Il 16 febbraio la Provincia ricorda Ezio Vanoni nel cinquantesimo anniversario della morte

di Red

Il 16 febbraio 1956, poche ore dopo aver
pronunciato il suo ultimo discorso in Senato, moriva
Ezio Vanoni, allora 52enne Ministro del Bilancio e ad
interim del Tesoro. L’illustre convalligiano, nativo di
Morbegno, considerato una delle figure più insigni della
storia politica italiana, viene ricordato e celebrato
dall’Amministrazione Provinciale di Sondrio con un
convegno che si svolgerà giovedì 16 febbraio, con inizio
alle 10, nella sala consiliare di Palazzo Muzio. Per
l’occasione è atteso a Sondrio Giulio Andreotti, collega
di partito e pure ministro a fianco di Vanoni, che ne
traccerà la figura nell’intervento conclusivo dal
titolo: “Cinquanta anni dopo”. L’apertura sarà affidata
al presidente della Provincia Fiorello Provera che per
primo ha voluto questo evento allo scopo di ricordare
non soltanto il grande politico ma anche l’uomo, noto
per il rigore morale, per l’idealismo e per una non
comune onestà intellettuale. “Con la sua Valtellina nel
cuore e nella mente – scrive il presidente Provera
nell’invito – in un’Italia che si risvegliava
dall’incubo del conflitto mondiale, Ezio Vanoni ha
affermato la forza delle idee e il valore
dell’innovazione per ridare un futuro alla gente.
L’ideale di giustizia sociale ha rappresentato il fine
primo e ultimo di tutto il suo operato: un sogno
inseguito dalla giovinezza, vissuta in luoghi segnati
dalla povertà, all’ultimo giorno della sua esistenza”.
Dopo i saluti del presidente Provera seguiranno quelli
del sindaco di Morbegno Giacomo Capponi. Il professor
Guglielmo Scaramellini, apprezzato storico, presenterà
la Valtellina del tempo di Vanoni e ricorderà l’impegno
per la sua terra. Di seguito Guido Vigna, giornalista e
scrittore, autore di due libri su Vanoni presenterà una
relazione dal titolo: “Quel rivoluzionario di Vanoni”.

Red


“EZIO VANONI“

(Morbegno 1903 – Roma 1956)



Riceviamo e pubblichiamo il curriculum:

Primogenito di quattro figli, nacque a Morbegno
(provincia di Sondrio) il 3 agosto 1903. Cresciuto in
un’agiatezza familiare dovuta ai redditi da lavoro del
padre (segretario comunale a San Martino Val Masino) e
della madre (maestra), trascorse l’infanzia tra Morbegno
e San Martino (dove talvolta accompagnava il padre).
Luoghi marchiati da una profonda povertà che mai potrà
cancellare dai suoi ricordi.


Portò a termine gli studi elementari a Morbegno e quelli
liceali a Sondrio, con il rigore di uno studente sempre
primo della classe. Si laureò in Giurisprudenza nel 1925
al Collegio Ghislieri di Pavia con Benvenuto Griziotti,
discutendo una tesi dal titolo “Natura ed
interpretazione delle leggi tributarie”.


Fu proprio negli anni trascorsi al Ghislieri che Vanoni
fece le prime esperienze politiche. Spinto da ideali
libertari e da un senso di solidarietà, si accostò al
Gruppo studenti Socialisti (si contrapponeva ai Gruppi
universitari fascisti che nascevano con l’imporsi del
fascismo).


Conseguita la laurea, a causa dell’affermarsi
totalitario del fascismo che reprimeva qualsiasi forma
di opposizione e qualsiasi forma di libera espressione
del pensiero, esaurì anche la vocazione politica
sbocciata a Pavia, dedicandosi totalmente agli studi e
alla carriera.


Divenne subito assistente volontario di Benvenuto
Griziotti nell’Istituto Giuridico dell’Università di
Pavia, lavorando tra il 1926 e il 1927 ad una ricerca
dal titolo “La rivalutazione della lira e l’equilibrio
economico” (era una ricerca che rientrava nel dibattito
“quota novanta”).


