Province KO? NO! 'Terribile' critica della Corte dei Conti - Poi: le Fusioni dei Comuni

Ampia recensione della relazione della Corte dei Conti e, in calce, i tre recenti articoli pubblicati sulle fusioni dei Comuni. Tanto materiale ma ne vale la pena; si gioca, almeno in parte, il domani dei nostri figli.

LA CORTE DEI CONTI

Audizione alla Camera, relazione articolata così come segue:
I N D I C E AUDIZIONE SUL D.D.L. città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni, A.C. 1542
1. Gli obiettivi del d.d.l. e il contesto di riferimento ............................................................ Pag. 1
2. L’attuazione delle Città metropolitane .................................................................................. » 2
3. La revisione delle Province ................................................................................................... » 4
4. Le funzioni delegate dalla Regione alle Province. Questioni aperte. ................................... » 6
5. Le unioni di Comuni ............................................................................................................. » 7
6. Conclusioni ............................................................................................................................ » 8
Appendici ........................................................................................................................... Pag. 1
L’esigenza di riassetto degli organismi partecipati dagli enti territoriali, nel quadro
della riforma del sistema delle autonomie territoriali. .................................................. . » 2
La finanza provinciale nel 2012 ...................................................................................... » 4
La spesa per gli organi istituzionali delle Province nel triennio 2010-2012 ................... » 6

1. Gli obiettivi del d.d.l. e il contesto di riferimento
In questo primo punto la Corte sintetizza la situazione oggi in atti e poi prosegue: “Si tratta, quindi, di una serie di interventi dichiaratamente tesi a pervenire ad un assetto stabile e, per taluni versi, strutturale. Tuttavia, per i motivi che saranno esposti nel prosieguo dell’audizione, NON SI PUÒ RITENERE CHE IL PROGETTO CENTRI L’OBIETTIVO del riordino dell’intervento pubblico sul territorio e della semplificazione dell’intermediazione pubblica in applicazione dei principi di sussidiarietà, efficacia ed efficienza.
RESTA, CIOÈ, IMPREGIUDICATA LA NECESSITÀ DI UN RIDISEGNO DELLE COMPETENZE E DELLE
STRUTTURE DI GOVERNO DEL TERRITORIO NEL SEGNO DELLA RAZIONALIZZAZIONE CON EFFETTI DI RIDUZIONE
DELLA SPESA COMPLESSIVA. In tale direzione si dovrebbe porre la ricerca del modello più efficiente per allocare le funzioni nel territorio, che dovrebbe tendere ad evitare duplicazioni di funzioni e dovrebbe estendersi anche all’attività degli organismi partecipati ai quali sovente è affidata la gestione dei servizi pubblici e delle funzioni strumentali. Si tratta di circa 5.500 enti che, dall’analisi della Corte nell’ultimo referto al Parlamento sulla finanza degli enti locali, si rivelano, in molti casi, come fonte di perdite per gli enti istituzionali. L’esigenza di provvedere ad una disciplina transitoria per le Province, sulla spinta della sentenza costituzionale 3 luglio 2013, n. 220 - AL DI LÀ DEI RISPARMI ATTESI NEL BREVE PERIODO, PERALTRO, NON ESATTAMENTE QUANTIFICABILI - potrebbe aver di fatto impedito la messa a punto di un impianto più incisivo. Infatti dal testo si evince, con evidenza, IL CARATTERE DI PROVVISORIETÀ della disciplina posta per le Province, in attesa della loro prossima abolizione ad opera della riforma costituzionale. E’ da considerare al riguardo che, in relazione ai tempi richiesti per il procedimento aggravato per la suddetta modifica, TALE “ASSETTO PROVVISORIO” POTREBBE ESSERE DESTINATO A PERDURARE PER UN PERIODO NON BREVE, PER CUI SAREBBE STATA PROBABILMENTE NECESSARIA UNA SUA MAGGIORE ORGANICITÀ”. La Corte conclude questo primo punto discettando di carattere della legge, se costituzionale o meno.

2. Il secondo punto riguarda l’attuazione delle Città metropolitane. Non entriamo nel merito perchè ovviamente di minore attenzione per noi ma non manchiamo di sottolineare come il documento, di notevole ampiezza e assai approfondito, si risolva in una motivata censura unica del provvedimento sul quale a Roma si discute.

