Il film “Mio Figlio” e l’omosessualità. Ma le cose non stanno così

La Rai ha mandato in onda la fiction "Mio
Figlio". Un film che racconta lo svelamento di un figlio al padre
della propria “diversità” sessuale. A detta di molti critici, la
produzione ha avuto il coraggio e il merito di affrontare lo
“scabroso” tema dell’omosessualità. In realtà l’intento della
fiction è stato quello di ingenerare nell’opinione pubblica la
convinzione che l’omosessualità sia una condizione assolutamente
naturale.

Abilmente gli autori del film hanno creato ad arte
degli stereotipi di identificazione, dove gli eterosessuali
vengono fatti passare per “cattivi” (il padre e un collega
poliziotto), e gli omosessuali “sdoganati” come “buoni” (il
figlio). Facendo poi leva sui triti e ritriti giochini
sentimentali e lacrimevoli, il ribaltamento del “buon senso”
sembrava cosa fatta.

Occorre ricordare a certa morale laica che
la “moralità” e la legittimità delle azioni e delle scelte umane
(omosessualità compresa) non si “giudica” con il metro
dell’emotività spontanea e soggettiva. Non occorre scomodare la
religione, basta la sola ragione a fondare una morale umana
capace di discernere ciò che è buono o da evitare (nella
fattispecie, la sterile infecondità dell’omosessualità).
Evidentemente, le organizzazioni omosessuali italiane incapaci
di ingraziarsi le simpatie degli italiani con le più disparate e
patetiche tattiche di penetrazione mediatica (vedi le
infruttifere marcette gay e la ridicola pratica dell’outing),
con questo film ci hanno riprovato con il bon ton dei sentimenti
mielosi.

Una strategia, anche quest’ultima, destinata a cadere
nella polvere.

Gianni Toffali


Gianni.Toffali@inwind.it

GdS 20 I 2005 -
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Gianni Toffali
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