Nel 1926 vinse la borsa di studio Lorenzo Ellero, per
due anni di perfezionamento in scienze economiche
all’Università Cattolica del Sacro Cuore, che però non
portò a termine in quanto nel 1928 si vide assegnare una
borsa di studio dalla Fondazione Rockefeller, per due
anni di studio in Germania.


Nei due anni vissuti in Germania approfondì gli studi in
scienza delle finanze e in diritto finanziario,
acquisendo un ampio bagaglio scientifico nel ramo
finanziario. In quegli anni maturò anche una concezione
dello Stato come entità morale prima che politica.


Nel 1930 ebbe l’incarico per l’insegnamento di Scienza
delle Finanze e Diritto finanziario nella Facoltà di
Giurisprudenza dell’Università di Cagliari. L’anno
seguente, aprì a Milano uno studio come avvocato,
frequentato da un’importante clientela.


Nel 1932 si vide assegnare l’incarico di libera docenza
in scienza delle finanze e diritto finanziario. Nello
stesso anno, il 7 gennaio 1932, si sposò a Morbegno con
Felicita Dell’Oro, dalla cui unione nacquero Marina (nel
1933) e Lucia (nel 1934). Dal 1932 Vanoni continuò ad
inseguire la titolarità della cattedra in scienza delle
finanze e diritto finanziario (di cui già possedeva la
libera docenza), ma incorse in pesanti bocciature, nel
1932 quando si presentò per la cattedra dell’Università
di Messina e nel 1935 allorquando sostenne l’esame per
la cattedra dell’Università di Camerino. Probabilmente
Vanoni non si vide assegnare la cattedra perché non era
iscritto al partito nazionale fascista, circostanza
questa che lo relegò in uno stato di emarginazione e che
gli precluse, per molti anni, qualsiasi ambizione di
carriera.


Dal 1933 al 1936 Vanoni ricevette l’incarico per la
cattedra di scienza delle finanze e diritto finanziario
alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma.
Gli anni che visse a Roma furono molto importanti per la
sua maturazione ideologica e politica. Conobbe infatti,
Sergio Paronetto, la cui amicizia venne facilitata da
Pasquale Saraceno, docente all’Università di Roma,
dirigente dell’IRI e cognato di Vanoni, e riprese a
frequentare i vecchi compagni di lotta del Collegio
Ghislieri.

Fu grazie a Paronetto che, a Roma, Vanoni entrò in
contatto con esponenti del mondo cattolico quali De
Gasperi e Gonella che contribuirono alla rinascita di
una vocazione politica che Vanoni aveva accantonato da
tempo. Fu sempre Paronetto l’ispiratore della
trasformazione di Vanoni da uomo di studio a uomo di
azione e che gli fece riscoprire la fede religiosa.


Conclusasi l’esperienza di insegnamento all’Università
di Roma, dal 1937 al 1938 Vanoni insegnò su incarico
all’Università di Padova (sempre scienza delle finanze e
diritto finanziario) e fondò, insieme a Benvenuto
Griziotti e Mario Pugliese, la “Rivista di scienza delle
finanze e diritto finanziario”. Nel 1938 pubblicò “Il
problema della codificazione tributaria”, in cui
traspariva con evidenza l’influenza lasciata dagli
incontri romani con Paronetto.

Nello stesso anno, per amor di carriera, aderì al
partito nazionale fascista anche se subì come una
vergogna la tessera che lo qualificava come fascista e
non rinnegò mai il suo passato di giovane socialista. Fu
così che nel 1939 vinse la titolarità della cattedra di
scienza delle finanze e diritto finanziario, presso
l’Istituto Superiore di Economia e Commercio di Venezia,
Ca’ Foscari.


Tra il 1941 e il 1944 Vanoni partecipò, insieme a De
Gasperi, Paronetto, Capograssi e Saraceno alla stesura
del “Codice di Camaldoli”, documento sintetizzato in
settantasei enunciati di chiara ispirazione
antifascista, in cui si affermava lo Stato come entità
morale e la politica come scienza che tendeva alla
realizzazione della giustizia sociale, rivolto a tutte
le coscienze cattoliche che dovevano reagire alla
condizione di torpore ideologico e di azione, in cui il
fascismo le aveva trascinate.


