PESANTISSIMA LA SCONFITTA DEL PDL A MILANO (dal n. 13 del 10.5) 11 5 20 04
La profezia
Il 22 aprile scorso Francesco Angelini così concludeva il suo articolo di fondo de "La Provincia di Sondrio": "Senza voler fare illusioni o paragoni storici privi di senso Milano ha visto l'ascesa e la caduta di Mussolini come di Craxi. Se è vero che non c'è due senza tre…".
Deduzioni logiche
Domenica sera, a urne aperte, un intellettuale che di politica se ne intende mi chiedeva una valutazione su come vedevo la situazione elettorale. Era un tempo la domanda di prammatica a chi aveva diretto tredici campagne elettorali, allora di tre mesi, quando la passione spingeva a buttarsi a capofitto nell'impegno, tutti rischiando il divorzio, lasciando indietro le proprie cose, tirando fuori soldi per la benzina, il mangiare, magari anche i francobolli. Le domande erano rituali, visto che riuscivo a vedere le cose abbastanza bene. Non con la sfera di cristallo ma con la logica. La politica infatti ha sue leggi, che poi attengono alla psicologia di massa seppure in modo molto sofisticato. Il fatto è che sono pochi a rendersene conto, e ancor meno a seguirle. Seguirle infatti è in genere scomodo e spesso, inoltre, si sfugge a quello che può dare fastidio, come, ad esempio, i segnali premonitori pre-campagna elettorale.
Domenica sera, a urne aperte, ho risposto, motivando, che non la vedevo bene per la Moratti. Onestamente non nelle gigantesche (il perché di questo aggettivo lo vedremo avanti) proporzioni della sconfitta del centrodestra con inversione di ruoli. Sfidante quasi in trono e sfidata a rincorrere una quasi impossibile affermazione.
L'esempio
Si sa che i profeti del giorno dopo pullulano. Tutti hanno la loro ricetta. Dopo. La lunga esperienza ha portato chi scrive, con qualcun altro come l'amico di cui dicevo dianzi, ad abbozzare gli scenari 'prima' e non dopo. Si può sbagliare. Una di queste campagne, quella delle politiche del 3 giugno 1972 e, una settimana dopo, delle prime elezioni europee del 10 giugno, 39mo anniversario della nostra entrata in guerra, è in proposito illuminante. Dal 1972 in sede di spoglio facevo personalmente, allora senza computer e calcolatrici e con l'aiuto di uno staff composta da mio fratello Maurizio, Lucianino Erba e Ugo Rota, le proiezioni. Centinaia di persone in Via Battisti davanti al centro operativo avevano visto per la prima volta il nuovo sistema, appunto di queste 'proiezioni' allora sconosciute a chiunque. Risultato, dopo neanche 1000 voti spogliati, in piccoli Comuni, avevo fornito il dato finale. Lo scostamento tra la proiezione del pomeriggio, intorno alle 16, rispetto al risultato finale della notte (intorno al 52% per la DC) era stato solo dello 0,5%. L'invenzione del centro operativo, dello staff articolato su quasi una ventina di gruppi operativi, del mailing, di una sorta di marketing, di campagne elettorali selettive eccetera eccetera, con affinamenti campagna dopo campagna erano gli strumenti. Gli strumenti da soli non bastavano affatto e non bastano affatto. Conta quello che si ha, prima, in testa, lo scenario strategico con, in premessa, una conoscenza, perfino analitica, del campo di azione.
Tutti sbagliano
Bene. Con tutto questo alle elezioni del '79, nel preparare le colonne - Excel allora non c'era - per i complessi conteggi richiesti dalle proiezioni, accanto ai soliti partiti c'era quella chiamata "altri", necessaria per completare il quadro statistico. Ebbene ecco l'errore. In quella elezione fece irruzione, non prevista, la Lega con circa 11.000 voti che rappresentavano circa il 10%. Non c'era nella colonna. Nessuno di noi aveva previsto questa novità, men che meno a Roma.
