SIAMO ANDATI A BAGDAD

di

L'entusiasmo popolare - La
realtà - Una situazione intricata - L'imprevisto caos - Bisogna
andarci - Gli italiani sanno dialogare (il caso del Negus)




L'ENTUSIASMO
POPOLARE


Siamo andati a Bagdad.

1 Abbiamo visto l'abbattimento della statua di Saddam - con
grande soddisfazione perché siamo contro tutte le statue,
effettive o virtuali, dedicate a potenti in carica; sono
giustificate solo post-mortem quando il merito é riconosciuto -.
Una statua che crolla con almeno uno dei cinque o sei milioni di
abitanti della città tutt'intorno a far festa, a gioire per
questo crollo-simbolo.

2 Abbiamo visto finestre, uffici e negozi con bandiere
americane, alcune dipinte su carta pur di poter manifestare i
propri sentimenti.

3 Abbiamo visto la gente correre ad abbracciare i marines.

Abbiamo visto sfilare i carri armati per le vie del centro fra
due ali di folla festante.

4 Abbiamo sentito dall'alto dei minareti i muezzin dire il loro
grazie e invitare la gente a dire anche il loro per l'avvenuta
liberazione e per il radioso futuro che attende il Paese.

5 Abbiamo dunque verificato di persona quanto fossero giuste le
previsioni della vigilia, quelle che sono state alla base della
scelta di fare la guerra, visto che l'ONU non ci sentiva, che
l'Europa era inconcludente, che la NATO non capiva come stavano
le cose, che i milioni che manifestavano non erano altro che
antiamericani per partito preso e sostenitori di Saddam.

Siamo andati anche a Bassora, a Mosul, a Kirkuk, a Hilla, 
a Nejaf ecc. ecc., trovando dappertutto lo stesso clima, lo
stesso entusiasmo, la stessa gratitudine ai soldati, stranieri
sì, ma liberatori.

Qualcuno era un po' meno contento per aver perso i congiunti.
Tanti erano pure meno contenti perché il giovane congiunto era
uno delle molte migliaia di ragazzi cui toccava fare il soldato,
anche se ne avrebbero volentieri fatto a meno. Meno contenti
dunque tutti ma rassegnati in vista di un futuro radioso. Quanto
poi alla mancanza diffusa di cibo, di acqua, di medicinali, di
energia elettrica e via dicendo, beh la gente sapeva benissimo
che tutto questo era colpa di Saddam che aveva fatto saltare le
centrali, gli impianti, i depositi e via dicendo. E poi cosa può
essere qualche giorno con queste privazioni, di acqua, di cibo
ecc., rispetto all'avere riconquistato la libertà?

Un giustificato entusiasmo popolare dunque. Bush può essere
soddisfatto.


LA REALTA'

Chiediamo scusa per il sarcasmo che sembra stridere con la
situazione in Irak, con i suoi lutti, irreparabili, con le sue
rovine, riparabili, con un nuovo ordine, tutto da stabilire e
poi da realizzare.

In realtà:

1 non c'era un milione di persone festanti ma poche migliaia,
con tanti ragazzini;

2 bandiere ne sono state esposte, abbastanza, non americane ma
significativamente irakene;

3 le uniche corse festanti sono state verso veicoli con cibo od
acqua mentre di feste nei confronti dei marines ne abbiamo vista
qualcuna, data e ripetuta in TV, di sparutissimi gruppi;

4 i muezzin hanno chiamato i fedeli al rispetto del Corano,
qualcuno anche ad auspicare l'introduzione della legge islamica;

5 l'accoglienza ricevuta in Irak sta preoccupando il Governo
americano. Powell ha detto che va evitato un altro errore
diplomatico con l'ONU. E ci si é accorti che fra quelli che
manifestavano c'erano tanti realmente amici degli USA e non solo
gli antiamericani e quelli che strumentalizzavano.