Negli anni successivi, al codice vennero aggiunti due
capitoli che riguardavano i temi della famiglia e
dell’educazione. Argomenti che volutamente nel testo
originario, furono trascurati per dare maggiore spazio e
risalto al tema della giustizia sociale. Il codice
ispirò buona parte dell’attività politica di Vanoni. Dal
1943 iniziò la vera e intensa vita politica di Vanoni.
Già nella Dc, fu subito nominato Commissario del
dissolto sindacato fascista dei lavoratori del
commercio. La nomina, seguita poi dalla firma
dell’appello ai lavoratori per la resistenza al fascismo
e alle forze tedesche di occupazione, fecero si che
Vanoni, braccato dalla dittatura, vivesse in uno stato
di clandestinità fino alla liberazione di Roma (4 giugno
1944). Fu questo il periodo in cui si dedicò
maggiormente alla scrittura dei capitoli del Codice di
Camaldoli a lui attribuiti.


Dalla liberazione di Roma al 1946 venne investito da
numerosi incarichi: commissario alla Banca Nazionale
dell’Agricoltura; consigliere nazionale della Dc;
deputato per la Dc nell’Assemblea Costituente eletta il
2 giugno 1946; esperto per le questioni economiche e
finanziarie nella delegazione che, presieduta da De
Gasperi, partecipò alla Conferenza di pace di Parigi;
componente della Commissione dei Settantacinque che fu
nominata nel luglio del 1946 per lo studio e la stesura
della carta costituzionale.

In particolare, nella Costituente fece parte della
seconda commissione (delle tre in cui era stata divisa)
che doveva occuparsi dell’ordinamento costituzionale
dello Stato e che, fra gli altri problemi, dovette
affrontare quello dei poteri da attribuire al Presidente
del Consiglio. Vanoni si schierò fra quelli che volevano
ampi poteri al Presidente del consiglio, per fare del
capo del Governo un vero e proprio primo ministro.
Vanoni uscì sconfitto da quella battaglia politica e i
poteri assegnati al Presidente del Consiglio furono
quelli previsti dall’articolo 95 della Costituzione.


Tra il 1943 e il 1946 pubblicò quattro contributi,
espressione del suo pensiero sulla giustizia sociale:
“La finanza e la giustizia sociale” (1943); “La persona
umana nella pubblica economia” (1945); “Il nostro
programma sociale” (1946); “La nostra via” (è il
documento che più degli altri, racchiude il suo pensiero
in merito al sistema politico ed economico migliore da
adottare per realizzare una vera giustizia sociale).


Nel 1947 venne nominato Ministro del Commercio con
l’estero, nel terzo Governo De Gasperi. Erano, quelli,
anni difficilissimi per l’Italia: inflazione
elevatissima; aumento vertiginoso del disavanzo dello
Stato; fame dilagante. E la bufera in cui versava
L’Italia del ‘47, non risparmiò neppure il Ministro
Vanoni, che venne accusato in Parlamento, dal deputato
indipendentista Finocchiaro Aprile, di aver percepito
compensi esagerati mentre era commissario della Banca
Nazionale dell’Agricoltura. La disillusione per le
accuse che gli vennero mosse, lo spinsero quasi
all’abbandono della vita politica.

La prima esperienza di Governo di Vanoni durò poco più
di cento giorni e nel successivo Governo De Gasperi, non
occupò alcun incarico di governo. Nelle elezioni del 18
aprile 1948, Vanoni fu eletto Senatore e diventò
Ministro delle Finanze, nel rimpasto del Governo deciso
da De Gasperi in seguito dell’esito delle elezioni.
Vanoni si distinse per la completezza e la lungimiranza
delle sue idee in campo economico.


Il filo conduttore, che ha ispirato anche le principali
riforme, è la convinzione che è l’economia pubblica che
serve l’uomo e non viceversa. In particolare, lo scopo
della politica economica è di garantire a tutti gli
uomini un’esistenza libera e dignitosa, mantenere la
stabilità dell’occupazione assicurando nel contempo a
ciascuno un adeguato compenso. Si osserva che,
nonostante la matrice socialista del pensiero economico
di Vanoni, egli non era un assertore delle teorie
keynesiane sull’intervento dello Stato nell’economia.
Era profonda convinzione di Vanoni che il perseguimento
del fine dell’incremento dell’occupazione e della
crescita del reddito nazionale non potrebbe essere
conseguito attraverso l’intervento diretto dello Stato
per finanziare una politica di lavori pubblici al solo
scopo di movimentare il mercato. Infatti, tranne
limitate manovre monetarie per ristabilire l’equilibrio
tra prezzi interni ed esteri, Vanoni riteneva (con
lungimiranza) che il ricorso alla moneta come strumento
di politica monetaria indebolisce il sistema monetario,
ingenerando dannosi meccanismi inflattivi.