La spiegazione non era tecnica, ma politica. I sensori sul territorio non avevano funzionato nonostante la presenza diffusa della DC, nonostante i suoi circa 700 consiglieri comunali in quasi tutti i 78 Consigli della provincia.
L'analisi, subito fatta (ignorata dal Partito che sottovalutò, qui, a Milano, a Roma, il problema) individuò tra le cause una perdita 'di sensori'. Un esempio. Delle 106 sezioni della DC tre erano nel Comune di Valdidentro: Isolaccia, Semogo, Premadio, solo Pedenosso non avendone una. Si volle unificarle facendone una sola comunale a isolaccia. Si persero quasi tutti gli iscritti delle altre due sezioni, e se ne persero anche localmente per la perdità di identità intervenuta.
Vittoria tattica (su Fini), sconfitta strategica" (scritto allora)
All'indomani del ventinove luglio dello scorso anno, data della rottura definitiva tra Berlusconi e Fini, noi scrivemmo "vittoria tattica, sconfitta strategica".
In Italia le scissioni non hanno mai portato fortuna, a nessuna delle due parti tranne un solo caso. Fu quando Saragat nel gennaio del 1947 se ne uscì dal Partito Socialista fondando il Partito Socialista dei Lavoratori italiani in seguito divenuto Partito Socialista Democratico Italiano. In quel caso c'era però una ragione fortissima in quanto lui, con altri, non era d'accordo sulla collaborazione del Partito Comunista.
In politica c'è una vecchia regola, in bisticcio con la matematica, che vuole in casi come questi che mettendosi insieme 100 più 100 non fa 200 ma al minimo 230-240 e viceversa. L'inverso in caso di scissione con tutte le complicazioni connesse. Un esempio chiarissimo è l'on. Bocchino. Ce lo siamo sentiti nei TG quasi ogni giorno sparare a zero quando era vicecapogruppo alla Camera contro le opposizioni. Operata la scissione e divenuto il co-leader Finiano l'abbiamo sentito per settimane - - ora sembra calato di tono - sparare a zero con i suoi compagni di viaggio sino a qualche giorno prima. Resta cioè in questi casi una serie di recriminazioni, persino a livello personale, fra quelli che erano sino al giorno prima tutto pappa e ciccia. Per completezza va anche detto che Berlusconi era forse stato tratto in inganno dalle informazioni che qualcuno gli dava della consistenza del gruppo scissionista. Parevano pochi e non determinanti. Erano di più e determinanti. La debolezza della gestione politica si è fatta sentire anche se non è stata affatto una novità.
Lo scenario: il Viale
C'era un Viale, ampio, maestoso come soleva fare l'imperial Governo Asburgico anche nelle nostre zone. L'elettorato italiano aveva preparato per il Governo, per la maggioranza, questo splendore. Un viale non solo largo ma molto lungo al punto da richiedere cinque anni per percorrerlo, pronto forse a rinnovare l'affidavit per altro pari percorso dopo una pausa ristoratrice nei due Palazzi che contano, a Palazzo Chigi dovendosi aggiungere l'antica residenza dei Papi, il Quirinale.
La situazione era tale da potere, nel percorso, cambiare, e cambiare, e cambiare in una logica da terzo millennio.
Lo scenario: le macerie
Improvvisamente il patatrac. Edifici in briciole, macerie tali da restringere il maestoso Viale trasformandolo in un vicolo angusto col rischio addirittura di doversi fermare chiamando la protezione Civile per riaprire in qualche modo un passaggio di emergenza. Fortuna per il Premier che chiamando al soccorso qualcuno è arrivato a spostare un po' di macerie, non tante ma almeno quelle che potevano consentire la fiduciosa prosecuzione del cammino.
La gente
La gente che assisteva al passaggio lungo questo Viale, accalcandosi ai lati, come avrebbe reagito? Ma evidentemente nel modo che abbiamo detto. Non è la stessa cosa il Viale maestoso e rassicurante e il vicoletto così simile ad altri del passato. Nessuno ha pensato allo scotto che si sarebbe dovuto pagare?