Il fatto é che tutti hanno davanti agli occhi come il dopo-Saddam
non sia affatto quello ipotizzato per settimane, negli e dagli
Stati Uniti, ma anche, forse di riflesso, dalla maggior parte
dei commentatori e analisti che vanno per la maggiore. Un solo
esempio. Le costruzioni preventive dello scenario post-bellico
si basavano sul fatto che la componente etnica largamente
maggioritaria, gli Sciti, era compressa, in parte repressa, dai
Sunniti di Saddam al potere. Ebbene gli Sciti sono sì contenti
del crollo del regime ma non sono affatto contenti di avere tra
i piedi americani e inglesi. Anzi di più: molti dicono "gli
stranieri". C'é chi dice "grazie, ma ora andatevene" ma c'é
anche chi non é contento di vedere Saddam sostituito, appunto,
da stranieri che, aggiungono, per tanti anni sono stati il
puntello essenziale per il dittatore e il suo regime e che ritiene che il prezzo
pagato, lutti e rovine, sia stato troppo alto. E' realismo
prenderne atto, e sarebbe realistico che negli USA si facesse un
po' di autocritica. Non sono solo Francia e Germania, schierate
contro, ad avere ammonito alla prudenza; suggerimenti erano
venuti anche dagli alleati "più fedeli", peraltro inascoltati
dai - come li chiama Andreotti - "duri di Washington".


UNA SITUAZIONE
INTRICATA


Per quanto non evidenziata a sufficienza traspare comunque
un'indicazione per il futuro. Gli oppositori irakeni di Saddam,
rientrati dall'esilio, possono offrire copertura all'occupazione
dell'Irak, non breve al di là delle dichiarazioni, e nel varo di un
Governo ma il consenso popolare é un'altra cosa. Il consenso
popolare ce l'hanno gli imani che hanno addirittura organizzato
una forma di governo locale agevolati dallo sfascio complessivo
e quindi dalla disperata richiesta della gente di ordine. E con
loro, se ne parla molto poco, una parte del Partito Baath, il
Partito di Saddam che aveva un milione di iscritti, certamente
in parte minoritaria e soprattutto ai livelli dirigenziali ma
non a livello di base compromessi col regime.

Un cocktail rischioso: il fondamentalismo unito allo spirito di
identità nazionale, tale da superare anche la contrapposizione
etnica, salvo per i curdi. Il nazionalismo irakeno é tale che
durante la guerra con l'Iran gli Sciti, 60% degli abitanti,
avevano preferito i Sunniti di Saddam, monopolisti del
potere, agli Sciti iraniani!

Non era difficile prevederlo, anche
se pochi - noi fra questi - lo andavano dicendo.

C'é poi un altro aspetto di cui si parla molto poco, abituati come
sono gli addetti ai lavori a ragionare più in termini di
"Palazzo" che in termini di situazione complessiva.

Serve
l'analogia con Gorbaciov, un personaggio cui la storia del mondo
e non solo quella della Russia deve molto.

Gorbaciov a Mosca e in URSS non aveva quel prestigio di cui
invece godeva in tutto il mondo. La gente anzi lo criticava.
Perché? La risposta é molto semplice, e lo facciamo con un
esempio che pare marginale ma, se ci si pensa, non lo é affatto:
la questione del latte.

Gorbaciov ha traghettato il Paese da un'utopia maledetta e senza
speranza che teorizzava lo Stato-Moloch nel quale l'uomo si
annullava, ai sistemi democratico sul piano politico e
liberistico sul piano economico, pur con tutti i difetti che
questi possono avere. Una vera e propria rivoluzione,
evidentemente colta nel suo grande valore da tutto il mondo e
dagli intellettuali sovietici. Ma la gente comune, che guarda
ogni giorni ai piccoli problemi quotidiani e non alla storia
scontava le conseguenze d'una simile rivoluzione. Quando a Mosca
cominciò a mancare il latte, perché i kolkhoz avevano scoperto
che era meglio vendere il loro latte al prezzo del mercato nero
che non conferirlo come prima al prezzo stabilito, la gente
comune non fu affatto contenta. E così per tante cose, ivi
compresa l'impennata dell'inflazione che colpiva le fasce
deboli.

La lezione non é servita. In Irak alla gente comune poco
importava se il loro capo era un tiranno sanguinario anche
perché le sue vittime erano nel e del Palazzo, effettivo o
potenziale, a parte gli aspetti etnici. Le guerre, le
privazioni, l'embargo? Erano colpe "degli altri". E poi ci
pensava il Partito Baath, con il suo milione di iscritti su 23
milioni di abitanti che fra le altre cose avevano, guarda caso,
anche il compito di distribuire il cibo alla popolazione.

E così gli anglo-americani che credevano di essere accolti come
liberatori dalla folla sono stati accolti come invasori, e lo
saranno sempre di più. Non é un caso che tarda la formazione del
Governo, al cui varo si alzerà più forte la voce "in casa nostra
vogliamo comandare noi".