Appena giunto al Governo, iniziò a lavorare alla riforma
tributaria prefiggendosi l’obiettivo di raggiungere una
giustizia fiscale, che era anche uno dei presupposti di
una democrazia autentica. Ma, prima di una riforma in
ambito di ordinamento legislativo, era necessaria,
innanzitutto, una rivoluzione morale. Bisognava cambiare
le coscienze e convincere gli italiani riguardo ai loro
obblighi nei confronti del fisco, in virtù di un dovere
sociale che era anche un dovere morale.


La legge più significativa della riforma del sistema
tributario italiano fu la legge 11 gennaio 1951, n. 25
che passò alla storia con il nome di “perequazione
tributaria”. Perequare significava far pagare di più a
chi poteva pagare di più per sgravare i meno abbienti.

I cardini della legge erano: l’introduzione della
dichiarazione annuale unica dei redditi; l’abbassamento
delle aliquote e l’innalzamento dei minimi imponibili;
la possibilità che veniva offerta ai contribuenti morosi
di condonare il passato senza oneri eccessivi.
L’obiettivo era quello di aumentare il gettito delle
imposte dirette facendo emergere gli evasori totali che
con la nuova legge erano costretti a dichiarare gli
incrementi del proprio reddito anno per anno.

La riforma del sistema tributario, però, non poteva
prescindere da una radicale riorganizzazione
dell’amministrazione finanziaria. Si diede, quindi, il
via al progetto di trasformazione delle strutture che
prevedeva interventi sulle sedi, sui mezzi e sugli
uomini. Vanoni rivestì la carica di Ministro delle
Finanze sino al 12 gennaio 1954. A Vanoni si deve anche
la nascita dell’Eni. Difatti, il disegno di legge che
prevedeva la costituzione dell’ente, venne preparato dal
Ministero delle Finanze quando egli era ministro. La
costituzione dell’Eni suscitò molte perplessità e
disappunto sia nel mondo politico che in quello
imprenditoriale. Si apriva, di fatto, la discussione se
fosse più opportuno intervenire in determinati settori
dell’economia ritenuti critici con iniziativa privata o
con un intervento diretto dello Stato.

Per il caso Eni, il dibattito era se fosse più opportuno
intervenire nel settore energetico creando un monopolio
privato oppure creando un monopolio pubblico. Vanoni
scelse il monopolio pubblico (creando appunto l’Eni),
non senza polemiche e aspri dibattiti. La sua scelta di
organizzazione produttiva pubblica, era finalizzata a
promuovere il bene comune, collegando gli interessi dei
produttori con quelli dei consumatori.


Il 18 gennaio 1954 Vanoni fu nominato Ministro del
Bilancio nel primo governo Fanfani e mantenne la carica
sia nel successivo governo Scelba, sia nel Governo
presieduto da Segni.

Durante il suo mandato affrontò il problema cruciale di
quegli anni di ripresa economica, ovvero l’espansione
dei diversi settori produttivi per lo sviluppo economico
del Paese e l’eliminazione della disoccupazione e della
sottoccupazione. Presentò, in tal senso, al Paese lo
“Schema di sviluppo dell’occupazione e del reddito in
Italia nel decennio 1955-64”, che passò alla storia come
“piano Vanoni”.


Per un breve periodo, dal 30 gennaio 1956 al 16 febbraio
1956, ricoprì anche la carica di Ministro del Tesoro ad
interim.


Alle 14,10 del 16 febbraio 1956, colto da malore mentre
pronunciava un lungo discorso al Senato, Ezio Vanoni si
spense a Palazzo Madama in presenza della moglie che lo
teneva per mano, delle figlie Marina e Lucia e della
sorella Giuseppina.

.

GdS 10 II 2006 -
www.gazzettadisondrio.it

Red
Editoriali