3. Il terzo punto riguarda la revisione delle Province
“In concomitanza con l’attuazione dell’ordinamento regionale, si è posto il problema del mantenimento o meno delle Province. Una valorizzazione delle Province è stata poi operata nell’ambito della riforma del titolo V della Costituzione che ha definito le Province (insieme a Stato, Regioni, Città metropolitane e Comuni) come elemento costitutivo della Repubblica. Il campo delle loro attribuzioni è stato esteso nel corso degli ultimi anni per effetto del conferimento, da parte delle Regioni, di importanti deleghe nei settori dei trasporti, delle attività cofinanziate dalla UE, del turismo e della formazione professionale. L’attuale e prolungata crisi finanziaria ha riacceso il dibattito sulla sopravvivenza delle Province, che è stata posta in in connessione, fra l’altro, alla più generale questione della “spending review”, sotto lo specifico profilo dell’efficienza complessiva del sistema delle autonomie locali, nonché della necessaria ridefinizione dei confini dell’intervento pubblico. E’ in tale logica – e nel quadro più generale delle manovre correttive sulla spesa –
che sono state emanate, con i decreti legge n. 201 del 2011 e n. 95 del 2012, disposizioni volte a ridurre il numero delle Province, attraverso una operazione di accorpamento. Tuttavia la richiamata sentenza della Corte costituzionale ha cancellato le norme relative all’organizzazione, nel rilievo che lo strumento del decreto-legge non potesse essere utilizzato per realizzare una riforma organica in questa materia. Il d.d.l. intende fornire una soluzione transitoria, nelle more dell’approvazione di uno specifico disegno di legge di revisione costituzionale volto alla soppressione delle
Province (A.C.1543). Esso, tra l’altro, configura la Provincia quale ente di secondo livello, cui vengono affidate tendenzialmente funzioni di programmazione, con ben circoscritti compiti operativi, in occasione dell’attuazione, a lungo rinviata, delle Città metropolitane. La riorganizzazione tende al riassetto dei poteri locali in una logica di esercizio di razionalizzazione delle funzioni legate ad una più vasta area di territorio. Da questo approccio derivano le linee del provvedimento che riqualifica sostanzialmente le Province come ente di programmazione e attua le Città metropolitane, come strumento di modernizzazione orientato all’esercizio più efficiente dei compiti dei Comuni. La finalità di fondo di tale innovazione dovrebbe essere incentrata sulla prevista riduzione di spesa. Al riguardo è da notare che negli ultimi anni la finanza provinciale ha subito un progressivo ridimensionamento in qualche modo legato ad un latente processo di revisione del loro ruolo. In tale contesto le restrizioni finanziarie hanno spinto LE PROVINCE AD AVVIARE UNA ATTENTA REVISIONE DELLA SPESA, come si evince anche dal referto della Corte al Parlamento sulla finanza locale. Sotto il profilo dei possibili risparmi da conseguire è da evidenziare che le economie attese dovrebbero riguardare essenzialmente parte della spesa per gli organi di direzione politica nonché gli oneri per le consultazioni elettorali. Solo per queste voci di spesa è possibile stimare, sulla base dei pagamenti registrati nel SIOPE (Sistema Informativo delle Operazioni degli Enti pubblici) per quanto riguarda la spesa complessiva delle Province con riferimento all’anno 2012, un risparmio annuo oscillante tra i 100 e i 150 milioni di euro ), a fronte di circa 8 miliardi di
spesa corrente (al netto della spesa per il rimborso dei prestiti) erogati da tali enti. La riportata stima delle riduzioni di spesa considera, in primo luogo, la spesa per gli organi istituzionali ed altre somme riconducibili all’ente Provincia in quanto tale, che ragionevolmente saranno eliminate o che potranno essere ridotte, MENTRE NON SI È TENUTO CONTO DI ALTRE VOCI SOSTANZIALMENTE “INSOPPRIMIBILI” (spese per il personale, per erogazioni di servizi, per investimenti, per rimborso prestiti) che andranno comunque a gravare su altri organismi. Si precisa, in proposito, che, ai sensi dell’art. 14 del d.d.l. i componenti dei vari organi di direzione politica esercitano la funzione gratuitamente (nel 2012 sono stati erogati 89 milioni per indennità e gettoni di presenza) mentre dovrebbe restare in vigore il diritto al rimborso delle spese, che nell’ultimo esercizio era pari e 16 milioni di euro. Per quanto riguarda le spese elettorali, invece, la media dei pagamenti nel triennio 2010-2012 è stata pari a 16 milioni di euro circa. Altre voci di spesa che potrebbero essere ridotte sono quelle relative a spese di rappresentanza e di organizzazione di manifestazioni e convegni. Ulteriori riduzioni sono invero ipotizzabili avuto riguardo all’intera spesa della Funzione I del bilancio provinciale (funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, secondo lo schema del D.M. 194/1996), che – considerata al lordo della spesa per il personale, che ne costituisce la voce di maggior rilievo finanziario - nel 2012 è pari a circa 2,1 miliardi. ALLO STATO, TUTTAVIA, È DIFFICILE DETERMINARE QUALI POSSANO ESSERE GLI EFFETTIVI RISPARMI OLTRE A QUELLI GIÀ RAPPRESENTATI, sia perché le poste contabili afferenti alla Funzione I
costituiscono un coacervo di voci di spesa indifferenziate dalle quali è obiettivamente problematico enucleare quanto interessa ai fini di questa disamina (a parte la spesa per il personale che è ineliminabile), sia perché l’analisi sconta soluzioni operative di attuazione. La valutazione dei possibili risparmi è poi complicata dal fatto che, secondo il
disegno normativo proposto, vi dovrebbe essere una prima parziale eliminazione delle Province nelle aree in cui viene istituita la Città metropolitana, ma con possibilità di coesistenza della Città metropolitana e della Provincia in caso di mancata adesione dei Comuni. PERALTRO, A FRONTE DEI RISPARMI SOPRA INDICATI, NON È CHIARO QUALE SIA L’IMPATTO EFFETTIVO DELL’OPERAZIONE. La relazione tecnica, infatti, afferma che la riforma non comporta oneri, ma è ragionevole ipotizzare, almeno nella fase di transizione, che IL TRASFERIMENTO DI PERSONALE E FUNZIONI AD ALTRI ENTI TERRITORIALI, CON IL LORO SUBENTRO IN TUTTI I RAPPORTI, ABBIA UN COSTO SIA IN TERMINI ECONOMICI, SIA IN TERMINI ORGANIZZATIVI.