L'IMPREVISTO
CAOS


Si é aggiunto l'imprevisto caos. Imprevisto perché i piani
prevedevano il golpe, il collasso delle forze militari e del
regime e quindi un rapido passaggio al dopo-Saddam. In questo
scenario l'organizzazione statuale sarebbe rimasta in piedi e si
sarebbe provveduto sostituendo i capi nei vari settori
compromessi col regime. La frenesia bellica a Washington persino
giunta ad ignorare i rapporti della CIA, come da questa
precisato sulla stampa americana ha liquidato malamente consigli
e suggerimenti che venivano da ogni parte del mondo, Papa fra i
primi.

Si é parlato di
Convenzione di Ginevra e lo ha ricordato in termini molto duri
nei confronti degli anglo-americani persino il Presidente
Internazionale della Croce Rossa. Ebbene tale convenzione
prevede all'art. 55: "La Potenza occupante ha il dovere di assicurare, nella piena
misura dei suoi mezzi, il vettovagliamento della popolazione con
viveri e medicinali; in particolare, essa dovrà importare
viveri, medicinali e altri articoli indispensabili, qualora le
risorse del territorio occupato fossero insufficienti".

Non era stato previsto, se non in termini più lunghi di tempo,
né era stato previsto quello che é successo con il saccheggio
generalizzato.

Si é cercato di tamponare rimettendo in piedi la vecchia
polizia, - che certamente non era fatta di oppositori a Saddam!
- e si é chiesto aiuto a 65 Paesi, dimostrazione della
impossibilità di gestire la situazione. Significativa in
proposito l'accoglienza dei primi 100 spagnoli ai quali, a
questi sì, la gente ha riservato una accoglienza calorosa: non
portavano la guerra ma la solidarietà. Ed é stato chiesto,
probabilmente concordato prima, l'intervento dell'Italia.


BISOGNA ANDARCI

Certo che bisogna andarci.

Avevamo scritto che dovevamo star fuori dal business ed
intervenire solo sul piano umanitario. Confermiamo. I nostri
militari hanno dimostrato, ovunque siano andati, di saperci
fare, non solo tecnicamente, ma con la gente. Il caso più
clamoroso in Somalia con il dissidio fra il nostro Comando e
quello americano. Si é poi visto dove ha portato il sistema
americano, mentre il nostro comportamento aveva dimostrato che,
se seguito da tutti, era la strada giusta da percorrere.

Andarci per contribuire, se possibile, a mantenere del vecchio
regime un aspetto, importantissimo e sicuramente positivo: la
laicità dello Stato.

E' sicuramente interesse nostro, italiano e occidentale ma é
anche interesse del Medio-Oriente e del mondo arabo in generale.

Andarci per contribuire al radicamento della democrazia in un
Paese che, ha detto il sen. Andreotti, non ha mai visto un Capo
di Stato morire nel proprio letto. Della "loro" democrazia non
della "nostra democrazia", coniugando rispetto dell'uomo con le
tradizioni locali, valorizzando una cultura antichissima, quella
della culla dell'umanità moderna.

Andarci nel dialogo. Là in Irak sono moltissimi quelli che hanno
studiato in Università occidentali, diffusissima é la lingua
inglese, la cultura media e il livello di tecnici e scienziati
pongono l'Irak all'avanguardia fra i Paesi Arabi.



gli italiani sanno
dialogare (il caso del Negus)

Gli italiani sanno dialogare,
é una virtù che hanno nei cromosomi. Quando il Negus (Ras Tafari,
1892-1975, ultimo imperatore d'Etiopia dal 1930 con il nome di
Hailè Selassiè I) rientrò ad Addis Abeba da dove era stato
cacciato il 5 maggio del 1936 dall'Italia che il 9 maggio aveva
proclamato l'impero, gli italiani colà residenti in grande
ambascia si riunirono tutti insieme attendendo una sorte triste.
Abbiamo la testimonianza personale di chi c'era: il Negus inviò
un suo dignitario invitando a Palazzo una delegazione italiana.
Questa, a sorpresa, si sentì dire che "gli italiani erano sotto
la protezione imperiale". E aggiunse che chi voleva andarsene
era libero di farlo ma tutti erano invitati a restare e a
contribuire allo sviluppo del Paese.

Una cosa del genere non é certo successa, nelle loro colonie, a
inglesi, belgi, francesi ecc. Se é successa é perché gli
italiani si erano comportati, Autorità, operatori, semplici
cittadini, "all'italiana", con l'umanità di cui sappiamo essere
capaci.

Saranno tremila i nostri laggiù. Abbiamo l'impressione che
possano svolgere un ruolo da 30.000 o magari ancora di più.
Alberto Frizziero

GdS 18.IV 03   

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Alberto Frizziero
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