Il problema strutturale
Sul n. 13 del 10 maggio 2005 scrivevamo: "L'Italia ha bisogno che la guidi qualcuno per due o forse anche tre mandati legislativi per affrontare i nodi strutturali avendo il tempo di scioglierli, dato che non basta per questo fare le leggi, ma occorre anche applicarle, e occorre poi controllarne i risultati, e occorre infine apportare le correzioni che la realtà concreta evidenzia come necessarie". Discorso ancora attuale. Discorso che postula però l'immagine del Viale ampio di cui avanti, ormai ridotto a viottolo.
Un secondo aspetto. Nello stesso numero ricordavamo quanto scritto ancora prima, nell'ottobre del 2002: "Avevamo pure scritto che Berlusconi avrebbe dovuto cambiare ruolo diventando leader di un Partito dall'attuale posizione, che resta, di Partito del leader". E' un ritornello ripetuto nel tempo varie volte, rappresentazione di una esigenza che oggi si vede quanto reale e nel contempo quanto trascurata.
Torniamo a Milano
Ballottaggio. A Milano ci sono 1251 seggi. Il primo lavoro che dovrebbe essere fatto - lo si faceva un tempo - analizzare seggio per seggio con la presenze di qualcuno che vota lì il risultato odierno e quello precedente registrando i picchi di scostamento negativi e positivi e, in tal caso, cercandone le ragioni. Tre giorni. Il quarto giorno le analisi di secondo livello, il terzo giorno la definizione della strategia informativa.
L'obiezione che queste cose sono oggi superate ecc. ecc. non ha alcun fondamento. Le leggi della comunicazione infatti - come tempo fa ebbe a sottolineare un esperto - non sono né nuove né vecchie. Sono leggi legate alla psicologia dell'uomo per le quali, entro limiti ristretti naturalmente, il tempo è una invariante. Questo dovrebbe presupporre la presenza alle spalle di un Partito con un certo numero di militanti che assicurino quantomeno, se non tutto, un certo numero di esami tali da poter costituire un campione.
Pisapia tranquillo
Pisapia ha un altro vantaggio: i Consigli Circoscrizionali, tutti al centro-sinistra, meglio al sinistra-centro dimostrazione della non presenza nella gente del PdL: La TV, per molti un oracolo, conta fino a un certo punto. Gli eletti nei consigli di zona sono conosciuti e conoscono la loro zona nonché i problemi. Si tratta di una rete importante di collaboratori che capillarmente sosterranno Pisapia. Si potrà dire che lo possono fare anche quelli di centro destra. Certo, ma con molta minore efficacia, sia per questione di numeri che di preparazione politica.
Moratti, unica possibilità
- Il linguaggio dei numeri. Vediamo comunque lo scenario. Hanno votato a Milano in 673.185 pari al 67,56%, percentuale quasi uguale a quella del 2006 (67,52%). Allora 22.727 in più. Disaffezione notevole al voto dunque e, ad un primo esame. Scarse possibilità di recupero. Le residue, ultime, speranze del centro-destra risiedono però nella differenziazione tra quel terzo di milanesi che non si è recato al voto nel 2006 e quello che non c'è andato domenica e lunedì scorsi.
- La carta d'identità del non voto. Nel 2006 il candidato di centrosinistra era l'ex Prefetto Bruno Ferrante, persona certo di prestigio per e del 'Palazzo' ma sicuramente figura tale da non entusiasmare la sinistra-sinistra e alcuni ambienti, tipo i centri sociali, che oggi hanno sicuramente scelto Pisapia. Diciamo questo ricordando la dichiarazione del leghista Salvini, un pieno di preferenze, che ha fatto una inusuale dichiarazione di stima per Pisapia-persona, indipendentemente dal suo passato, polemizzando invece per la parte dei suoi sostenitori, tipo appunto quelli dei centri sociali.
- Lo scambio dei numeri. Torniamo ai numeri e non alle percentuali. Letizia Moratti 273.401. Giuliano Pisapia 315.862. Gap di 42.461. Palmeri Manfredi, candidato dei seguaci di Casini, Fini e Rutelliha ottenuto 36.471 voti. Dato, e non concesso dopo aver sentito la sua dichiarazione, che chi lo ha votato in prima battuta si sposti sulla Moratti, per raggiungere il rivale a lei occorrerebbero 5990 voti.