4. Il quarto punto affonda ancor più il coltello nella piaga affrontando il problema delle funzioni delegate dalla Regione alle Province. “Questioni aperte. I provvedimenti adottati nel 2012 in attuazione della “spending review” hanno recato effetti finanziari in alcuni casi inattesi sul sistema delle Province ed, in particolare, nelle Province cui risultavano conferite ampie deleghe di funzioni da parte delle Regioni, ad esempio nei settori dei trasporti, delle attività cofinanziate dalla UE, del turismo e della formazione. Il d.l. n. 95 del 2012 - nel disporre, a partire dal 2012, i tagli dei trasferimenti statali alle Province (mediante riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio e del fondo perequativo di cui agli artt. 21 e 23 del d.lgs. n. 68 del 2012) - aveva previsto che le riduzioni da imputare a ciascuna Provincia fossero determinate, in caso di mancato accordo sui criteri di riparto in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in proporzione alle spese sostenute per consumi intermedi desunte, per l’anno 2011, dal SIOPE. In sede attuativa, non essendosi pervenuti ad una determinazione condivisa sulle modalità di riparto dei tagli, è intervenuto il Ministero dell’Interno che, con decreto del 25 ottobre 2012, ha ricompreso nella nozione di consumi intermedi anche i costi correlati all’esercizio delle funzioni delegate dalle Regioni alle Province e cioè costi non riguardanti specifici input del processo produttivo ma attinenti alla generalità dei servizi da rendere alla collettività, quali le spese per il trasporto pubblico, le spese per manutenzione degli edifici scolastici, le spese per la formazione professionale ed, in generale, le spese per le politiche del lavoro. Di qui la maggiore incidenza dei tagli nelle Province cui risultavano conferite più ampie deleghe da parte delle Regioni con effetti, in alcuni casi, sugli equilibri di bilancio, tali da esporre le Province stesse a situazioni di predissesto finanziario per rischio di incapacità funzionale dell’Ente nel breve periodo.
Il d.l. n. 35 del 2013, all’art. 10, modificando l’art. 16, comma 7, del d.l. n. 95 del 2012, ha, comunque, espunto dai tagli, per gli anni 2013 e 2014, alcune spese significative correlate all’esercizio delle funzioni delegate, quali quelle per il trasporto pubblico e per la formazione professionale, oltreché quelle per la raccolta dei rifiuti solidi urbani. Rimane, tuttavia, ancora incerto il consolidamento dei tagli sul 2012 con tutti gli effetti che ne derivano anche sugli equilibri di bilancio per le Province titolari di deleghe estese da parte delle Regioni, considerato che il TAR Lazio ha accolto il ricorso presentato da alcune Province (v. sentenza n. 07022/2013) contro il citato decreto del Ministero dell’Interno del 25 ottobre 2012.  Con riferimento al d.d.l. in esame, al di là dell’incertezza dei criteri di riparto dei tagli, correlati alla stessa dimensione e alle modalità delle deleghe conferite dalle Regioni alle Province, RIMANGONO APERTE DELICATE QUESTIONI NEI RAPPORTI FINANZIARI CONSEGUENTI AL PASSAGGIO DELLE FUNZIONI DELEGATE ALLE CITTÀ METROPOLITANE E AI COMUNI”.

5. Quinto punto le unioni di Comuni. Con riferimento alle unioni di Comuni, si osserva che la nuova disciplina è soltanto integrativa delle prescrizioni recate dall’art. 32, d.lgs. n. 267 del 2000 e dall’art. 16, d.l. n. 138 del 2011, conv. dalla l. n. 148 del 2011. Infatti, l’art. 1, co. 5, d.d.l. A.C. n. 1542, lascia intatta la facoltà degli enti di procedere a norma delle regole pregresse. La permanenza di una pluralità di testi normativi, recanti differenti presupposti, finalità e procedure per la costituzione di un’unione di Comuni, POSTULA, COMUNQUE, LA NECESSITÀ DI UN MOMENTO DI RAZIONALIZZAZIONE DELLA DISCIPLINA. Meritevoli di considerazione appaiono anche aspetti della disciplina in esame aventi impatto di natura finanziaria.
E’ previsto che le Regioni, nella definizione del patto di stabilità verticale, possono individuare idonee misure volte a incentivare le unioni e le fusioni di Comuni, fermo restando l’obiettivo di finanza pubblica attribuito alla medesima Regione. Tuttavia, l’art. 22, co. 1, secondo periodo, d.d.l. A.C. n. 1542, prevede l’abrogazione dell’art. 16, co. 3, ultimo periodo, d.l. n. 138 del 2011, secondo cui: “A decorrere dall'anno 2014, le unioni di Comuni di cui al comma 1 sono soggette alla disciplina del patto di stabilità interno per gli enti locali prevista per i Comuni aventi corrispondente popolazione”. Ne risulta che l’incentivo ad avviare processi di unione e di fusione degli enti si traduce nella concessione di una deroga alle regole del patto, della quale non è facile determinare, con attendibile approssimazione, la misura dell’onere che ne può conseguire, il quale è naturalmente commisurato al peso finanziario degli enti che si uniscono o si fondano sottraendosi al patto. Ciò senza considerare che l’esclusione riguarda anche le unioni già istituite ai sensi del sopracitato art. 16.  Peraltro va rilevato che le norme che escludono in talune ipotesi l’applicazione del patto di stabilità interno o ne modificano la disciplina trovano la loro sede naturale nella legge di stabilità e, comunque, LA PREVISTA ESCLUSIONE GENERA ONERI AGGIUNTIVI PER LA FINANZA PUBBLICA PER I QUALI NON È PREVISTA COPERTURA. SAREBBE OPPORTUNO CHE, ANCHE IN QUESTO CASO, TUTTE LE MODIFICHE INTRODOTTE COSTITUISSERO ESPRESSA MODIFICA ALLE NORME DEL TUEL.
La Relazione tecnica considera il provvedimento come neutro e non foriero di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. La novella, con riferimento alle unioni di Comuni, prospetta una riduzione della spesa in quanto non è più prevista la giunta, tra gli organi dell’unione. Invero, non si considera che l’attuale organigramma (art. 18 d.d.l. A.C.
n. 1542) è formato dal presidente dell’unione, dal comitato dei sindaci dell’unione, e dal consiglio dell’unione. Rispetto all’assetto precedente (art. 16, co. 3, ultimo periodo, d.l. n. 138 del 2011), in luogo della giunta, è previsto il consiglio dell’unione, che è organo di più ampia composizione, comprendendo tutti i sindaci dell’unione, oltre a due consiglieri
per ciascun Comune. QUINDI SI PROFILA UNA MAGGIORE INCIDENZA DEGLI ONERI per il rimborso delle spese per l’attività fuori sede. Infine, NON SEMBRA DEL TUTTO SCONTATA LA CONCLUSIONE secondo cui “La costituzione di un numero maggiore di unioni di Comuni e la fusione di Comuni potranno comportare nel lungo periodo una riduzione di spesa dovuta alle economie di scala nell’erogazione dei servizi”. Infatti la potenziale dinamica virtuosa che connota, tendenzialmente, l’esercizio associato di funzioni e servizi, è frenata dai fattori di rigidità della spesa corrente”.

