Un Natale incompiuto

Lacrime amare - Panormamica, un po' insolita, del Natale Racconti di Natale (Il Natale di Martin - La canna - Leggenda del vischio - Traccia di Dio)


LACRIME AMARE


Mentre scrivo, lacrime amare mi scendono copiose dagli occhi.

Mi sento oltremodo oltraggiata dagli ultimi, terribili scandali
che hanno trafitto l’Italia, fatta perlopiù da gente lavoratrice
e tradizionalista, perchè ne sono coinvolti in modo pacchiano
tre personaggi che si facevano vanto di essere cristiani e di
appartenere alla Chiesa cattolica. Non merita
che riportiamo i loro nomi.
Sono nel fango e vorrebbero che tutti lo fossero come loro.
Non è così, per fortuna.

Ci sono le mani di Diego che ha 10 mesi e che vuole portarsi
alla bocca i poveri angioletti che sono parte di un piccolo
presepe, quello azzurro e trasparente di vetro che i nonni gli
hanno spedito da Venezia, a lui che abita a Fortezza e sta in
mezzo alla neve. La sua mamma, forse, gli racconterà qualcosa di
questo Bambino che è venuto al mondo per portare giustizia e
pace.

E giustizia e pace invocano tutti nel mondo contemporaneo anche
se, per dirla con Qoelet( uno degli autori dei libri biblici) i
“più fortunati ancora quelli che ancora non sono mai nati,

quelli che non hanno mai visto

tutte le ingiustizie di questo mondo”(Qoelet 4, 3).

Anche se il fastidioso ronzio della TV che reclamizza prodotti e
merci di ogni genere, seppure soffuso di dolci melodie natalizie
ti fanno venire voglia di nasconderti da qualche parte, non si
può ignorare che per milioni di persone il Natale significa
ancora speranza di salvezza da ogni genere di mali.


PANORAMICA, UN PO'
INSOLITA, DEL NATALE


Ed è in quest’ottica che si offre una panoramica, un po’
insolita di questo Evento che ha permesso a tutti di tendere ad
un futuro più fraterno.

La nascita di Gesù, secondo il Protovangelo di Giacomo, un testo
apocrifo del Nuovo Testamento, presente nel CODICE DI HEREFORD (seconda metà del secolo XIII)


H61] Mentre erano in cammino dalla città di Nazaret lungo la
strada che conduce a Betlemme, Maria disse a Giuseppe di vedere
due popoli che le venivano incontro, uno che piangeva, l'altro
che rideva. Giuseppe, al quale non era stato manifestato nulla
del genere, l'ammonì di pensare al viaggio ormai iniziato, e di
smettere con le parole inutili.

Mentre si stavano scambiando queste parole, davanti ai loro
occhi apparve un fanciullo dal volto grazioso, che indossava uno
splendido abito. Costui disse a Giuseppe: "Perché hai detto che
erano superflue le parole dette da Maria a proposito dei due
popoli? Lei vede il popolo ebraico che piange giacché si è
allontanato dal suo Dio e scorge il popolo gentile che ride
giacché, per mezzo della fede, si è avvicinato al Dio suo
creatore, secondo la promessa di Dio ai nostri padri Abramo,
Isacco e Giacobbe. Poiché ormai è giunto il tempo nel quale, per
mezzo della discendenza di Abramo, la benedizione è data a tutte
le genti". E così dicendo, fu sottratto ai loro occhi.

 

[H62] Avvicinandosi a Betlemme, Giuseppe li precedette nella
città lasciando suo figlio Simeone con Maria che, essendo
incinta, procedeva alquanto più lenta.

Entrato nella città di Betlemme, sua patria, stava in mezzo alla
città e gridava dicendo: "E' ben giusto che ognuno ami la città
e la patria natia, e giunto nella propria tribù quivi si riposi,
giacché essa è il riposo dato a ogni uomo. Esultante, io ti
rivedo ormai dopo molto tempo, Betlemme, città del grande re e
profeta di Dio, Davide".


[H63] Detto questo si pose a guardare, e vide una stalla isolata
e vuota; disse tra sé: "E' necessario che noi alloggiamo in
questo luogo, poiché pare che sia un ricovero per pellegrini,
mentre io non ho né‚ ospizio né albergo dove possiamo fermarci".
Così Giuseppe scelse quel luogo per alloggiarvi e fermarsi con
tutti i suoi, poiché, pur essendo un'abitazione piccola, certo
era adatta ai poveri; era molto appartata dai clamori degli
uomini e dal tumulto delle folle, e quivi nulla poteva nuocere a
una donna partoriente.


[H64] Dopo ciò, uscito nuovamente dalla città, guardò sulla
strada ed ecco che vede Maria con Simeone che si stavano già
avvicinando. Quando giunsero, Giuseppe domandò a Simeone perché
avevano tardato a venire. Gli rispose: "Non sono io, padre, che
ho tardato, ma la mia signora essendo incinta, ad ogni ora,
lungo il cammino, faceva una pausa e si riposava. Io sono stato
sempre preoccupato a suo riguardo temendo che la sorprendesse il
parto; ma ringrazio Dio che in tutto questo cammino le ha
concesso di resistere. Poiché, a quanto io suppongo e come ella
stessa afferma, il tempo del suo parto è vicino".


[H65] Allora Giuseppe disse a Maria: "Signora figliuola, hai
sofferto molto per causa mia! Entra dunque e abbi cura di te". E
ordinò a Simeone di portare l'acqua per lavare i piedi, di
preparare i cibi e di somministrarle diligentemente ogni altra
cosa di cui avesse avuto bisogno.


[H66] Simeone disse poi segretamente al padre: "Che pensiamo che
succeda a questa fanciulla? Parla per tutto il tempo tra sé e
sé, e prega". Rispose Giuseppe: "Essendo stanca del cammino che
abbiamo percorso, parla in segreto con Dio". Ma Giuseppe disse
questo dissimulando. E avvicinatosi a Maria, la pregò di
alzarsi, di salire sul lettuccio, che egli già le aveva
preparato in quella grotta, e di riposarvisi.


[H67] Avvenuto questo, Giuseppe volle uscire un poco fuori, in
città. Ma subito lo seguì Simeone per dirgli: "Affrettati,
signor padre, e vieni dentro al più presto da Maria! Desidera
molto che tu sia con lei. Penso che il suo parto sia già
vicino". Giuseppe gli disse: "E' necessario che io non mi
allontani da lei. Ma tu figlio, corri presto in città e cerca
un'ostetrica che venga a prestarle servizio". Simeone gli
rispose: "Io che sono sconosciuto in questa città, non so come e
dove troverò una donna ostetrica. Ma ascoltami, padre: ho
fiducia e sono certo che Dio ha cura di lei; egli invierà
un'ostetrica e una balia, e le procurerà ogni cosa necessaria".


