La questione istituzionale. Il problema Provincia. Logica neocentralista

Considerazioni generali sul processo riformatore in corso e i suoi equivoci

Le istituzioni vanno considerate come il primo e più importante ‘bene comune’, pertanto non possono essere trattate come costruzioni provvisorie, quasi come patrimoni privati di forze politiche o addirittura di personalità politiche, e come tali modificabili a piacimento,

Nel caso poi della Costituzione, la massima ‘istituzione’ di un Paese, il fondamento di uno Stato (democratico)  è per lo più la  norma stessa costituente che introduce limiti e vincoli alla modificabilità ( una procedura complessa che assicuri una attenta considerazione dei motivi e delle opportunità di una modifica; la stessa creazione di una Corte Costituzionale, che difende la Costituzione da attentati esterni prodotti da una legislazione contraria ai fondamenti del vivere comune)
Per questi motivi procedere a una riforma della Costituzione o di sue parti con leggerezza, con fretta, senza adeguati approfondimenti riguardo alla coerenza (o meno) dei provvedimenti da introdurre rispetto all’insieme della norma costituzionale è un comportamento da evitare da parte di un corpo politico avveduto e consapevole. Purtroppo eventi del genere sono già accaduti, e l’errore non andrebbe assolutamente ripetuto.
Oggi siamo alla vigilia di scelte importanti in questo senso: ci si ripropone non solo la ‘riforma’ del Senato, ma addirittura la sua eliminazione; e riguardo alle altre istituzioni sulle quali si fonda la Repubblica, c’è l’intento di cancellare le Province. Nell’attesa, ci sono già stati importanti  interventi, per il momento bloccati dalla Corte Costituzionale (Sentenza n° 220 del luglio 2013). Ma ora è stata approvata in Parlamento una legge ‘ordinaria’ che interviene in maniera estremamente discutibile proprio anche sulla ‘istituzione’ Provincia. Si attendono ulteriori pronunciamenti della Corte in presenza di obiezioni di illustri costituzionalisti, e di specifici ricorsi.
Infine, come è noto, anche la nostra provincia è direttamente interessata a questi processi di modifica, malgrado i tentativi di difesa (un referendum locale,  altre forme di mobilitazione, e ora l’introduzione nel testo della legge appena approvata di alcune disposizioni che prevedono una attenzione particolare per le province interamente montane e confinanti con paesi esteri).
E’ in particolare su questo testo e sui provvedimenti in esso contenuti che va fatta una riflessione attenta, prima che siano prodotti dei guasti definitivi.

Principi costituzionali fondamentali e osservazioni sulla opportunità di evitare danni al disegno costituzionale  complessivo
Anzitutto l’art. 114 della Costituzione in vigore, recita:
“La Repubblica è costituita dal Comuni, dalle Province, dalle Città Metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”.  Pertanto è evidente che la cancellazione di una intera serie istituzionale fondante della Repubblica ha una rilevanza costituzionale tale da far escludere ogni approssimazione e superficialità nell’affrontare la questione…
Del resto  le Province, come gli altri Enti menzionati, sono da considerare “enti autonomi, con propri statuti, poteri e funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione”. L’intervento dunque non è soltanto questione nominale: le Province, come gli altri Enti , “sono titolari di funzioni amministrative proprie… e hanno potestà regolamentare  in ordine alla disciplina dell’organizzazione  e dello svolgimento delle funzioni  a loro attribuite”. All’art. 133 si ammette che possano essere modificate le circoscrizioni provinciali, e anche istituite nuove province  nell’ambito di una Regione, non è  però certo prevista la possibilità di una cancellazione di tutte le Province.
Vi è poi la questione del decentramento o accentramento, che coinvolge la questione delle Città Metropolitane, il peso che queste verrebbero ad assumere entro le Regioni, il ruolo residuo dell’istituzione Regione stessa, la dispersione dei Comuni entro Regioni gigantesche (o in relazione con  Città Metropolitane altrettanto enormi) senza un Ente intermedio di Area Vasta, quale appunto verrebbe ad essere oggi la Provincia, anche solo con alcune competenze di coordinamento, quali quelle sul territorio, sui servizi di trasporto, la programmazione dell’offerta formativa…
Una specifica ‘innovazione’ nella legge,  all’art. 1 e 17 esplicita il carattere di ente con funzioni di area vasta esercitato dalle Province, materia già oggetto di diverse considerazioni in sedi scientifiche. Sorge subito l’interrogativo con quale autorevolezza e indipendenza enti di natura derivata (dalla Assemblea dei Comuni) potrebbero svolgere queste funzioni di coordinamento appunto nei riguardi dei Comuni stessi…