6. Infine, sesto punto, le conclusioni: “Dal punto di vista finanziario il disegno di legge si basa sull’assunto della invarianza degli oneri in quanto si tratterebbe di un passaggio di risorse e funzioni dalla Provincia ad agli altri enti territoriali. Una costruzione, questa, il cui presupposto appare però TUTTO DA DIMOSTRARE nella sua piena sostenibilità. Infatti, NON APPAIONO CONVINCENTI anzitutto la contemporaneità tra la progressiva soppressione della Provincia (risparmi) e la istituzione della Città metropolitana (oneri) e in secondo luogo il relativo parallelismo quantitativo. Lo stesso testo del provvedimento, da un lato, prevede una certa sovrapposizione di funzioni tra i due organismi, dall’altro consente, al verificarsi di ipotesi di cui peraltro si potrà avere conto solo ex post (come le opzioni dei singoli Comuni), la sopravvivenza della singola Provincia, con ipotizzabili interferenze e necessari interventi degli enti territorialmente contigui. Va inoltre considerato che, per la definitiva soppressione delle Province, occorre che
vengano definiti alcuni passaggi decisionali – tra cui DETERMINANTE RISULTA LA MODIFICA DELLA COSTITUZIONE in vigore - con i tempi occorrenti ai fini dell’individuazione delle risorse di cassa tali da compensare gli oneri legati alla progressiva costituzione della Città metropolitana.
Si profilano, infine, DUBBI SUGLI EFFETTIVI RISPARMI di scala conseguenti a tali processi di unificazione, essendo la struttura delle spese fortemente squilibrata sulla componente relativa agli oneri inderogabili. Le considerazioni finora svolte hanno focalizzato l’attenzione sugli effetti della progettata riforma, nella prospettiva della sua transitorietà, tenendo conto del disegno di legge in itinere di revisione della Costituzione. E’ evidente che laddove la predicata transitorietà dovesse dilatarsi eccessivamente o addirittura radicarsi in attesa di nuove iniziative si perpetuerebbe una situazione di CONFUSIONE ORDINAMENTALE CERTAMENTE PRODUTTIVA DI INEFFICIENZE. D’altro canto, resta MOTIVO DI PERPLESSITÀ anche il carattere progressivo di una riforma di così profonda incidenza sull’ordinamento della Repubblica.
TALI ARGOMENTAZIONI RENDONO AUSPICABILE RAVVICINARE LA REVISIONE COSTITUZIONALE ALL’INTERVENTO NORMATIVO ORDINARIO”.

Seguono poi appendici, di natura tecnica, di valutazione economica, di tabelle.
Ci pare di avere dimostrato, con le parole della Magistratura contabile l'uso, adeguato e corretto, dell'aggettivo nel titolo. Ci pare di poter ribadire quanto detto all'inizio come fin dal primo momento il nostro giornale abbia affrontato l'argomento in modo adeguato e corretto, anche là ove si sono usati toni che potevano essere considerati provocatori. E' il caso della definizione data a chi si è occupato sino della materia. Si dimostra infatti, relazione della Corte dei Conti alla mano, che quei signori, sia a livello politico che tecnico in questa materia erano e sono proprio dilettanti allo sbaraglio.
f.

E ORA I TRE ULTIMI ARTICOLI PUBBLICATI SUL TEMA DELLE FUSIONI COMUNALI
 

Editoriale di Alberto Frizziero del 4.XI.2003: Fusione dei Comuni: anche i nostri 10 al voto referendario il primo dicembre
LA FUSIONE, I SUOI PROBLEMI, IL DA FARSI. FUORI SACCO DEDICATO 1) AL MOLOCH PER ECCELLENZA E 2) AI 'MUSI LUNGHI' PER LE TESSERE ALL'ULTIMO MOMENTO DETERNINANTI AL CONGRESSO PROVINCIALE DEL PD

Fusione dei Comuni.
Il 1 dicembre gli elettori dei Comuni i cui Consigli Comunali hanno manifestato l'intenzione di fondersi saranno chiamati alle urne per esprimere il loro consenso o il loro dissenso. Il referendum ha solo valore consultivo ma è evidente come la Regione nella decisione finale non potrà non tenere conto del pronunciamento della gente quand'anche non univoco purchè  naturalmente prevalente.

Valchiavenna
All'avanguardia in provincia i Comuni della Valchiavenna addirittura, all'inizio, con la prospettiva di un Comune unico, di Valle. Hanno condiviso l'idea sei ma Verceia non è stato ammesso in quanto il suo territorio non era collegato con quello degli altri cinque, e cioè Chiavenna, Mese, Gordona, Menarola e Prata Camportaccio ('Lavalledellaqmera'). La prospettiva praticamente è , in un certo senso, quello della sia pur locale 'area metropolitana', ossia di un allargamento di Chiavenna che si protende sulle Lepontine e verso la Bassa Valle, non nelle altre due Valli, dei Giusti e della Bregaglia.

Tiranese
Dopo un primo periodo di gestazione sono arrivati al traguardo cinque Comuni anche del Tiranese, e cioè Grosotto, Mazzo, Tovo, Vervio e Lovero, ossia l'area immediatamente a monte di Tirano con l'esclusione di Sernio che si trova a poche centinaia di metri da Cologna, frazione di Tirano. Riferimento naturale Grosotto, che così, demograficamente e anche per ampiezza territoriale, competerà alla pari con lo storico 'contrappunto' grosino.