[H68] Mentre dicevano tra loro queste cose, apparve davanti a
loro una ragazza che veniva portando il seggiolone sul quale
sogliono partorire le donne. Al vederla, si meravigliarono.
Giuseppe le rivolse la parola, dicendo: "Figliuola, dove vai con
il seggiolone che porti?". La ragazza gli rispose: "La mia
maestra mi ha mandato in questo luogo, e lei mi vien dietro
velocemente". Giuseppe, allora, guardò e vide che una donna
stava scendendo in fretta. Pieno di gioia, le andò incontro e la
salutò. Questa donna gli disse: "Uomo, dove vai, che vuoi?".
Egli rispose: "Cerco e voglio un'ostetrica ebrea". Gli domandò:
"Sei tu un uomo di Israele?". Rispose Giuseppe: "Sicuramente, io
sono Israelita!". Allora la donna gli disse: "Ecco, venne da me
un giovane bellissimo con grande fretta, e mi ordinò: Va' presto
in quel luogo ad accogliere un nuovo parto giacché una fanciulla
che viene da Nazaret partorisce il primo bambino. Chi è dunque
questa fanciulla?". Giuseppe rispose: "Certo, mi è stata data in
sposa, ma in verità ha concepito dallo Spirito santo, restando
intatta e vergine". Essa domandò. "E' vero ciò che tu affermi?".
Rispose Giuseppe: "Vieni e vedi!".

 

[H69] L'ostetrica. E la introdusse con sé nell'ospizio. Era
ormai sera. Entrando videro una luce fulgidissima che irradiava
tutt'intorno la grotta ove era Maria, tanto che la donna non
osava accostarvisi. Ma Giuseppe, avvicinatosi a Maria, le disse:
"Ecco, ti ho condotto l'onesta ostetrica Zelam, che sta fuori
poiché a causa dello splendore di questa luce non si può
avvicinare". All'udire ciò, Maria sorrise, e ordinò di
introdurla da lei. Giuseppe, andato dall'ostetrica, le disse:
"Entra! Te lo ha infatti ordinato la signora, e visitala".
Allora l'ostetrica entrò nella grotta nella quale né‚ di giorno,
né di notte mancava la luce.

Dopo che essa aveva permesso di essere visitata, l'ostetrica
esclamò a gran voce con ammirazione: "O Signore, Dio grande e
onnipotente, abbi pietà! Poiché non si è mai udito né visto che
le mammelle siano piene di latte e il nato maschietto dimostri
che sua madre è vergine. Nel neonato non appare alcuna macchia
di sangue, nessun dolore si è manifestato nella partoriente. Ha
concepito vergine, vergine ha partorito, e dopo aver partorito
rimane vergine". ..

RACCONTI DI NATALE (CFR: spazioinmovimento@libero.it )
Il Natale di Martin (Leone Tolstoj)

In una certa città viveva un ciabattino, di nome Martin Avdeic.
Lavorava in una stanzetta in un seminterrato, con una finestra
che guardava sulla strada. Da questa poteva vedere soltanto i
piedi delle persone che passavano, ma ne riconosceva molte dalle
scarpe, che aveva riparato lui stesso. Aveva sempre molto da
fare, perché lavorava bene, usava materiali di buona qualità e
per di più non si faceva pagare troppo.

Anni prima, gli erano morti la moglie e i figli e Martin si era
disperato al punto di rimproverare Dio. Poi un giorno, un
vecchio del suo villaggio natale, che era diventato un
pellegrino e aveva fama di santo, andò a trovarlo. E Martin gli
aprì il suo cuore.

- Non ho più desiderio di vivere - gli confessò. - Non ho più
speranza.

Il vegliardo rispose: « La tua disperazione è dovuta al fatto
che vuoi vivere solo per la tua felicità. Leggi il Vangelo e
saprai come il Signore vorrebbe che tu vivessi.

Martin si comprò una Bibbia. In un primo tempo aveva deciso di
leggerla soltanto nei giorni di festa ma, una volta cominciata
la lettura, se ne sentì talmente rincuorato che la lesse ogni
giorno.

E cosi accadde che una sera, nel Vangelo di Luca, Martin arrivò
al brano in cui un ricco fariseo invitò il Signore in casa sua.
Una donna, che pure era una peccatrice, venne a ungere i piedi
del Signore e a lavarli con le sue lacrime. Il Signore disse al
fariseo: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e non
mi hai dato acqua per i piedi. Questa invece con le lacrime ha
lavato i miei piedi e con i suoi capelli li ha asciugati... Non
hai unto con olio il mio capo, questa invece, con unguento
profumato ha unto i miei piedi.

Martin rifletté. Doveva essere come me quel fariseo. Se il
Signore venisse da me, dovrei comportarmi cosi? Poi posò il capo
sulle braccia e si addormentò.

All'improvviso udì una voce e si svegliò di soprassalto. Non
c'era nessuno. Ma senti distintamente queste parole: - Martin!
Guarda fuori in strada domani, perché io verrò.

L'indomani mattina Martin si alzò prima dell'alba, accese il
fuoco e preparò la zuppa di cavoli e la farinata di avena. Poi
si mise il grembiule e si sedette a lavorare accanto alla
finestra. Ma ripensava alla voce udita la notte precedente e
così, più che lavorare, continuava a guardare in strada. Ogni
volta che vedeva passare qualcuno con scarpe che non conosceva,
sollevava lo sguardo per vedergli il viso. Passò un facchino,
poi un acquaiolo. E poi un vecchio di nome Stepanic, che
lavorava per un commerciante del quartiere, cominciò a spalare
la neve davanti alla finestra di Martin che lo vide e continuò
il suo lavoro.

Dopo aver dato una dozzina di punti, guardò fuori di nuovo.
Stepanic aveva appoggiato la pala al muro e stava o riposando o
tentando di riscaldarsi. Martin usci sulla soglia e gli fece un
cenno. - Entra• disse - vieni a scaldarti. Devi avere un gran
freddo.

- Che Dio ti benedica!- rispose Stepanic. Entrò, scuotendosi di
dosso la neve e si strofinò ben bene le scarpe al punto che
barcollò e per poco non cadde.

- Non è niente - gli disse Martin. - Siediti e prendi un po' di
tè.