Una prospettiva di azione locale di ‘difesa’ efficace e innovativa della Provincia quale Ente di Area Vasta (cfr. art. 17 del ddl 1212)

Dalle considerazioni precedenti deriva l’opportunità, per la nostra realtà provinciale, di costruire una posizione di difesa della istituzione Provincia non attestata su una resistenza passiva alle scelte nazionali, alle quali viene data, anche da voci interne alla nostra realtà locale,  una accentuazione di ineluttabilità.
Una posizione assai più produttiva sembrerebbe esser quella che provvede a una rilettura attenta del ruolo costituzionale della Provincia quale Ente di Area Vasta, con specifico riferimento alla vocazione di tutela e sviluppo delle specificità montane, ora riconosciute dal testo della legge, anche se poi si  nega la elezione democratica diretta dell’istituzione e non si esclude affatto la successiva cancellazione della provincia al momento di una riforma costituzionale.
La rilettura ‘locale’ della Provincia quale Ente di Area Vasta anzitutto consentirebbe di non concentrarsi esclusivamente su un mantenimento degli attuali confini provinciali, stanti gli interessi comuni e i comuni problemi con aree adiacenti altrettanto specificamente montane, benché appartenenti a province molto più estese e con diverso carattere complessivo. (nel caso, quantomeno l’area Alto Lario e la Valle Camonica)
Ci sarebbe, fra l’altro, la possibilità di rifarsi alla nota proposta, già assunta in passato dalla Presidenza della Regione Lombardia, che prevedeva  di definire 4 macroaree della Regione stessa (Area padana, Area metropolitana, Area pedemontana, e Area montana-alpina).
Ovviamente una tale linea non garantisce alcun successo e risultati superiori a quelli contenuti nella normativa testé approvata – ma non ne esclude neppure l’utilizzo. Solamente allarga l’attenzione a un insieme di questioni che darebbero ben altra forza politica e morale sia nei riguardi della popolazione montana, sia per le possibili future negoziazioni di forme e assetti istituzionali nel corso di una più approfondita riforma.
E’ del resto di tutta evidenza che le questioni di coordinamento amministrativo di Area Vasta nel mondo montano assumono un carattere profondamente diverso da quello di altre aree.  Pertanto è la ricerca di un effettivo ed efficace  approfondimento delle ragioni di fondo dell’essere zona montana quella che darebbe la forza giuridica, politica ed etica alla causa della difesa di una autonomia la più ampia possibile per la governance del territorio.
Una governance da sviluppare in sinergia coi Comuni Montani, destinati non ad accorpamenti forzosi quali quelli profilati (anch’essi) nella normativa in corso di approvazione, ma a un processo di crescita delle ragioni cooperative misurate su una realtà di vallate, versanti, spazi con caratteristiche socio-economico-culturali insieme simili e diverse, che non è opportuno né democratico sottoporre a  una affrettata omologazione.
Decisamente questo è quanto è mancato sinora anche nella nostra ‘difesa’ della Provincia: la chiamata a raccolta della popolazione e delle istituzioni locali (Comuni) a una impresa comunitaria complessiva,  e convintamente condivisa.

Ivan Fassin
Editoriali