1.XII: 120.000 alle urne
Chiamata alle urne quindi per 120.000 lombardi oggi distribuiti su 56 dei 1544 Comuni della regione. Il maggior numero in provincia di Como con 23, quindi Sondrio (10), Varese (8), Bergamo (7), Pavia (4), Lecco e Mantova (2).
Riuscissero i matrimoni sconfiggendo i Don Abbondio di 56 Comuni ne resterebbero 18. Da noi scenderemmo da 78 a 68, la Comunità Montana della Valchiavenna da 13 a 8 Comuni, quella di Tirano da 12 a 7, con diminuzione anche dei rispettivi rappresentanti oltre che nelle CC.MM. anche, in particolare, nel BIM e nella SECAM e, continuasse il tenebroso e folle disegno di sostituire alle Province Enti di larga maglia, anche in questa specie di surrogato.

Evitare le balcanizzazioni
Noi abbiamo trattato ripetutamente questo tema, anche quando nulla al riguardo si profilava all'orizzonte salvo dispute teoriche fra addetti ai lavori. Da sempre abbiamo sostenuto come priorità l'esigenza di mettere in comune i servizi, operazione organizzativa, e non quella di balcanizzare a tavolino territori, storia, tradizioni.
Notoriamente la Francia gode fama di contare su una efficiente pubblica amministrazione. A fronte dei circa 8100 Comuni italiani oltralpe ce ne sono 36.488 più 212 d'oltremare. Significativo che Parigi nel 1971 fosse partito in quarta con la legge 'Marcellin' per fondere 10.000 Comuni dovendo però poi registrare un clamoroso flop (neppure il 20%) come del resto il numero odierno dianzi ricordato dimostra.
Curiosamente tre Comuni hanno zero abitanti e anche questo è un dato significativo. Non ci sono abitanti ma c'è un territorio e ci sono dei beni (un discorso che può valere per Pedesina) che devono essere governati, cosa che avviene con un Consiglio di tre persone nominate dal Prefetto per amministrare l'Ente con gli stessi poteri di tutti gli altri Comuni francesi con la sola eccezione di Parigi che ha regole sue.

Francia docet
L'esempio francese fornisce la chiave. L'essenza della questione è, nel rispetto ovviamente di metodo e costume democratici, avere una amministrazione efficiente, razionale e meno costosa possibile. Non è detto che questo obiettivo venga centrato con provvedimenti di fusione sic et simpliciter anche se sotto questo profilo le novità sulle due rive della Mera possono essere facilitate dallo schema operativo che in definitivo è quello di un ampliamento territoriale del Comune di Chiavenna. Le perplessità di altre situazioni che pure sulla carta sembrerebbero ideali per la fusione non sono la resistenza per conservatorismo. L'equazione fusione uguale innovazione non è vera. Premesso che nel tempo una riduzione del numero dei Comuni è auspicabile si tratta di valutare il metodo. La fusione non è operazione di vertice e lo dimostra quel che è successo nella Val Bregaglia dove fatta la fusione, incassati i 5 milioni di franchi, è cominciato il pentimento. La popolazione deve essere coinvolta, ascoltate le posizioni, corrette quelle 'ideologicamente' contrarie prestando però la dovuta attenzione per quelle motivatamente contrarie. Occorre cioè humus su cui seminare mentre i vertici hanno, secondo noi, altro da fare ovvero approfondire le tematiche.

Ipotesi Valmalenco
Supporre cioè che, ad esempio, in Valmalenco sia stato istituito il Comune unico. Primo punto, fondamentale: come assicurare una compresenza nel 'governo' del Comune unico di amministratori di Chiesa, Caspoggio, Lanzada, Torre. La legge elettorale é quella che è ed è tale per cui potrebbe capitare che un Comune resti fuori non solo dalla Giunta ma anche dal Consiglio. Non si deve aspettare dopo. Si studia, e non è affatto difficile né occorrono accademici per procedere, quali norme inserire nello Statuto. Si esamina, sempre prioritariamente, il problema dello Stato Civile che è condizionante. Poi si passa alla 'condotta' urbanistica, il cuore del territorio mentre per i servizi ci si avvale dell'esperienza già alle spalle. Si devono vedere quali uffici lasciare aperti e quali vanno chiusi, quale sia la pianta organica ideale e quindi quante unità, che ovviamente non debbono essere licenziate ma diversamente impiegate, debbono avere qualifica di fuori ruolo ad personam. Non abbiamo citato dando per scontate le operazioni tecniche soprattutto di bilancio con le dovute ricognizioni delle voci pluriennali ma anche le linee di una integrazione normativa per gli aspetti territoriali.
Infine l'ovvio: l'occasione per spremere al massimo la telematica!

Calende greche?
Qualcuno dirà che questo comporta un rinvio alle calende greche. Neanche per sogno. Tre mesi di tempo, e facciamo pure sei, giusto per tener conto delle azioni frenanti che in questi casi non mancano mai. In parallelo il coinvolgimento della gente. Oggi Vassalini, Costi, Curlo, Pedrotti, ma non solo contrade perchè ci sono San Giuseppe, Primolo, Chiareggio sono realtà tipicamente diverse, che però si riconoscono nel Comune di Chiesa. Si parte di qua per evidenziare lo stesso schema ma ad un livello superiore. Crescendo dal basso e presentandosi al primo appuntamento elettorale il Comune di Valmalenco non avrebbe da perdere tempo e impiegare fatiche per risolvere domani il mare magnum di problemi che si presenterebbero come può sapere chi si é occupato di amministrazione pubblica in prima persona anche senza la mediazione degli uffici. Un Comune che avrebbe inoltre un'opportunità unica, quella di avvalersi di un reciproca integrazione con il Comune di Sondrio che per sua parte si proietterebbe sino al Passo del Muretto mentre per converso per il Comune di Valmalenco, attraverso quello di Sondrio si aprirebbero spazi ed opportunità (e ben oltre quella già alla portata oggi di utilizzare le proprietà dei due Comuni nella zona di Pian del Lupo, ovviamente per iniziative ecosostenibili...). Abbiamo citato il caso della Valmalenco per la maggior conoscenza rispetto ad altre zone della provincia.

