Regalo di compleanno del Corriere della Sera a Prodi. Paolo Mieli delinea non già il 10 aprile 2006 ma molto più in là: il centro-sinistra come lo vorrebbero alcuni del “Club”, e cioè partita a quattro tra Rutelli, Fassino, Casini, Fini

Regalo di compleanno del Corriere della Sera a Prodi. Paolo Mieli delinea non già il 10 aprile 2006 ma molto più in là: il centro-sinistra come lo vorrebbero alcuni del “Club”, e cioè partita a quattro tra Rutelli, Fassino, Casini, Fini

Domenica scorsa 5 marzo è stato il giorno di un particolare compleanno: il centotrentesimo del Corriere della Sera che vide la luce la prima volta proprio domenica 5 marzo dell’anno 1876. Diretto dal napoletano Eugenio Torelli Violler, sposo della Marchesa Colombi (in realtà questo era lo pseudonimo letterario della novarese Maria Antonietta Torrioni, scrittice, salottiera, anticonformista al punto di separarsi dal marito restando a Milano), C’è chi ha ricordato così l’anniversario «Pubblico, vogliamo parlarti chiaro: questo giornale non si farà scrupolo di esprimere la sua opinione, quand'anche questa dovesse tornare sgradita a chi sta in alto o a chi sta in basso». Così il 'Corriere della Sera si presentava ai suoi lettori 130 anni fa, nel primo numero che andò in edicola il 5 marzo 1876, domenica: quattro pagine al costo di 5 centesimi di lira a Milano e 7 centesimi fuori dal capoluogo lombardo, mentre l'abbonamento per tutto l'anno costa 10 lire a domicilio a Milano, 12 lire in tutto il resto del Regno d'Italia «franco di porto» e 22 lire all'estero, «negli Stati dell'Unione postale». Tiratura iniziale, 15.000 copie che il primo giorno vengono tutte vendute. Anche Enzo Biagi ha fatto questa citazione.

Omissive entrambe.

NOI SIAMO CONSERVATORI

Per la verità la citazione avrebbe infatti dovuto essere completa. Abbiamo il primo numero da qualche parte in una delle librerie di casa, cantina e soffitta (quando le mogli “fanno ordine” diventa arduo ritrovare quel che si sapeva dove fosse!) ma comunque ricordiamo benissimo l’inizio, dato che è uno di quelli che non si dimenticano. L’inizio: “NOI SIAMO CONSERVATORI” e poi il resto Nella sua storia ha avuto grandi periodi sul piano culturale. Le omissioni si spiegano perché sul piano politico è sempre stato, quasi sempre, “conservatore” , 30 anni fa eravamo in un palco della Scala, vicinissimo a quello Presidenziale, per il concerto che festeggiava i 100 anni del giornale. In un tempo in cui falsamente oggi si pensa ad una sorta di regime democristiano, fedele al suo ruolo di giornale “conservatore”, dopo le elezioni del 1975 che avevano visto nelle Provinciali il sorpasso della DC da parte del PCI, il giornale, con un potentissimo Comitato di redazione in toto schierato a sinistra (morirà poi, del Corriere della Sera, il socialista Tobagi per mano delle BR ma con quale clima?… A lui gli onori ma non certo tutta la verità), e una sorta di censura per ogni notizia che riguardasse i DC lombardi. In tutto il Corriere c’era un solo, anziano, giornalista come riferimento per la DC di Via Nirone.

SEMPRE CONSERVATORE

Sempre conservatore in, quasi, ogni circostanza, persino quando – cinque volte dalla fondazione – c’erano sterzate di linea. Piero Ottone che apre al PCI compreso. Sembra o un paradosso o una idiozia eppure, dopo l’affermazione del PCI sul quale era confluita parte notevole della borghesia del tempo, la linea-Ottone era scontata, se si considera la tenacia dello spirito conservatore insito a Via Solforino, fino a sfiorare, all’interno della struttura, il conformismo dell’anticonformismo. In precedenza esempi preclari come l’indomani della strage di Piazza Fontana il titolo a tutta prima pagine era “Sono stati gli anarchici”, poi scagionati interamente dalle indagini.

Anche se non è proprio una questione di dominio pubblico non dimentichiamo del resto la storia del contratto petrolifero con l’Arabia, il coinvolgimento di pezzi grossi locali, il pasticcio internazionale venuto, le cifre di cui s’era parlato, il licenziamento del Presidente, socialista, dell’ENI. E tutto per che cosa?

Scorrendo le raccolte del giornale tante altre cose, da tempi lontani quando la famiglia Crespi, proprietaria, ritenne che il “conservatorismo” doveva andare sottobraccio all’astro nascente, di nome Benito e cognome Mussolini. La stessa famiglia qualcuno (7°) della cui discendenza, in piena logica “conservatrice”, negli anni di piombo coltivava i rapporti, e magari le amicizie, con l’extraparlamentarismo. Di sinistra ovviamente.

Un santuario laico, per molti versi laicista, non privo ovviamente di un suo autonomo contributo alla crescita del Paese.