Riempi due boccali e ne porse uno all'ospite. Stepanic bevve
d'un fiato. Era chiaro che ne avrebbe gradito un altro po'.
Martin gli riempi di nuovo il bicchiere. Mentre bevevano, Martin
continuava a guardar fuori della finestra.

- Stai aspettando qualcuno? - gli chiese il visitatore.

- Ieri sera- rispose Martin - stavo leggendo di quando Cristo
andò in casa di un fariseo che non lo accolse coi dovuti onori.
Supponi che mi succeda qualcosa di simile. Cosa non farei per
accoglierlo! Poi, mentre sonnecchiavo, ho udito qualcuno
mormorare: "Guarda in strada domani, perché io verrò".

Mentre Stepanic ascoltava, le lacrime gli rigavano le guance. -
Grazie, Martin Avdeic. Mi hai dato conforto per l'anima e per il
corpo.

Stepanic se ne andò e Martin si sedette a cucire uno stivale.
Mentre guardava fuori della finestra, una donna con scarpe da
contadina passò di lì e si fermò accanto al muro. Martin vide
che era vestita miseramente e aveva un bambino fra le braccia.
Volgendo la schiena al vento, tentava di riparare il piccolo coi
propri indumenti, pur avendo indosso solo una logora veste
estiva. Martin uscì e la invitò a entrare. Una volta in casa, le
offrì un po' di pane e della zuppa. - Mangia, mia cara, e
riscaldati - le disse.

Mangiando, la donna gli disse chi era: - Sono la moglie di un
soldato. Hanno mandato mio marito lontano otto mesi fa e non ne
ho saputo più nulla. Non sono riuscita a trovare lavoro e ho
dovuto vendere tutto quel che avevo per mangiare. Ieri ho
portato al monte dei pegni il mio ultimo scialle.

Martin andò a prendere un vecchio mantello. - Ecco - disse. - È
un po' liso ma basterà per avvolgere il piccolo.

La donna, prendendolo, scoppiò in lacrime. - Che il Signore ti
benedica.

- Prendi - disse Martin porgendole del denaro per disimpegnare
lo scialle. Poi l’accompagnò alla porta.

Martin tornò a sedersi e a lavorare. Ogni volta che un'ombra
cadeva sulla finestra, sollevava lo sguardo per vedere chi
passava. Dopo un po', vide una donna che vendeva mele da un
paniere. Sulla schiena portava un sacco pesante che voleva
spostare da una spalla all'altra. Mentre posava il paniere su un
paracarro, un ragazzo con un berretto sdrucito passò di corsa,
prese una mela e cercò di svignarsela. Ma la vecchia lo afferrò
per i capelli. Il ragazzo si mise a strillare e la donna a
sgridarlo aspramente.

Martin corse fuori. La donna minacciava di portare il ragazzo
alla polizia. - Lascialo andare, nonnina - disse Martin. -
Perdonalo, per amor di Cristo.

La vecchia lasciò il ragazzo. - Chiedi perdono alla nonnina -
gli ingiunse allora Martin.

Il ragazzo si mise a piangere e a scusarsi. Martin prese una
mela dal paniere e la diede al ragazzo dicendo: - Te la pagherò
io, nonnina.

- Questo mascalzoncello meriterebbe di essere frustato - disse
la vecchia.

- Oh, nonnina - fece Martin - se lui dovesse essere frustato per
aver rubato una mela, cosa si dovrebbe fare a noi per tutti i
nostri peccati? Dio ci comanda di perdonare, altrimenti non
saremo perdonati. E dobbiamo perdonare soprattutto a un giovane
sconsiderato.

- Sarà anche vero - disse la vecchia - ma stanno diventando
terribilmente viziati.

Mentre stava per rimettersi il sacco sulla schiena, il ragazzo
sì fece avanti. - Lascia che te lo porti io, nonna. Faccio la
tua stessa strada.

La donna allora mise il sacco sulle spalle del ragazzo e si
allontanarono insieme.

Martin tornò a lavorare. Ma si era fatto buio e non riusciva più
a infilare l'ago nei buchi del cuoio. Raccolse i suoi arnesi,
spazzò via i ritagli di pelle dal pavimento e posò una lampada
sul tavolo. Poi prese la Bibbia dallo scaffale.

Voleva aprire il libro alla pagina che aveva segnato, ma si apri
invece in un altro punto. Poi, udendo dei passi, Martin si
voltò. Una voce gli sussurrò all'orecchio: - Martin, non mi
riconosci?

- Chi sei? - chiese Martin.

- Sono io - disse la voce. E da un angolo buio della stanza uscì
Stepanic, che sorrise e poi svanì come una nuvola.

- Sono io - disse di nuovo la voce. E apparve la donna col
bambino in braccio. Sorrise. Anche il piccolo rise. Poi
scomparvero.

- Sono io - ancora una volta la voce. La vecchia e il ragazzo
con la mela apparvero a loro volta, sorrisero e poi svanirono.

Martin si sentiva leggero e felice. Prese a leggere il Vangelo
là dove si era aperto il libro. In cima alla pagina lesse: Ebbi
fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi dissetaste, fui
forestiero e mi accoglieste. In fondo alla pagina lesse: Quanto
avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, l’avete
fatto a me.

Così Martin comprese che il Salvatore era davvero venuto da lui
quel giorno e che lui aveva saputo accoglierlo.

La canna

La notte in cui nacque Gesù, gli angeli scesero dal cielo, e
cantarono, danzando girotondi a grappoli intorno alla grotta di
Betlemme. La melodia del canto era la più pura e toccante che
mai si fosse sentita sulla terra, ma non molti la notarono. Gli
abitanti dei dintorni percepirono solo un leggero brusio, si
voltarono dall'altra parte e continuarono a dormire. Bisogna
avere un cuore speciale per sentire il canto degli angeli. Ma in
fondo ad un canalone, sulle rive di uno stagno, una giovane
canna l'ascoltò. Cominciò a vibrare al ritmo della melodia,
ondeggiando flessuosa con tutte le sue fibre. "Piantala!"
brontolò una vecchia canna, "Mi fai venire il mal di testa!".
"Lasciaci dormire", fecero eco le altre canne.

Anche fra le canne, non tutte riescono a sentire le musiche
degli angeli. Ma la giovane canna continuò ad assorbire
quell'armonia dolcissima che scendeva dal cielo e ripeteva,
danzando leggera nell'aria: "Gloria a Dio nell'alto dei cieli e
pace in terra agli uomini che egli ama".