Più risorse?
Un rischio. Sentiamo dire che la fusione potrebbe far superare le ristrettezze economiche attuali. Non ci risulta che l'unione di due debolezze faccia una forza, anche al di là degli incentivi che inizialmente verrebbero. Economie di scala, sì ma ci vuol tempo anche considerando che il personale eccedente, quale conseguenza di una adeguata razionalizzazione, non lo si può certo licenziare.

L'auspicio.
Quanto illustrato sinora può anche non essere condiviso. Può esserci chi ne sa più di noi. Se tutti quelli che hanno qualcosa da dire in argomento prendessero carta e (virtuale) penna forse un favore alla nostra comunità lo farebbero. No?
Alberto Frizziero.

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Fuori sacco
Omettiamo queste due note in quanto non pertinenti.

http://www.gazzettadisondrio.it/editoriali/04112013/fusione-dei-comuni-a...

5.XI.2013 (Degno di nota) FUSIONE DEI 5 COMUNI DEL TIRANESE: MESSAGGIO-APPELLO DEI SINDACI AI CITTADINI

Pubblichiamo l'appello dei Sindaci dei 5 Comuni del Tiranese oggi 'fidanzati' con la pseranza, cirradini d'accordo, di convolare a giuste nozze:

“Come si è arrivati a formulare una proposta di fusione tra i comuni di Grosotto, Mazzo di Valtellina, Tovo di Sant'Agata, Vervio e Lovero?
Care concittadine, cari concittadini, l’attuale congiuntura economico-finanziaria, la crisi più grave degli ultimi decenni, ha determinato un nuovo quadro normativo quale risultato delle manovre correttive del debito pubblico che impone alla pubblica amministrazione di ripensare profondamente a se stessa, cercando nuove strade di razionalizzazione, anche quelle che fino a ieri sembravano impensabili. Attualmente, a seguito delle normative sopraggiunte nel corso degli ultimi anni, i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti si trovano nelle seguenti condizioni:
• sottomissione al patto di stabilità;
• impossibilità di accedere a nuovi prestiti per la realizzazione di opere pubbliche e/o lavori di straordinaria manutenzione;
• pesante taglio dei trasferimenti erariali.
Oltre a tutto ciò risulta necessario sottolineare come i piccoli comuni abbiano già da alcuni anni una difficoltà sempre maggiore a garantire l’assolvimento di FUNZIONI obbligatorie (pubblica istruzione, servizi sociali, polizia locale, manutenzione del territorio, ecc.), a causa dal calo sempre maggiore delle risorse utilizzabili per la SPESA CORRENTE. In un tale quadro, senza futuro per i comuni di piccole dimensioni, lo Stato ha deciso di riordinare e semplificare le forme associative, obbligando i Comuni fino a 5.000 abitanti di esercitare in forma associata tutte le funzioni fondamentali entro il 31 dicembre 2013 e prevedendo nuovi incentivi per le fusioni (Art.20 del DL.95/2012 conv. nella legge 135/2012).
Per i Comuni con popolazione inferiore ai 1.000 abitanti, come per i comuni di Lovero, Tovo di Sant'Agata e Vervio, pur non essendo vigente l’obbligo di sottostare al patto di stabilità, il dettato normativo prevede la decadenza della giunta a partire dalle prossime consultazioni elettorali; le funzioni collegiali di tale organismo verranno totalmente assorbite dal Sindaco, salva la possibilità di delega ai consiglieri. Le Amministrazioni di Lovero, Tovo di Sant'Agata e Vervio saranno inoltre costrette a chiedere supporto alle Amministrazioni limitrofe, al fine di associare tutte le proprie funzioni fondamentali, delegando pertanto totalmente la propria attività amministrativa ad altri Comuni.

Alla luce di tale situazione, le Amministrazioni comunali di Grosotto, Mazzo di Valtellina, Tovo di Sant'Agata, Vervio e Lovero hanno ritenuto che il processo di FUSIONE delle cinque municipalità POSSA GARANTIRE UN FUTURO MIGLIORE E DI CRESCITA ALLE NOSTRE COMUNITA’.
Ciò che si presenta a noi è una proposta che in futuro non sarà più realizzabile. Proviamo a fare un salto nel tempo. Proviamo ad immaginare cinque piccoli comuni, dopo anni ed anni di crisi. Quali servizi saranno in grado di erogare ai loro cittadini? Quante saranno le leggi che sottrarranno sempre più poteri agli Enti Locali? Ma soprattutto, quanta fiducia avranno i cittadini nelle loro Istituzioni? Con la crisi che ci stringe in una morsa, chi rimane fuori è perduto. Ascoltiamo, e non cerchiamo di trovare un capro espiatorio per alimentare il campanilismo. Questa è un’opportunità per farci sentire, per far capire che noi abbiamo coraggio e voglia di andare avanti. Collaborando, anche l'insicurezza può diventare forza, ricordandoci delle prossime generazioni, il cui futuro dipende anche da questa scelta.

