Il Ministro conta di dargli tutti i poteri in vigore per il suo compito; il generale, che sa quanto sia vana la parola 'coordinamento', vuole poteri reali, uomini, mezzi e fondi (saranno concessi solo al suo successore).
Dalla Chiesa, seguito da cento occhi, ascoltato da cento orecchie, è immerso nei veleni di Palermo e circondato da molti onorevoli e notabili che mal nascondono una viva preoccupazione.
Significativo uno scambio di battute a distanza sui giornali.
Dalla Chiesa: "C'è una crescita della mafia, che va radicandosi anche come realtà politico-malavitosa".
Martellucci: "Io ho la vista acuta, eppure non ho mai visto la mafia".
Dalla Chiesa, alla commemorazione del Colonnello dei Carabinieri Russo ucciso dalla mafia: "Aveva tutti e cinque i sensi sviluppati, ma la mafia l'ha ammazzato".
Il prefetto di Catania: "La mafia, qui da noi, non esiste". Il generale capisce che deve muoversi in fretta, prima che sia troppo tardi.
Altre volte si fa vedere a sorpresa tra la gente, incontra gli allievi dei licei, gli operai nei cantieri. Vuole scuotere la paura e suscitare il consenso.
Non si fa illusioni: "Certamente non sono venuto per sgominare la mafia, perché il fenomeno mafioso non lo si può sgominare in una battaglia campale, in una guerra lampo, un cosiddetto Blitz. Però vorrei riuscire a contenerlo, per poi sgominarlo". Infatti non rinuncia alla richiesta di poteri e mezzi. Quanto ai poteri, l'articolo 31 dello Statuto regionale della Sicilia sancisce che le Forze di Polizia sono sottoposte disciplinarmente, per l'impiego e l'utilizzo, al governo regionale. Come dire che se c'è un governo regionale mafioso, esso ha legalmente più potere del rappresentante dello Stato.
Dalla Chiesa chiede fatti e poteri veri, ma a Roma si è restii a conferirgli poteri più significativi di quelli del ministro degli Interni.

Anche così, tuttavia, Dalla Chiesa agisce. In due successivi blitz, interrompe con 10 arresti il summit dei vincitori corleonesi a Villagrazia, mentre in via Messina Marine scopre una raffineria di eroina con una produzione di 50 chilogrammi a settimana.
Nel giugno 1982 invia il rapporto dei 162, una vera mappa del crimine organizzato. Per 20 giorni i magistrati tacciono poi spiccano 87 mandati di cattura e 18 arresti.
Poi segue un rapporto della Guardia di Finanza sul mondo delle false fatture e dei contributi pubblici finiti nelle tasche di noti esponenti di Palermo e Catania. Inoltre il generale rispolvera l'efficace arma delle indagini su comparati, parentele e amicizie: avvia un'indagine sui registri di battesimo e nozze per vedere quali politici abbiano presenziato a eventi di famiglie mafiose. Riesamina anche vecchie voci di pranzi di ex-ministri con potenti boss e, con dodici agenti della Guardia di Finanza, fa setacciare ben 3.000 patrimoni.
La sua attività si interrompe brutalmente una sera di 40 anni fa.
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Tra i vari riconoscimenti ricevuti dal Generale possiamo ricordarne le tre principali 

MEDAGLIA D'ARGENTO AL VALOR MILITARE
Motivazione
"Durante nove mesi di lotta contro il banditismo in Sicilia cui partecipava volontario, dirigeva complesse indagini e capeggiava rischiosi servizi, riuscendo dopo lunga, intensa ed estenuante azione a scompaginare ed a debellare numerosi agguerriti nuclei di malfattori responsabili di gravissimi delitti. Successivamente, scovati i rifugi dei più pericolosi, col concorso di pochi dipendenti, riusciva con azione rischiosa e decisa a catturarne alcuni e ad ucciderne altri in violento conflitto a fuoco nel corso del quale offriva costante esempio di coraggio.
Sicilia Occidentale, settembre 1949 - giugno 1950"
(Decreto Presidenziale 10 febbraio 1953)

GRANDE UFFICIALE DELL'ORDINE MILITARE D'ITALIA
Motivazione
Ufficiale Generale dell' Arma dei Carabinieri, già postosi in particolare evidenza per le molteplici benemerenze acquisite nella lotta per la Resistenza e contro la delinquenza organizzata, in un arco di nove anni ed in più incarichi -ad alcuno dei quali chiamato direttamente dalla fiducia del Governo - ideava, organizzava e conduceva, con eccezionale capacità, straordinario ardimento, altissimo valore e supremo sprezzo del pericolo, una serie ininterrotta di operazioni contro la criminalità eversiva., Le sue eccelse doti di comandante, la genialità delle concezioni operative, l'infaticabile tenacia, in momenti particolarmente travagliati della vita del Paese e di grave pericolo per le Istituzioni, concorrevano in modo rilevante alla disarticolazione delle più agguerrite ed efferate organizzazioni terroristiche, meritandogli l'unanime riconoscimento della collettività nazionale. Cadeva a Palermo, proditoriamente ucciso, immolando la sua esemplare vita di ufficiale e di fedele servitore dello Stato."
Territorio nazionale 1 ottobre 1973 - 5 maggio 1982

MEDAGLIA D'ORO AL VALOR CIVILE "ALLA MEMORIA"
Motivazione
"Già strenuo combattente, quale altissimo ufficiale dell'Arma dei Carabinieri, della criminalità organizzata, assumeva anche l'incarico, come Prefetto della Repubblica, di respingere la sfida lanciata allo Stato democratico dalle organizzazioni mafiose, costituenti una gravissima minaccia per il Paese. Barbaramente trucidato in un vile e proditorio agguato, tesogli con efferata ferocia, sublimava con il proprio sacrificio una vita dedicata, con eccelso senso del dovere, al servizio delle Istituzioni, vittima dell'odio implacabile e della violenza di quanti voleva combattere.
Palermo, 3 settembre 1982".

 

Degno di nota