Il flauto

Passò del tempo. La giovane canna divenne robusta e nodosa, ma
ogni volta che il vento soffiava, vibrava ripetendo la lontana
melodia degli angeli. Un giorno un giovane pastore portò le sue
pecore ad abbeverarsi allo stagno. Mentre le pecore si
accalcavano per raggiungere l'acqua, il pastore si guardava
intorno. Il suo sguardo fu attirato dalla canna. Da tempo voleva
fabbricarsi un nuovo flauto, perché quello vecchio era
scheggiato e il canto non era più sonoro e nitido. Impugnò il
coltello e tagliò la canna, la studiò un momento e cominciò ad
intagliarla. Quando lo appoggiò alle labbra e cominciò a
soffiare, il suono che uscì dal flauto sorprese il pastore. Era
un suono limpido e leggero, sembrava andare diritto al cuore di
chi l'ascoltava. Quella sera accanto al fuoco, il pastore trasse
il flauto dalla bisaccia e cominciò a suonare. Di colpo tutti
tacquero e sembrò per un attimo che anche il fuoco cessasse di
crepitare, per ascoltare quel suono, quella purissima melodia.
Anche il pastore era sbalordito, gli pareva, a tratti, di non
essere lui a suonare. Era come se il flauto andasse per conto
suo e che quella melodia angelica fosse dentro le sue fibre di
legno. Un vecchio pastore chiuse gli occhi e mormorò: "Mi pare
di averla già sentita, una notte, tanto tempo fa, dalle parti di
Betlemme...".Ma il flauto serbava un segreto ancora più
sorprendente. Un giorno tra due gruppi di pastori scoppiò una
lite furibonda per ragioni di precedenza in alcuni pascoli.
Volarono le prime bastonate e qualche mano corse al coltello.
Colpito da una improvvisa ispirazione il giovane pastore portò
alle labbra il flauto e cominciò a suonare. Il suono era
apparentemente debole, ma i litiganti si fermarono, le mani
strette a pugno si aprirono e ai pastori venne una gran voglia
di fare la pace e darsi una mano perché la vita è già abbastanza
difficile. Da quel giorno, ogni volta che scoppiava un litigio,
i presenti chiamavano il pastore e gli dicevano:" Suona il
flauto" e al suono del flauto le tensioni si placavano, le voci
irose si addolcivano e le collere si spegnevano. I cuori di
ghiaccio si scioglievano e i sorrisi rifiorivano. Ma quale fu il
destino dello splendido strumento che racchiudeva il canto degli
angeli?

L'eredità

Quando si sentì vecchio, il pastore affidò il flauto al figlio.
Questi divenne celebre con il nome di "pacificatore". Quando
pacificatore morì, il flauto passò al figlio, che a sua volta lo
lasciò al figlio e così via per secoli, finché un crociato lo
comprò come ricordo di Terrasanta e lo portò in Europa. Ma
nessuno si ricordava più dello straordinario potere del flauto.
Passò di baule in baule, di eredità in eredità, finché...

"Nonno, di chi è questo vecchio flauto?" domandò Albi, nove anni
mentre rovistava negli scatoloni della soffitta. "L'aveva
comprato il bisnonno ad un asta di cimeli, probabilmente è molto
antico", rispose il nonno. "Lo posso tenere?". "Certo". "Magari
è magico...", concluse Albi e cominciò a lucidarlo con il
fazzoletto. Lo portò alle labbra, il suono era dolce e limpido.
Il mattino dopo, Albi portò il suo nuovo flauto a scuola. Non
faceva bella figura, era nero e opaco. La maestra era in ritardo
e la classe in subbuglio. Riccardo e Mario si erano messi a
litigare furiosamente e si stavano picchiando, rovesciando libri
e banchi. Albi si rifugiò in un angolo e provò il flauto.
Un'armonia soave e leggera avvolse i bambini. Riccardo e Mario
si fermarono come per incanto. "Scusami", disse Riccardo,
"Facciamo la pace", rispose Mario. Tutti guardarono Albi, "Come
suoni bene!", esclamò Mirella, "Io veramente ci ho solo soffiato
dentro..." mormorò Albi, arrossendo. "Lo sapevo che era magico",
pensò, felice della scoperta. Ma più felice era il cuore della
giovane canna che aveva conservato per secoli il canto degli
angeli, senza perderne neppure una nota.

LE STELLE D'ORO(di J. e W. Grimm)

Era rimasta sola al mondo. L'avevano messa sopra una strada
dicendole: - Raccomandati al cielo, povera bimba!

E lei, la piccola orfana, s'era raccomandata al cielo! Aveva
giunte le manine, volto gli occhi su, su in alto, e piangendo
aveva esclamato: - Stelle d'oro, aiutatemi voi!

E girava il mondo così, stendendo la manina alla pietà di quelli
che erano meno infelici di lei. L'aiutavano tutti, è vero, ma
era una povera vita, la sua: una vita randagia, senza affetti e
senza conforti.

Un giorno incontrò un povero vecchio cadente; l'orfanella
mangiava avidamente un pezzo di pane che una brava donna le
aveva appena dato.

- Ho fame - sospirò il vecchio fissando con desiderio infinito
il pezzo di pane nelle mani della bimba; - ho tanta fame!

- Eccovi, nonno, il mio pane, mangiate.

- Ma, e tu?

- Ne cercherò dell'altro.

Il vecchio allora la benedisse: - Oh, se le stelle piovessero su
te che hai un cuore così generoso!

Un altro giorno la poverina se ne andava dalla città alla
campagna vicina. trovò per via una fanciulla che batteva i denti
dal freddo; non aveva da ricoprirsi che la pura camicia.

- Hai freddo? - le domandò l'orfanella.

- Sì, - rispose l'altra - ma non ho neppure un vestito.

- Eccoti il mio: io non lo soffro il freddo, e se anche lo
sento, mi rende un po' meno pigra.

- Tu sei una stella caduta da lassù; oh se potessi, vorrei...
vorrei che tutte le altre stelle ti cadessero in grembo come
pioggia d'oro.

E si divisero. L'orfanella abbandonata continuò la strada che la
conduceva in campagna, presso una capanna dove pensava di
riposare la notte, e l'altra corse via felice con l'abitino che
la riparava così bene.

La notte cadeva adagio adagio e le stelle del firmamento si
accendevano una dopo l'altra come punti d'oro luminosi.
L'orfanella le guardava e sorrideva al ricordo dell'augurio del
vecchio e di quello uguale della bimba cui aveva regalato
generosamente il suo vestito. Aveva freddo anche lei, ora; ma si
consolava perché la cascina a cui era diretta non era lontana;
già ne aveva riconosciuti i contorni.