Guido Patelli Clotildo Parigi Giambattista Pruneri Giuseppe Saligari Annamaria Saligari
Sindaco di Grosotto Sindaco di Mazzo di Valtellina Sindaco di Tovo Sant'Agata Sindaco di Vervio Sindaco di Lovero

Le caratteristiche principali del nuovo comune
La struttura di governo del nuovo comune prevede l’eleggibilità, oltre che del Sindaco, di un Consiglio Comunale di 7 persone con le tradizionali modalità di elezione dei Consigli Comunali previste nei comuni con meno di 5.000 abitanti.
La Giunta comunale sarà composta da 3 Assessori più il Sindaco. La proposta di fusione in discussione comporterà, se approvata dai cittadini, un cambiamento sostanziale, relativamente ai cosiddetti “costi della politica”:
1 Sindaco  anziché 5
3 assessori  anziché 6  (attualmente sono da 10 a 20)
7 consiglieri anziché 30  (attualmente sono 60)

Alla struttura di governo prevista per Legge viene affiancato, come ulteriore forma di rappresentatività delle istanze locali, un Prosindaco per ogni ex Comune che non comporterà costi aggiuntivi e avrà compiti consultivi nei confronti del Sindaco portando le istanze provenienti dal territorio.
Di 11 buoni motivi per sostenere la fusione dei comuni di Grosotto, Mazzo di Valtellina, Tovo di Sant'Agata, Vervio e Lovero
1) Creazione di importanti economie di scala derivanti dalla possibilità svolgere servizi o acquisire forniture per una comunità più ampia rispetto a quella “servita” attualmente dai cinque comuni separatamente;
2) Possibilità di aumentare i trasferimenti erariali dei cinque comuni per dieci anni (art.20 del D.L. 95/2012, convertito nella legge n.135/2012).
3) Possibilità di effettuare importanti operazioni di riorganizzazione del personale, anche in funzione delle cessazioni che hanno interessato i Comuni di Mazzo di Valtellina e Grosotto negli ultimi anni;
4) Possibilità di valorizzare e sfruttare adeguatamente il territorio, attraverso adeguati strumenti urbanistici che possano mettere in risalto le peculiarità e le potenzialità dei cinque Comuni interessati al progetto di fusione;
5) Riduzione sostanziale dei “costi della politica”;
6) Possibilità per tre anni, a partire dall’anno successivo a quello in cui sarà formalizzata la fusione, di scongiurare
l’applicazione del PATTO DI STABILITA’ per il nuovo Ente derivante dalla fusione in modo da poter realizzare importanti opere (centraline sugli acquedotti) già progettate e cantierabili che porteranno in futuro e con continuità preziose risorse da destinare all'erogazione di migliori servizi;
7) Possibilità di avere una “corsia preferenziale” relativamente ai bandi regionali che la Regione Lombardia porrà in essere nei prossimi anni;
8) Il “peso politico” del Comune derivante dalla fusione sarà assai maggiore di quello posseduto attualmente dai cinque Comuni, considerati separatamente. Questo importante riconoscimento potrà essere adeguatamente sfruttato nel momento in cui sarà necessario istituire determinati servizi socio-sanitari per i nostri anziani, oppure il rafforzamento dei presidi territoriali a difesa della sicurezza dei cittadini come la stazione dei Carabinieri di Grosotto, il nuovo Comando di polizia locale, il distaccamento VVFF volontari e dei gruppi ANA e di protezione civile;
9) Garantire servizi efficaci ed efficienti ai cittadini del comune derivante dalla fusione, mediante l’elevata specializzazione
dei dipendenti. Le risorse suppletive ai disposizione del nuovo Comune, assolutamente rilevanti, permetteranno inoltre di offrire adeguati servizi socio-sanitari alla popolazione anziana, sempre più numerosa;10) La vitalità del nuovo comune, sotto il profilo urbanistico e di valorizzazione del territorio, permetterà sicuramente
di creare le condizioni per nuovi investimenti di aziende private, garantendo pertanto nuova occupazione, soprattutto per i nostri giovani, che purtroppo da ormai troppo tempo lasciano la nostra provincia o la nostra regione alla ricerca di un posto di lavoro;
11) Servizi di rilevante importanza come l’istruzione, oltre che la programmazione di iniziative culturali in grado di coinvolgere la cittadinanza, potranno essere mantenuti e potenziati, con grande beneficio, soprattutto, per le nuove generazioni.

Gli incontri pubblici della campagna elettorale per il referendum del 1 dicembre

Nell'ambito della procedura di proposta di fusione dei Comuni di Grosotto, Mazzo di Valtellina, Tovo di Sant'Agata, Vervio e Lovero al fine di favorire il più ampio coinvolgimento delle popolazioni interessate e fornire il massimo supporto informativo sono fissati i seguenti incontri pubblici:
giovedì 14/11/2013 ore 20,30 a Vervio;
venerdì 15/11/2013 ore 20,30 a Grosotto;
sabato 16/11/2013 ore 20,30 a Mazzo di Valtellina;
giovedì 21/11/2013 ore 20,30 a Lovero;
venerdì 22/11/2013 ore 20,30 a Tovo di Sant'Agata;
gli incontri si svolgeranno per ogni comunità nei luoghi di rito.

Guido Patelli Clotildo Parigi Giambattista Pruneri Giuseppe Saligari Annamaria Saligari Sindaco di Grosotto Sindaco di Mazzo di Valtellina Sindaco di Tovo Sant'Agata Sindaco di Vervio Sindaco di Lovero

http://www.gazzettadisondrio.it/degno-nota/05112013/fusione-dei-5-comuni...

7 Novembre 2013 Editoriale di Attilio Pandini

PER UNA FUSIONE (DEI COMUNI) SENZA CONFUSIONE

Ben vengano anche da noi le fusioni dei Comuni, a condizione che il loro principale obiettivo sia (e resti) quello di offrire alla collettività migliori servizi a costi minori. Ciò compenserà qualche disagio per i cittadini, inevitabile (almeno nei primi tempi) come la perdita di vecchie abitudini o della stretta prossimità ai centri amministrativi. Forse converrebbe decretare anche nello Statuto dei nuovi Comuni, nero su bianco, la decadenza automatica e immediata del Sindaco che appesantisca le tasse o il passivo di bilancio.