- Può farcela la Moratti? Visto che il tema è questo per gli evidenti riflessi di ambito nazionale ci si deve chiedere se allora può farcela? Teoricamente sì. In pratica è molto difficile sia in termini politici che sul piano operativo. Politicamente la rottura nel centro-destra è stata così dirompente che lo strascico l'ha lasciato e come, anche se non va dimenticato che l'UDC è tuttora in Giunta con la Moratti con un assessore che conosciamo bene, Verga, assessore regionale al tempo della calamità del 1987. Bravissimo. In termini operativi il centrosinistra sta meglio per la già citata articolata presenza nella comunità. C'è poi da considerare il reticolo di interessi, e parliamo0 ovviamente di quelli legittimi. Qualcuno fa fatto i conti della posta economica in gioco, Expo compreso: 80 miliardi. Non ci riferiamo agli appalti, sulla cui regolarità non ci sono dubbi o sospetti sia con Pisapia che con la Moratti. Parliamo invece, sintetizzando con un solo esempio, di tutte le operazioni pubblico-privato che si profilano in un grande Comune come Milano, in questa fase.
Berlusconi. Fantapolitica?
Va citata per completezza una ipotesi che potrebbe essere di fantapolitica partendo dal flop delle preferenze, in parte dipendente anche da un deficit organizzativo.
- Le preferenze del Premier. Berlusconi: tonfo da 53.297 a 27.972. Meno 25.325. Qualcuno accosta il risultato alla diminuzione di voti politici, dai 194.995 di Forza Italia nel 2006 ai 171.222 del PdL oggi. Meno 23.227. La coincidenza è solo numerica con una perdita teorica di soli 2098 voti.
Non è così. Qualcosa certo può esserci, per cui non tutto il decremento può essere attribuito alla perdita di consensi preferenziali già acquisiti. Una perdita in termini reali può essere ipotizzata tra le 10 e le 15.000 preferenze. Grave perché il Premier si era speso in prima persona puntando su un risultato che avesse come base di partenza le 53.297 dell'altra volta.
- Berlusconi nel mirino delle responsabilità. Di qui l'ipotesi, se fantapolitica o meno si vedrà. Berlusconi nel mirino. Qualcuno dei presenti valtellinesi alla maxi-riunione conclusiva della campagna elettorale racconta che all'attacco, duro, 'ai giudici', poi corretto 'ai PM milanesi', c'è stato chi ha lasciato la sala. Pochi, ma cosa emblematica. Non sfugge a nessuno che persone moderate, in Forza Italia dall'inizio, pur convinte che contro Berlusconi vi sia stato - usiamo la frase di Casini - accanimento giudiziario sono insofferenti per il ripetersi continuo del leit-motiv. Non sfugge a nessuno che le vicende 'rosa', tipo Ruby & C., abbiano dato fastidio a non pochi, anzi a non poche. Non sfugge a nessuno che tanti non sono affatto d'accordo sapendo che da aerei con il tricolore piovono bombe sulla Libia. Non sfugge a nessuno che pur in un quadro di tagli indispensabili chi ne ha pagato lo scotto qualche recriminazione ce l'ha. Eccetera. La discesa di Berlusconi in campo, anzi davanti a tutti, anche alla Moratti, ha trasferito al Sindaco un fardello pesante. In altri termini l'ha penalizzata.
- La Moratti senza Berlusconi (per giunta silenzioso). Domenica 15 Berlusconi non c'è più perché per le liste i giochi sono fatti e quindi anche per il capolista. E' vero che i buoi intanto sono usciti dalla stalla ma un recupero teoricamente, sebbene forse non risolutivo, potrebbe venire anche su questo versante. Alla condizione di un Berlusconi silenzioso. Pensava che la sua presenza galvanizzasse e trainasse. Non è stato così. Non sarebbe così il 15.