- Ah sì! - pensava: - se le stelle piovessero oro su di me ne
raccoglierei tanto tanto e farei poi tante case grandi grandi
per ospitare i bambini abbandonati. Se le stelle di lassù
piovessero oro, vorrei consolare tutti quelli che soffrono;
sfamerei gli affamati, vestirei i nudi... Mi vestirei - disse
guardandosi con un sorriso; - io mi vestirei perché, davvero, ho
freddo.

Si sentì nell'aria un canto di voci angeliche, poi il tintinnio
armonioso di oro smosso. La bimba guardò in alto: subito cadde
in ginocchio e tese la camicina. Le stelle si staccavano dal
cielo, e, cambiate in monete d'oro, cadevano a migliaia attorno
a quell'angioletto che, sorridendo, le raccoglieva felice:

- Sì, sì! Farò fare, sì, farò fare uno, no... tanti bei palazzi
grandi per gli abbandonati e sarò il conforto di tutti quelli
che soffrono!

Dal cielo, il soave canto di voci di paradiso ripeteva: -
Benedetta! Benedetta!

LA LEGGENDA DEL VISCHIO (I. Drago)

Il vecchio mercante si girava e rigirava, senza poter prendere
sonno.

Gli affari, quel giorno, erano andati benissimo: comprando a
dieci, vendendo a venti, moneta su moneta, aveva fatto un bel
mucchietto di denari.

Si levò. Li volle contare. Erano monete passate chissà in quante
mani, guadagnate chissà con quanta fatica. Ma quelle mani e
quella fatica a lui non dicevano niente.

Il mercante non poteva dormire. Uscì di casa e vide gente che
andava da tutte le parti verso lo stesso luogo. Prova che tutti
si fossero passati la parola per partecipare a una festa.

Qualche mano si tese verso di lui. Qualche voce si levò: -
Fratello, - gli gridarono - non vieni?

Fratello, a lui fratello? Ma che erano questi matti? Lui non
aveva fratelli. Era un mercante; e per lui non c'erano che
clienti: chi comprava e chi vendeva.

Ma dove andavano?

Si mosse un po' curioso. Si unì a un gruppo di vecchi e di
fanciulli.

Fratello! Oh, certo, sarebbe stato anche bello avere tanti
fratelli! Ma a lui il cuore gli sussurrava che non poteva essere
loro fratello. Quante volte li aveva ingannati? Comprava a dieci
e rivendeva a venti. E rubava sul peso. E piangeva miseria per
vendere più caro. E speculava sul bisogno dei poveri. E mai la
sua mano si apriva per donare.

No, lui non poteva essere fratello a quella povera gente che
aveva sempre sfruttata, ingannata, tradita.

Eppure tutti gli camminavano a fianco. Ed era giunto, con loro,
davanti alla Grotta di Betlemme. Ora li vedeva entrare e nessuno
era a mani vuote; anche i poveri avevano qualcosa. E lui non
aveva niente, lui che era ricco.

Entrò nella grotta insieme con gli altri; s'inginocchiò insieme
agli altri.

- Signore, - esclamò - ho trattato male i miei fratelli.
Perdonami.

E proruppe in pianto.

Appoggiato a un albero, davanti alla grotta, il mercante
continuò a piangere, e il suo cuore cambiò.

Alla prima luce dell'alba quelle lacrime splendettero come
perle, in mezzo a due foglioline.

Era nato il vischio.

Traccia di Dio (Montserrat del Amo)

Si chiamava Traccia di Dio. Così lo aveva segnato San Michele,
capitano di tutti gli angeli, alla fine della sua lista. Perché
San Michele ha dovuto fare una lista con gli angeli fedeli, e
stringere le file del suo esercito per non far notare il buco
che avevano lasciato gli angeli cattivi.

A ciascuno diede il suo nome, cominciando da Gabriele, l'angelo
che Dio aveva creato per annunciare al mondo la notizia più
importante, poi segnò Raffaele che doveva accompagnare Tobia,
quello del viaggio, che da allora si sarebbe fatto carico di
condurre sani e salvi tutti i viaggiatori.

E così fu posto a ciascuno il proprio nome, finché non rimase
che uno: un angelo piccolino che non sapeva quasi volare.

San Michele aveva incaricato un angelo grande e forte, che si
chiamava Fortezza di Dio, che gli insegnasse, ma tutto fu
inutile. Lui sapeva volare solo nella scia luminosa che lasciava
Dio al suo passare, una stradina di luce! Sì, sì, l'angelo
piccolino spiegava le sue ali e volava sorridendo felice. Ma
appena si distraeva un po' e usciva dalla traccia di Dio, oppure
quando ritardava troppo e perdeva la luce, sentiva un peso di
piombo sulle ali, e cominciava a cadere e cadere, finché qualche
angelo non lo raccoglieva e lo rimetteva sul sentiero dove
l'angelo piccolino volava felice sentendosi sicuro come un
bambino nella culla.

Per questo quando San Michele finì la sua lunga lista di nomi di
tutti gli angeli, scrisse l'ultimo: Traccia di Dio, affinché
così si chiamasse da ora in poi l'angelo piccolino.

E disse San Michele: «Fai attenzione, Traccia di Dio, non ti
allontanare dalle sue orme perché Dio sta per creare il mondo e
gli uomini ci daranno molto lavoro e se tu cadi forse non potrò
mandare nessun angelo a raccoglierti».

E San Michele guardava con compassione Traccia di Dio, pensando
che ne sarebbe stato dell'angelo piccolino perduto nello spazio.
Un angelo piccolino che non sapeva neanche volare.

Traccia di Dio rispose di sì, che sarebbe stato attento e da
allora seguì Dio da tutte le parti molto da vicino, senza
distrarsi neanche un momento per non perdere il sentiero di luce
che lasciava al suo passare.

Per questo vide molto bene come Dio creò, il primo giorno, il
cielo e la terra, che erano all'inizio solo un mucchio di fango
scuro; e Dio disse: «Sia la luce».

E dopo divise la luce dalle tenebre, e chiamò giorno la luce e
notte le tenebre.

Traccia di Dio guardava tutto, molto sbalordito e ripeteva a
bassa voce le nuove parole che Dio pronunciava, e diceva
sottovoce:

«Giorno... giorno... giorno... giorno».

E dopo: «Notte... notte... notte... notte».

Per non dimenticarle, giacché erano parole molto belle.