CONSERVATORE ANCHE NEL NUMERO DI COPIE

Un neo: nel 1915 l’Italia aveva due terzi degli abitanti di oggi, un numero di laureati e diplomati enormemente minore di quelli di oggi, eppure la diffusione del giornale è di poco superiore a quella del 1915. Non mancava lo spazio, solo che lo ha riempito Repubblica arrivando quasi al livello del Corriere, e questo è significativo.

Dicevamo che si tratta di un santuario. Lo si è visto quando, pochi mesi fa, un tale, politicamente e strategicamente dilettante, di nome Ricucci ha osato alzare lo sguardo su Via Solferino. Mal gliene incolse.

Ora fa sensazione la scelta di campo: il Corriere invita a votare l’Unione. Fin qui non si riesce a capire cosa ci sia da stupirsi, anche perché poco tempo fa si era schierato, come quasi tutta la grande stampa italiana – qui la par condicio non vale! – per la fecondazione assistita, prendendo nel Referendum una, come si suol dire, musata terribile, dimostrando il distacco di questo strano Palazzo italiano dal Paese reale.

LA VERA CHIAVE DI LETTURA

La vera chiave di lettura riguarda quello che sta dietro. Sulla scelta di questa linea non c’è solo la direzione ma non può non esserci l’Editore. Non solo, non può non esserci quel variegato mondo collegato all’Editore. Siamo cioè al redde rationem. Berlusconi, si dimostra, aveva ragione quando in fatto di comunicazione denunciava – sbagliando però i modi – dove fosse e dove sia schierata gran parte della stampa italiana che conta. E’ però evidente che non si tratta solo di stampa, ma c’è Luca di Montezemolo e ci sono tanti altri.

E’ finita l’era delle svalutazioni periodiche a sostegno delle industrie. L’Europa impone lacci e laccioli. Occorre pensare ad altro. Come nel 1975 e poi vent’anni dopo, i vip pensano, c’è da puntare a sinistra per avere l’acquiescenza sociale. Epperò, come metterla con Bertinotti, Diliberto e compagnia? Poco male, si pensa. Il centro-destra non potrà votare contro per cui surrogherà con un’astensione l’eventuale defezione a sinistra, come è stato a suo tempo per la questione della guerra in Yugoslavia. In attesa della soluzione definitiva.

LINEA MIELI, UN BENE O UN MALE?

Torniamo ai vip e al loro pensiero. Un bene? Un male?

Noi non facciamo politica ma evidenziamo i fatti e tiriamo fuori da sotto il tavolo, usando consolidati ferri del mestiere e qualche riferimento di Radio Scarpa, quello che magari si cerca di lasciare lì per far muovere meglio senza fastidi soprattutto, le leve sopra.

Certo l’on. Berlusconi non se la passa bene. Oltre a tutto chi ce l’ha con lui lo spampana ai quattro venti, quelli che sono con lui hanno evidentemente qualche affezione laringea e faringea che impedisce di aprir la bocca..Se non vince forse gli converrà andarsene alla Bahamas, magari comprando una delle 700 isole oppure installandosi nella suite dell’Atlantis di Paradise Island che costa appena 25.000 dollari per notte (il mese scorso eravamo a Paradise Island ma non in quella suite. La ragione: lasciamo che i lettori la scoprano loro!).

OMOLOGAZIONE VERSO SINISTRA

Tornando al Corriere della Sera e stando sul livello giornalistico curiosamente molti voglion vedere cosa succederà nel match tra Corriere e Repubblica, da anni in concorrenza serrata al punto di uscire nello stesso periodo con le stesse iniziative promozionali (enciclopedie a puntate, atlanti ecc.), quelle che vanno preparate mesi prima. Sino ad ieri Repubblica pendeva a sinistra, Corriere al centro con qualche puntata al centro-destra, almeno questa era l’immagine nei lettori. Adesso Corriere verso sinistra, Repubblica verso sinistra, La Stampa verso sinistra, una serie di giornali collegati (ad esempio Gruppo Espresso) verso sinistra, - omologazione verso sinistra - obiettivamente qualcosa non quadra.

Se infatti l’elettorato praticamente è diviso in due una stampa libera da condizionamenti (cosa che non è, visto che i maggiori giornali sono proprietà dei maggiori Gruppi industriali) dovrebbe riflettere la stessa proporzione con la possibilità di qualche intraprendente libero editore di porsi in mezzo.

Discorso a parte per i giornalisti, visto il documento del Comitato di Redazione del giornale.

IL DOCUMENTO DEL CDR

“Il Comitato di redazione del Corriere della Sera ha incontrato il direttore Paolo Mieli per avere chiarimenti sull'editoriale pubblicato ieri, nel quale si dice che «il nostro giornale auspica un esito favorevole ad una delle due parti in competizione: il centrosinistra». Il direttore, dopo aver ricordato che già in occasione delle elezioni politiche del '96 aveva tenuto analogo comportamento, ha spiegato che la posizione espressa va considerata «punto di vista della direzione, che impegna il giornale fatta salva la libertà di opinione di tutti i giornalisti».