Le pre(o)messe del PdL
Passiamo da Milano a Roma ovvero alle prospettive più ancora che del Governo della maggioranza, anzi, del PdL. Era nato con davanti quell'ampio Viale di cui abbiamo parlato prima. Gli italiani avevano dato ampia fiducia anche perché c'è bisogno. Di cosa? Lo scrivevamo sei anni fa. Testualmente dal n. 13 del 10 maggio 2005:
"L'Italia ha bisogno che la guidi qualcuno per due o forse anche tre mandati legislativi per affrontare i nodi strutturali avendo il tempo di scioglierli, dato che non basta per questo fare le leggi, ma occorre anche applicarle, e occorre poi controllarne i risultati, e occorre infine apportare le correzioni che la realtà concreta evidenzia come necessarie".
Nello stesso numero riprendevamo quanto scritto nell'ottobre del 2002: "Avevamo pure scritto che Berlusconi avrebbe dovuto cambiare ruolo diventando leader di un Partito dall'attuale posizione, che resta, di Partito del leader".
Partito del leader? Non basta più
Anni fa abbiamo cominciato a sostenere che 'il Partito del leader' non poteva andare lontano, su quel Viale ampio da due o tre legislature. Senza alimento culturale, senza una sorta di controllo politico in condizioni di democrazia interna, non si ha Partito, si ha Movimento. Un Movimento può servire anche a a vincere una elezione, non a garantire il futuro.
Lo si vede.
Se Berlusconi - ma qui grosse responsabilità ha il suo staff - si decidesse a fare invece 'il leader di un Partito' ruolo che nessuno contesterebbe, ma ovviamente diverso dalla logica dei Consigli di Amministrazione, darebbe alla sua creatura non una boccata di ossigeno ma molto di più, ossia garanzia di futuro anche nel dopo-Silvio.
Elezioni politiche più lontane. O no?
La Russa, noti i risultati, ha dichiarato che il pericolo di elezioni si fa più lontano. L'affermazione ha un suo fondamento vista la difficoltà del centro-destra, soprattutto al nord. Vale anche l'assunto opposto. Elezioni per evitare un logoramento governativo in fase economica ancora difficile con scadenze altrettanto difficili. Elezioni approfittando della situazione in movimento a sinistra. Di fatto si sta andando verso un capovolgimento da centro-sinistra a sinistra-centro. L'ipoteca dei Di Pietro, dei Vendola e, a latere, dei Grillini, si accompagna alla debolezza dei cattolici confluiti nel PD e a quella di chi, nel PD, vedeva un nuovo Partito lontano dal passato sintesi della cultura cattolica con quella riformista, marxismo incidente di percorso da neppure ricordare. Il seguito, assolutamente logico, ricordando anche ragioni e blitz della Presidenza Spadolini, resta nella penna perché non è assolutamente fantapolitica ma lo sembrerebbe. Saltando le motivazioni, arrivando alla fine diciamo che le elezioni non sono affatto così lontane come dice La Russa. Sentenze a parte, anche se ora c'è da mettere in conto o un rallentamento quasi fisiologico delle inchieste o addirittura una accelerazione brusca.
Il PD. Felice, e ne ha ragione. Ma…
Bersani gongola. Ne ha motivo. Sintetizza: "Noi abbiamo vinto, loro hanno perso". Uno dei coordinatori del PdL, Verdini, ha risposto sostenendo che, tolto Milano, si è avuto un pareggio. Neppure il segretario politico di Vattelapesca sarebbe riuscito a tanto, fornendo oltre a tutto su un piatto d'argento la possibilità di replica agli avversari. In altri termini dopo il danno anche le beffe. Oltre a tutto lontano dalla realtà.
- I pro. La soddisfazione da cosa deriva? In primo luogo dalla sconfitta di Berlusconi. Vera ma dato negativo. Poi dall'esito di Bologna e Torino. Si può dissertare sull'entità dei risultati ma in realtà nulla di nuovo sotto il sole. Bologna, con l'eccezione 'strana' di Guazzaloca, è sempre stata 'Bologna la rossa' anche se ha alzato la testa la componente protestatoria visto l'esito dei Grillini. Torino veniva da una signora stagione con un signor Sindaco come Chiamparino e con un signor candidato, Fassino, oltre che di prestigio anche simbolo dell'identità torinese. Soddisfazione ma in negativo anche per Napoli dove la pronosticata vittoria del centro-destra non si realizza.