Era così occupato con queste cose che rimase un po' arretrato,
non lo raggiungeva del tutto la luce delle orme divine.

Inciampò nell'aria perché gli si imbrigliarono le ali maldestre.

Ebbe paura di cadere, sarebbe stato terribile, perché tutti gli
angeli stavano guardando il creato e nessuno si sarebbe
preoccupato di raccoglierlo. Fece uno sforzo e mosse le ali.

Quando arrivò vicino a Dio, cominciò il secondo giorno. La voce
divina diceva: «Che si faccia il firmamento in mezzo alle
acque». Il firmamento lo chiamò cielo.

Traccia di Dio cominciò a dire: «Cielo... cielo».

Saggezza di Dio, un angelo molto svelto che gli stava vicino,
gli disse molto arrabbiato di stare zitto perché disturbava
tutti, e che non c'era bisogno di ripetere tante volte la parola
cielo, perché era molto facile da imparare.

San Michele domandò che cosa stesse succedendo e, pur facendo
zittire Traccia di Dio, non lo rimproverò perché, in fin dei
conti, era il più piccolo di tutti gli angeli e bisognava aver
pazienza con lui.

Se ne andò, muovendo lentamente le ali, e pensando che un
angioletto così maldestro sarebbe servito a poco. Intanto
cominciò il terzo giorno, perché nel cielo i giorni passano
veloci come un pomeriggio di vacanza.

Dio disse:

«Che si uniscano in un solo punto le acque che sono sotto il
cielo e compaia l'asciutto».

Chiamò l'asciutto terra e le acque riunite mare. Fece nascere
l'erba, le piante e gli alberi.

Dio mise in ogni frutto i semi, perché più tardi si potessero
seminare, così che quando fossero marciti quelli che aveva
creato ne nascessero dei nuovi. Traccia di Dio era sbalordito e
pensava che altro avrebbe potuto creare Dio nei giorni
successivi, visto che le cose già fatte erano così belle. E
volava impaziente aspettando che cominciasse il quarto giorno.

Dio disse:

«Che ci siano stelle nel firmamento del cielo, per distinguere
il giorno dalla notte e servano come segno al tempo, ai giorni e
agli anni. Splendano in cielo ed illuminino la terra».

Traccia di Dio capiva tutto molto bene, dato che nei giorni
precedenti aveva imparato le parole, per questo sapeva che cosa
erano la terra, il cielo, il giorno e la notte. Vide come Dio
creò il sole, tanto grande e luminoso che solo Dio poteva
guardarlo senza abbagliarsi e toccarlo senza bruciarsi.

Quindi creò la luna, più piccola, bianca e giocherellona come
una palla, che sembrava a volte divertirsi nascondendosi nella
notte. Dio fece anche le stelle- migliaia! - che uscivano
bellissime dalle sue mani, piene di luce.

Alcune erano bianche, molto bianche e piccole. Altre colorate.
Tutti gli angeli lavoravano sistemando le stelle dove Dio
indicava loro. Tutti volavano da un posto all'altro e si poteva
seguire il loro volo per la scia luminosa che lasciavano le
stelle nella notte. La loro luce riempiva il cielo, facendolo
sembrare la Piazza Grande in una notte di fuochi artificiali.

Tutti gli angeli volavano sistemando le stelle, meno Traccia di
Dio, perché San Michele gli aveva detto di non muoversi, giacché
si poteva perdere tra tanta confusione, e sarebbe stato
difficile cercarlo tra tante cose che Dio aveva creato.

Da una parte c'era San Raffaele indaffarato a sistemare in modo
ben visibile la Stella Polare, quella che indica sempre il Nord,
perché guidasse i naviganti. Da un'altra parte c'era Fortezza di
Dio, con una stella così grande che nessun angelo aveva potuto
muovere, mentre lui la trasportava senza alcuno sforzo.

Saggezza di Dio, come una guardia nella confusione celestiale,
dirigeva il traffico in modo tale che nessuno si scontrasse.

Migliaia di angeli andavano e venivano e quando vedevano Traccia
di Dio con le ali piegate, sorridevano con un poco di
compassione, pensando: «Non servirà mai a granché un angelo che
neppure sa volare bene!».

Traccia di Dio non si rendeva conto delle burle, perché aveva
solo tempo per guardare, con gli occhi ben aperti, una così
fantastica festa di luce.

In un attimo le stelle furono tutte al loro posto. Il cielo era
diventato bellissimo. Tutti gli angeli si giravano verso Dio per
lodarlo.

Ed allora si resero conto che non avevano ancora finito, mancava
ancora una stella da sistemare. Era una stella bianca, non molto
grande, e Dio la teneva nella sua mano destra. Gli angeli
cominciarono a domandarsi dove Dio l'avrebbe collocata, visto
che il cielo era pieno ed esse erano così ben sistemate che
sembrava impossibile trovare il posto per una in più.

Un angelo disse: «Quella stella avanza, bisognerà buttarla via».

E un altro: «Sicuramente ne è stata fatta una in più».

Dio, in silenzio, abbassò la mano destra, accanto a Lui stava
Traccia di Dio che lo guardava imbambolato. Dio si chinò ancora
e gli consegnò la stella, Traccia di Dio la prese con moltissima
cura per paura di farla cadere. Pensò che doveva reggerla solo
per un momento, mentre Dio diceva ad un angelo molto più
sveglio, più bello e più forte di lui, di sistemarla; ma Dio non
disse niente, vide che era tutto a posto e così finì il quarto
giorno.

La stella non era molto grande, ma Traccia di Dio era così
piccolo che, così in piedi come stava, quasi non la poteva
reggere. Era necessario reggerla con più sicurezza. Che cosa
avrebbe detto San Michele, se l'avesse lasciata cadere? Cominciò
a piegarsi, piegarsi fino a rimanere seduto con le gambe stese e
la stella sulle ginocchia. Ecco! Molto bene! Sentiva un bel
calduccio molto gradevole ed una grande luce. Poteva appena
vedere qualcosa, perché la stella glielo impediva, ma non gli
importava nulla perché stava compiendo un incarico di Dio.

Il quinto giorno Dio andò a creare i pesci e Traccia di Dio non
poté seguirlo, perché la stella pesava molto e gli fu
impossibile alzarsi. Di sera gli altri angeli vennero a
raccontargli come erano i pesci, gli uccelli e il giorno dopo
gli animali.

Da ultimo gli dissero come era fatto l'uomo, ad immagine e
somiglianza di Dio, ma non gli davano spiegazioni in più e
Traccia di Dio non riusciva ad immaginarselo.