Il CdR ribadisce la totale legittimità di questa posizione e non vuole entrare nel merito della scelta di Paolo Mieli che sarebbe stata da rispettare qualsiasi fosse stato lo schieramento indicato. Il CdR continuerà a farsi garante perché i giornalisti del Corriere della Sera possano lavorare in modo autonomo, senza subire pressioni, ed esercitando il proprio diritto- dovere di critica, per fornire ai lettori un'informazione il più possibile completa e corretta al di là della dichiarazione del direttore. Durante l'incontro, il CdR ha manifestato al direttore un problema di metodo. Appare infatti piuttosto suggestiva l'impostazione proposta ai lettori: mentre il giornale viene schierato, legittimamente, su una precisa posizione, viene poi annunciato che non solo nei commenti ma anche nei fondi e negli editoriali, i quali rappresentano la linea di ogni giornale autonomo e indipendente, questa scelta di campo potrà essere contraddetta e criticata formulando anche opzioni opposte. È invece tradizione acclarata di tutti gli importanti organi di informazione delle grandi democrazie occidentali, da Le Monde al New York Times al Washington Post, che la linea del direttore si esprima e venga portata avanti con coerenza e continuità negli editoriali, ferma restando la massima apertura di opinioni e interventi. 09 marzo 2006”

OSSERVAZIONI

Pubblichiamo tal quale non senza tre osservazioni, in piena neutralità:

1) La scelta del Direttore “sarebbe stata da rispettare qualsiasi fosse stato lo schieramento indicato”. Qualcuno si è chiesto, per via di precedenti, se il Corriere ce l’avrebbe fatta a raggiungere le edicole nel caso di una scelta diversa…

2) Il CdR non ha torto nel giudicare, di fatto balzana, la scelta di una linea ben precisa e poi di ospitare magari fondi ed editoriali di segno opposto. Evidentemente Mieli si rende conto del rischio di perdere tradizionali e prestigiosi collaboratori che non è comunque detto si prestino ad essere utili pedine verso un elettorato moderato… Legittima la scelta, trasparente e allora Mieli vada fino in fondo senza ipocrisie o contorsionismi. Quanto ai lettori anche se ne perde qualcuno non cambia niente. Fatte le proporzioni, dovrebbe avere un incremento del 50% per arrivare ai livelli del 1915 e nonostante che allora i potenziali lettori fossero un terzo rispetto ad oggi. Cambiano i Direttori ma resta costante – per forza: Conservatori! - il riferimento al Palazzo e non alla platea…

3) Il CdR non ha ragione a citare i grandi giornali esteri per una ragione semplicissima e cioè per la diversità profonda di proprietà e quindi di interessi. E’ vero che abbiamo sentito solenni affermazioni di autonomia del giornale, in particolare della sua direzione, rispetto alla proprietà. Non sono mancate in questi anni lo occasioni di dimostrare questa indipendenza. Per il Corriere ma anche per la Stampa, a proposito di FIAT, per La Repubblica il giorno dopo la condanna del suo proprietario De Benedetti (A tutta prima pagina: “Ma questa è giustizia?”. Eccetera.

A CHE PRO?

Nel marasma dei commenti seguiti alla nuova versione, Vangelo secondo Mieli, in pochi, e rigorosamente bi-partisan hanno dato la risposta giusta alla domanda “ma che influenza avrà sul risultato elettorale questa posizione?” Risposta: “praticamente nessuna”.

E allora? A che pro questo mezzo terremoto?

Per un messaggio forte e chiaro: occorre cambiare. Ma non solo Berlusconi. Lui ora. Poi a casa, o in un angolo, quelli che danno fastidio (Bertinotti, Diliberto, Pecoraio Scanio, Bossi, i VIP di Forza Italia, la Mussolini in modo che restino quelli con i quali si può fare un bel discorso: Casini, Fini e, implicitamente, Fassino e Rutelli. Inespresso l’altro messaggio: Prodi a cercare di tenere insieme la baracca, D’Alema agli Esteri in modo che sia pronto per il Quirinale tra un paio d’anni quando il rieletto, a furor di popolo, Ciampi si dimetterà per l’età. E poi finalmente via libera ai Fassino, Veltroni, oltre a Casini e Fini di cui s’è detto. Non si sa bene dove dovrebbe essere collocato Formigoni. Probabilmente conti sbagliati, ma non si tratta di fantapolitica.

E Berlusconi? In un articolo di parecchio tempo fa, leggibile scorrendo l’indice, analizzavamo la sua scelta di fondo. Non ha voluto, o potuto, essere “Leader di un Partito”, ma è rimasto nello schema di “Partito del leader”, e quindi senza una articolata presenza nella società, cosa che poi ha pesato ai livelli locali con dure sconfitte nelle Regioni, nelle Province, nei Comuni.

Oggi paga questa scelta, o non-scelta, probabilmente con la sconfitta il 9 aprile. Se però dovesse vincere, più per come sta giocando la partita personale che per gioco di squadra, come potrà governare non avendo al fianco settori importanti della società?

Ne riparleremo

Alberto Frizziero
Editoriali