La Valchiavenna si è mossa anche sulle orme dei cinque Comuni della Bregaglia grigione che l’hanno preceduta nel 2009. È qui non è forse inutile  ricordare che prima del voto popolare lo Stato grigione, cioè il governo di Coira, come voto augurale promise al nuovo Comune un consistente aiuto finanziario per le spese della fusione. E che poche ore dopo la proclamazione dei risultati arrivò in Bregaglia un ministro cantonale con un assegno di 5,5 milioni di franchi (pari a 4,5 milioni di euro). Di quella somma, due milioni e mezzo di franchi sono stati subito destinati alla ristrutturazione di un edificio scolastico ben adatto a trasformarsi in un palazzo degli uffici e dei servizi. Quell’edificio non sorge a Vicosoprano,  borgo principale della valle, bensì a Promontogno, a tre chilometri dal confine di Villa di Chiavenna.Si è dunque deciso di installare a Promontogno il centro di governo della Bregaglia, con tutti i servizi, i funzionari, i municipali (i nostri assessori) e col signor Sindaco (che qui è una Sindaca, Anna Giacometti). Scelta, se non rivoluzionaria, certo innovativa e di rottura con consuetudini radicate da secoli. Col Comune si converserà e ci si collegherà sempre di più per via telematica anche in Bregaglia, come già si fa a Ginevra o a Zurigo. Parafrasando  Alberto  Frizziero, vi vedremo un’ennesima occasione “ per spremere al massimo la telematica “.

E’ vero che, secondo un recente sondaggio via internet, oggi i bregagliotti non sarebbero più tanto contenti della fusione. Ma gli stessi promotori mettono in risalto la scarsa affidabilità dei dati raccolti: esiguo il numero di votanti; nessun controllo della loro identità; possibilità di voto plurimo. I motivi dello scontento? Maggiori costi dell’amministrazione, peggiori servizi, pochi risparmi. La Sindaca ha risposto precisando che il nuovo Comune spende meno della somma dei cinque Comuni precedenti, pur avendo riassunto tutto il personale; le ore di apertura degli uffici comunali sono aumentate; l’istituzione di un tecnico comunale è stata ben accolta, ecc. Si ha dunque l’impressione che il nuovo Comune, fra accentramento e cambiamenti, stia concludendo favorevolmente l’inevitabile (e sempre molto impegnativo)  periodo di rodaggio.

In ogni caso le esperienze della Bregaglia grigione saranno senza dubbio assai utili anche  per i cinque Comuni valchiavennaschi che vogliono unirsi formando un nuovo Comune di circa 14mila abitanti sulle rive della Mera. Non so se, eccettuata forse “La Móniga” (scherzo...) , esista sul territorio uno stabile adatto per trasformarsi in centro amministrativo.  È probabile che si debba cercare ancora a Chiavenna; forse contando, mi si passi la leggera ironia, sui previdenti investimenti immobiliari della Comunità montana.

Ma anche in Lombardia, come in Svizzera, l’“operazione unità” avrà notevoli costi. Purtroppo non ho trovato nei giornali, certo per mia disattenzione, notizia sull’entità degli stanziamenti disposti dal  governo regionale lombardo per aiutare i Comuni impegnati nelle fusioni. Un investimento produttivo, non una mancia a fondo perduto. Quindi non dovrebbe trattarsi di piccole somme. Se Coira dà 4,5 milioni di euro per unire in un solo Comune i circa 1600 abitanti della Bregaglia, quanto avrà stanziato  il Pirellone per facilitare, sulle rive della Mera, il sorgere del nuovo Comune con circa 14mila abitanti, quasi nove volte tanto? L’aritmetica risponde: almeno 40 milioni di euro. Comparaison n’est pas raison, ammoniscono i francesi. Che hanno ragione, perché molti paragoni si rivelano ridicoli. Ma ha ragione, mi sembra, anche chi chiede chiarezza di propositi e di impegni. A me, e forse non soltanto a me, piacerebbe avere notizie certe sul come, sul quanto e sul quando. Senza questa chiarezza, quanto mai “concreta”, anche la migliore fusione rischierebbe di degenerare nella solita confusione di speranze andate a male, inacidite in delusioni.
Attilio Pandini

Note biografiche
Nato a Chiavenna nel maggio del 1928, Attilio Pandini studia a Bergamo, dove nel 1947 ottiene la maturità scientifica. Giovanissimo collabora a settimanali e quotidiani, fra i quali l'Umanità e Voce repubblicana. Nel 1951 viene chiamato al settimanale Risorgimento socialista di Roma. Vi resta come redattore e inviato fino al 1958, salvo una parentesi di poco più di un anno a Sondrio come redattore-capo del settimanale Eco delle Valli. Entra poi nella redazione romana del quotidiano Avanti!  passando dalla cronaca alle provincie e agli interni  Nel 1960 si trasferisce all'Avanti! di Milano per dirigere la Terza pagina del giornale, dove  nel 1963 diventa redattore-capo. Sempre come redattore-capo passa due anni dopo al rotocalco ABC, sul quale lancia con il suo amico on. Loris Fortuna la grande campagna per il divorzio che porterà il settimanale alla tiratura di oltre 400mila copie. Nel 1967 Pandini si trasferisce a Ginevra dove lavorerà per vent'anni come corrispondente dei servizi giornalistici della RAI: telegiornali, giornali radio, servizi speciali. Ottenuta la pensione, rimane a Ginevra con la  famiglia. Ha collaborato a numerose pubblicazioni, fra le quali Mercurio, Critica sociale, Tempo presente, Libera stampa. È autore di varie opere, fra le quali  "Tre carnevali chiavennaschi", "Rapporto sul divorzio in Italia" (edito prima da Sugar e poi ripubblicato da Longanesi ), "I camosci della Luna, sussidiario della memoria" (storie di casa, storie della valle, storie svizzere) e in edizione privata "Dematrà, i nuovi proverbi": "omaggio filiale - egli scrive - dedicato alla mia prima patria, Chiavenna, e alla nostra lingua materna, il 'ciavenasch' ".

Attilio Pandini.
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Alberto Frizziero
Editoriali