Il settimo giorno del mondo fu riposo per tutti e Traccia di Dio
fece un riposino con la testa appoggiata sulla stella.

Aveva ragione Capitan San Michele. Tutti gli uomini cominciarono
a dare molto lavoro. Erano ribelli e disubbidivano a Dio;
orgogliosi, volevano eguagliarlo. E poiché questo non era
possibile, Dio, con molto dispiacere, perché vi si era
affezionato, dovette castigarli. Però subito promise loro un
Salvatore che sarebbe nato, vissuto e morto fra di loro per
redimerli. Affinché gli uomini non dimenticassero la promessa,
mandò di tanto in tanto i suoi angeli per ricordarglielo e, in
molte occasioni, anche per aiutarli.

E diede ad ogni uomo un Angelo Custode, messaggero tra Dio e
l'uomo.

San Michele prese la sua lista e fece una croce vicino al nome
di ogni angelo che era stato nominato guardiano degli uomini. E
vicino al nome scrisse giorno ed ora in cui dovevano essere
mandati sulla terra. Una copia di questa lista fu data ad un
angelo chiamato Provvidenza di Dio, perché ricordasse ad ognuno
quando doveva incominciare a volare.

Così si cominciò ad andare e venire dal cielo alla terra e dalla
terra al cielo; si poteva sentire a tutte le ore il volo dei
santi angeli. Tutti erano molto indaffarati e nessuno badava a
Traccia di Dio che stava lì, seduto dall'inizio del mondo con la
sua stella tra le braccia, fermo fermo per non farla cadere.

Traccia di Dio non si annoiava. Guardava per quel che poteva al
di sopra della sua stella ed ascoltava le parole che dicevano
gli angeli quando passavano. A forza di vederlo così, nessuno
più lo chiamava Traccia di Dio, ma "Il Seduto". E così
dimenticarono il suo vero nome.

Un giorno un angelo era andato, per incarico di Dio, sulla terra
a dipingere per la prima volta l'arcobaleno. Era un incarico
molto importante, poiché lo dipinse senza riga né compasso in
mezzo alla pioggia, attento che i colori non si macchiassero
mischiandosi gli uni con gli altri e rifinendolo fin quasi a
sfiorare gli alberi. Il risultato fu che mentre l'angelo, che si
chiamava Bellezza di Dio, dava gli ultimi ritocchi, un uccellino
si imbrigliò nelle sue ali e, poiché aveva fretta di finire
l'arcobaleno e vedere come era venuto, non si occupò
dell'uccellino, che salì con lui, sulle ali dell'angelo, fino al
cielo.

Bellezza di Dio passò vicino al Seduto che non aveva mai visto
un uccello. E l'angelo, al vederlo, disse: «Bellezza di Dio, che
bel fiore hai portato dalla terra!».

Bellezza di Dio gli spiegò che non era un fiore, ma un uccello
di quelli che Dio aveva creato il quinto giorno, che poteva
volare come gli angeli e che sapeva anche cantare.

Sbrogliò l'uccellino dalle piume delle sue ali e lo diede al
Seduto.

«Tieni».

Il Seduto rimase stupito di come volava bene.

Bellezza di Dio gli raccontò allora molte cose che aveva visto
sulla terra e gli disegnò perfino un piccolo arcobaleno con i
colori che gli erano avanzati. Il Seduto ascoltava con tanta
attenzione che era un piacere raccontargli storie; da quel
momento tutti gli angeli che arrivavano dalla terra presero
l'abitudine di fermarsi per un momento vicino a lui.

E così seppe come uscì il popolo di Dio dall'Egitto, come fu
condotto per il deserto fino alla Terra Promessa e come suonava
profonda e grave la voce dei profeti.

Il Seduto ascoltava meravigliato le storie della terra e gli
sembrava che gli altri angeli fossero molto svegli e coraggiosi.

Mai lui si sarebbe fidato di entrare in un forno infuocato per
rinfrescare con il vento delle sue ali i tre giovani che quel re
Nabucodonosor - dal nome così difficile - aveva fatto buttare
dentro per non aver voluto adorare un suo idolo.

E meno ancora avrebbe avuto il coraggio di scendere nella fossa
dei leoni per chiudere con le proprie mani la loro bocca
affinché non facessero del male al profeta Daniele.

Era stata una fortuna che Dio gli avesse dato un incarico così
facile come quello di sorvegliare una stella; perché così seduto
come era non c'era pericolo che gli cadesse e Dio poteva venire
a riprendersela quando voleva.

Il Seduto era contento.

Passarono così i secoli ed arrivò il tempo della Grande
Promessa.

Tutto era preparato benissimo. Capitan San Michele aveva mandato
un angelo perché curasse il muschio e la paglia che sarebbero
servite per la culla del Bambino Gesù; in modo che crescesse
molto fine e dorata ed il muschio molto verde e fresco.

Aveva cercato anche un bue ed un asinello perché con il loro
alito riscaldassero la stalla, l'asina la scelse grigia come
l'argento, il bue marrone come la cioccolata.

Gli angeli dovevano cantare «Gloria a Dio nell'alto dei Cieli»;
ormai provavano da mesi e da tutti gli angoli dei cieli si
poteva sentire una così bella canzone.

Fu così che il Seduto venne a conoscenza di quello che stava per
accadere.

Perché negli ultimi tempi gli angeli erano così occupati che non
si fermavano più a raccontargli qualcosa, pensavano che non
potevano perdere tempo a raccontargli qualcosa, pensavano che
non potevano perdere il loro tempo con un angelo così imbranato
del quale Dio sembrava essersi dimenticato.

Arrivò finalmente il 24 dicembre e quello doveva essere il primo
Natale del mondo. Una lunga fila di angeli cantanti erano pronti
a prendere il volo con le loro ali piene di luce e le bocche
piene di allegria che non si potevano far tacere più a lungo.

Come accade quando dobbiamo fare una sorpresa alla mamma e si
riesce a tacere solo per un po', ma poi si finisce per
raccontarlo perché ci scappa, così gli angeli stavano aspettando
il segnale di Dio, perché la notizia che portavano era la
migliore di tutti i tempi e la loro allegria scappava nella loro
canzone.

E Capitan San Michele doveva continuamente farli tacere. Perché
tutti quegli angeli dovevano annunciare ai pastori che era nato
il Figlio di Dio. Dio disse che tutto questo andava molto bene,
ma che però mancava ancora qualcosa.