- Ma… Detto tutto questo, in positivo, gli elementi di preoccupazione. E' cresciuto Vendola, spina nel fianco del PD. Aveva vinto le regionali, soprattutto per demerito del centrodestra che aveva silurato la sicura vincente Poli Bertone. La vittoria principale l'aveva ottenuta prima, sconfiggendo alle primarie il candidato designato dal PD sostenuto nientemeno che da D'Alema. A Napoli disastro nelle primarie. Disastro alle elezioni con il suo candidato che finisce terzo al ballottaggio avendo prevalso De Magistris, un po', sia consentito, alla Masaniello.
L'egemonia del PD sulla sinistra è del tutto in discussione. I conti li deve fare con l'IDV.I conti li deve fare con Vendola. E poi, fuori della porta dove dice di voler restare, c'è Grillo che sicuramente non dà fastidio al centro-destra, anzi lo aiuta.
Il voto è stato un tonico ma non solo per meriti bensì per quelli e per demeriti degli avversari.
Ora Di Pietro…
Di Pietro come Bossi
Tempo fa Bossi stupì tutti dichiarando "Basta muscoli. Per governare occorrono teste". E imboccò questa strada. Ne sa qualcosa da compartecipe, l'on. Provera.
Di Pietro come Bossi. In TV ha subito dichiarato "adesso basta con l'opposizione, dobbiamo costruire". In politica saggezza vuole che gli eventi importanti, l'evoluzione delle cose che contano, si colgano da aspetti apparentemente marginali, perfino, come in questo caso, da una battuta. In questo modo Di Pietro si candida. Non più battitore libero ma artefice innovativo. Forse, aggiungiamo noi, in prospettiva con Vendola. Annotare e poi, fra qualche tempo, verificare.
Terzo Polo
Fra color che son sospesi quelli del Terzo Polo. Casini, il più brillante dei tre, è costretto a qualche equilibrismo. Dalla rottura secca con Berlusconi alla inconciliabilità di posizione con un centro-sinistra di fatto diventato sinistra-centro ne esce dicendo che il Terzo Polo è determinante in questa situazione di fallimento del bipolarismo. In questi giorni ha tuttavia introdotto un elemento di preoccupazione rappresentato dal risultato delle politiche seguite, ovvero il trionfo degli estremismi, persino dando atto alla Lega di essersi espressa in campagna elettorale con positiva moderazione.
Scontata la libertà di voto e quindi nessun accordo anche se a questo punto l'assessore Verga diventa importante…
Lega
Che Bossi non fosse proprio contento che a Milano scendesse in campo Berlusconi era noto. Che a maggior ragione oggi non lo sia è intuibile. E non c'è solo questo. La Lega per la sua presenza nel territorio avendo tante orecchie non a caso si era dichiarata contro le bombe in Libia. In effetti le ragioni della nostra discesa in campo non sono proprio note e chissà se le sapremo mai, salvo che sia stata una discesa in campo obbligata dopo la poco felice uscita del Presidente Napolitano ("risorgimento africano"). Forse qualche intrapresa isolata di troppo, qualche sussulto polemico. Bossi però ha parlato chiaro: tutti sulle mura,. Tentiamo l'impossibile ('impossibile' non è Bossi a dirlo ma le cose come si presentano, salvo sorprese di segno opposto a quelle di lunedì scorso).
Prodromicamente
L'avverbio di questo titolino la dice lunga, chiarito propedeuticamente (e due!) che l'analisi, - anzi le analisi di cui sopra - può anche capitare di non essere condivisa, in parte o del tutto. Una cosa resta comunque certa: l'imparzialità dell'osservatorio. Le letture possono essere di parte ma solo perché di parte è chi legge, di un colore politico o del suo opposto. Vedremo.
Alberto Frizziero
www.gazzettadisondrio.it - 20 V 2011 - n. 14/2011, anno XIV°