Capitan San Michele diventò rosso, tutti gli angeli lo
guardavano con rimprovero. Come aveva potuto dimenticare
qualcosa in una notte così importante?

Nascondendo le mani contò con le dita: il presepe, la paglia,
l'asino ed il bue, gli angeli cantori... Quattro cose. Cos'altro
poteva mancare? Mancava la stella!

La stella dei Re Magi! Quella stella che doveva essere mandata
molto lontano perché guidasse i santi Re Magi fino alla stalla!

Capitan san Michele organizzò tutto in un momento: chiamò
Bellezza di Dio perché scegliesse la stella più bella di tutte,
Sapienza di Dio perché pensasse che strada seguire per andare a
prenderla, Fortezza di Dio perché la portasse.

Ma in verità Dio già da molto tempo aveva creato una stella
speciale per questo evento.

«Una stella senza uso?».

Sì, questa era: una stella nuova del tutto!

San Michele, guidato da Raffaele e seguito dai tre angeli,
Bellezza di Dio, Saggezza di Dio e Fortezza di Dio, andò verso
il luogo dove si conservavano le cose nuove.

C'erano molte piante, fuoco, nubi e luci bellissime, ma non
c'era alcuna stella.

Tornarono avviliti, a testa bassa, al cospetto di Dio.

Sì, lui aveva creato una stella per inaugurarla in quel momento
e l'aveva data ad un angelo perché la conservasse.

«Ad un angelo? A quale angelo?».

San Michele cercò la sua lista. La portava sempre con sé,
conservata tra l'armatura e la cintura della spada. Si
affrettava tanto, ma non la trovò. Continuò a cercarla in tutte
le tasche... ma niente!

Gli era caduta nel posto delle cose nuove, mentre alzava con
l'aiuto di Forza di Dio una nuvola molto grande per vedere se
sotto c'era qualche stella. Ordine di Dio, un angelo che era
incaricato che tutto fosse sempre molto pulito ed ordinato,
aveva appena trovato la lista e veniva in volo per darla a San
Michele.

La lista era sgualcita, vecchia, piena di pieghe, a forza di
tirarla fuori, conservarla e guardarla in continuazione; come si
chiamava l'angelo? Dio che tutto sa: si chiamava Traccia di Dio.

San Michele cominciò a scorrere la lista con il dito, ma tardò
moltissimo nel trovarlo, poiché era l'ultimo di tutti. C'era
scritto "Traccia di Dio", ma a lato non era segnato niente;
doveva trattarsi di un angelo che non era mai sceso sulla terra.
Pensò: «Ma dove si sarà cacciato questo Traccia di Dio che non
ricordo neppure?».

Stava ancora cercando di ricordare quando Saggezza di Dio si
avvicinò e gli disse delle parole all'orecchio. San Michele
rallegrò il viso e rispose: «Ah, sì. Ora ricordo! È il Seduto».

Dio, al sentirlo, sorrise. Si diressero tutti dove era Traccia
di Dio, seduto con la sua stella sulle ginocchia dall'inizio del
mondo.

Prima c'erano gli angeli cantanti, dietro tutti gli altri
angeli, dopo seguivano Michele, Gabriele e Raffaele che sono
come i principi degli angeli. Siccome era un'occasione molto
solenne, Capitan San Michele aveva sguainato la sua spada che
brillava piena di luce. Da ultimo c'era Dio.

Il Seduto, guardando al di sopra della stella, li vide arrivare
e pensò che era arrivata la grande Notte, che era una fortuna
che passassero così vicino che lui poteva vedere tutto senza
perdere un dettaglio. Quello che non poteva minimamente
immaginare era che Dio e tutti gli angeli venivano a cercare
lui.

Pensò che stando seduto li potesse intralciare e cercò di
spostarsi. Ma per poco non gli cadde la stella, cosicché rimase
fermo e continuò a reggere la stella sulle ginocchia.

Arrivarono i cantori e tutti gli angeli gli si fermarono
attorno.

Traccia di Dio era sempre più meravigliato.

Quando arrivò, Dio lo guardò e gli sorrise così come nel quarto
giorno del creato, quando gli aveva dato la stella con la sua
mano destra.

San Michele gli disse: «Senti, Seduto». Ma si interruppe
immediatamente, giacché pensò che non era corretto chiamarlo con
un nomignolo davanti a Dio, e cominciò di nuovo: «Senti, Traccia
di Dio, quella stella che tu custodisci è stata fatta per
annunciare ai santi Re Magi la nascita del Bambino Gesù; questa
notte devi dirigerti verso oriente portando con te la stella».

In quel momento Raffaele lo interruppe e cominciò a spiegare a
Traccia di Dio su di una grande mappa dove doveva dirigersi.
Fortezza di Dio gli disse come doveva portare la stella e
Bellezza di Dio gli spiegò come doveva tenere la stella in modo
che la scia luminosa fosse più bella possibile.

Traccia di Dio non capiva niente, non sapeva come compiere
l'incarico e poi - ricordò San Michele - aveva imparato appena a
volare ed era seduto da tanto tempo che l'avrebbe fatto ancora
peggio...

Si sarebbe dovuto mandare qualcun altro. Dio intanto si era
avvicinato al piccolo angelo e lo guardava. Traccia di Dio, al
quale la stella non pesava più, si alzò. Dio gli fece un segno
con la mano e Traccia di Dio vide che una strada di luce gli si
apriva di fronte nello spazio. Mosse le ali. Prima in modo
goffo, poi con forza... volava!

Poiché era rimasto seduto migliaia di secoli senza muoversi, gli
era caduta addosso tutta la polvere del cielo, che è una polvere
di luce ed ora, con il battere delle ali, la spargeva nella
notte, disegnando una scia luminosa.

Gli angeli erano meravigliati. E così andò, volando volando
lungo il cammino indicatogli da Dio. Portava la stella sulle sue
mani stese e lasciava al passaggio una coda di luce.

I santi Re, nel loro palazzo, guardavano le stelle ed uno di
loro disse, indicando quella che Traccia di Dio portava nelle
mani: «Guardate! Il segnale! È nato il Figlio di Dio!».

E Traccia di Dio, pieno di gioia, si mise a ridere.

Così, anche noi che abbiamo il cuore straziato per il male che
ancora regna nel mondo, per amore dei nostri bambini, stringiamo
al petto la stella del Redentore e, nel suo nome, siamo certi
che prima o poi, il mondo intero sorriderà.

Maria De Falco Marotta

GdS 20 XII 2005 -
www.gazzettadisondrio.it

Maria De Falco Marotta
Editoriali