PERCHÉ I GIOVANI OGGI PROTESTANO COSÌ TANTO CONTRO LE ISTITUZIONI SCOLASTICHE???

Ha sbagliato di grosso la già non simpatica Ministro del Lavoro Laura Fornero che ha detto con la sua puzza sotto il naso che i giovani- oggi- perlopiù- sono choosy (= schizzinosi, difficili), mentre la ricerca CISL afferma che il 71% dei ragazzi accetterebbe qualsiasi incombenza purché pagata, mentre - purtroppo - il 78% dichiara che se non c'è una bella raccomandazione hai voglia ad essere competente (basta ricordare la polemica che si è scatenata giustamente attorno alla Melandri che è " fuggita" dal Parlamento per "accomodarsi al MAXXI", il grande museo di arte moderna di Roma e i figli della stessa Fornero che - in quanto a retribuzione - si sono sistemati proprio in modo eccellente anche se - pensiamo - avessero tutte le virtù della severa mamma), degnamente "raccomandata" da uno dei ministri del così "corretto" ed "onesto" governo. Non proprio contenta di quello che leggo e vedo per la TV, ho chiesto anche a dei giovani cosa pensano di tutto questo "casino". I diciottenni si dissociano quasi tutti dalla varia allegra baraonda, stimolata dai soliti attizza-popolo e disprezzano sul serio i quindicenni che - mi hanno detto sinceramente - non capiscono nulla della scuola, pensano solo a divertirsi, a disturbare, a vivere bene con i soldi di papà e mamma che li viziano in tutti i modi. Questo dovrebbe finire presto. Il futuro non potrà essere lasciato in mani così fragili (speriamo).

Allora?

Sembra che la questione disciplinare nelle scuole stia diventando contemporaneamente o un luogo comune, da dare per scontato e ineluttabile o una condizione di ansia parossistica dei docenti e dei dirigenti, incapaci e impossibilitati a trovare la soluzione a gesti di scorrettezza relazionale, a comportamenti teppistici o ad abitudini consolidate di lassismo e maleducazione.

Famiglie e scuola, sovente, invece di collaborare, giocano a rinfacciarsi le responsabilità, trovando la soluzione di comodo nelle colpe della società, questo "diffuso reo" che si deve assumere tutti i carichi per i cattivi esempi, per la scadimento dei "costumi", per la perdita dei "valori" che dovrebbero costituire lo sfondo sostanziale di ogni azione istruttiva, formatrice e educativa sia della scuola che della famiglia.

Provate a dettare regole e subito avvertirete nei giovani un immediato senso se non di rifiuto o di rivolta, quantomeno di fastidio. I giovani di oggi diventano prestissimo liberi ma restano sostanzialmente meno capaci di gestire gli anticipati spazi di autonomia, gli aumentati livelli di decisione personale. L'intervento degli adulti di riferimento cozza con un contesto decisamente contrapposto delle logiche "giovanili" che stabiliscono la deregulation come condizione non pattuita della relazione con genitori e docenti.

Ecco perché alcuni genitori - forse più fortunati o più attenti o più motivati - parlando dei propri figli, orgogliosamente li definiscono in positivo come "diversi dagli altri giovani" perché si dà per condiviso un giudizio negativo sulla gioventù di questi tempi.

In Italia la lamentela dei Dirigenti scolastici e dei Docenti è unanime; ma pensate a quanto sta avvenendo - ad esempio - nelle scuole inglesi, dove si è tornati alle "punizioni corporali" e in alcune scuole americane, assurte agli onori della cronaca nera, con omicidi di cui sono rei adolescenti in preda a raptus di violenza contro compagni e professori.

In alcune scuole italiane i docenti hanno pubblicamente dichiarato di essere stati derisi o minacciati dagli alunni, anche della scuola dell'obbligo, hanno subito danni alle proprie cose per ritorsione, hanno patito umiliazioni pubbliche, senza poter opporre alcune difesa al proprio prestigio e alla propria autorità.

In ogni caso l'atteggiamento pessimistico e denigratorio non risolve la delicata questione, anche perché è profondamente vero ed accertato che i più sono i migliori e solo i meno sono i peggiori, anche se la consuetudine della notizia fa emergere più il negativo rispetto al positivo.

Vale la pena, però, denunciare il pericoloso "perdonismo" verso le piccole trasgressioni, le minute violazioni della norma, i cedimenti di stile; "ma sì - si dice - sono ragazzi.....". Questi ragazzi che sporcano, rompono, non rispettano gli orari, rubacchiano, fanno gli sguaiati, non hanno il senso del limite né per se stessi né per gli altri. Per carità, niente di "gravemente delittuoso" ma sicuramente i giovani si abituano così a gesti scivolosi ma subito perdonati che, col tempo, spingeranno all'abitudine sempre peggiorativa di tutto è permesso, tutto è compreso, tutto è ritenuto consentito, proprio perché "trasgressivo".

Nella scuola la parola "disciplina" è considerata - da alcuni studenti - l'etichetta riepilogativa della repressione, del rigore soffocante delle regole imposte, dell'autoritarismo di chi ha il coltello dalla parte del manico.

Alcuni giovani di oggi, toccati sul vivo dei loro "diritti", usano una espressione "piena": "Non è giusto". Invocano la Giustizia ma non si sentono per niente chiamati in causa dall'obbligo della LEGALITA'. E se i compagni non stanno ai gioco del non-studio, delle non-assenze a trucco, dell'indisciplina, della bugia o della solidarietà negativa, vengono subito additati come sottomessi al potere, come crumiri, come secchioni da emarginare, se non proprio da ricattare e...minacciare.

Tornare alla disciplina non significa affatto invocare un ritorno all'antico, allo stile di fare scuola che ha caratterizzato la nostra giovinezza e che stava stretto anche a noi, che pure vivevamo in una società regolata dall'obbedienza e da adulti che non andavano mai contraddetti, da regole "valide di per sé" ed indiscutibili.

La società ha modificato sostanzialmente i sistemi della relazione tra le generazioni, così come ha modificato il concetto di autorità e la scuola - che si dice essere "palestra di vita" - non può chiudersi nel guscio di un modo di essere delle regole avulso dai tempi, anche perché dell'autorità di un tempo dobbiamo lamentare lo stile soffocante, per niente rispettoso - a volte - della dignità della persona; tant'è che certe punizioni di allora, anche nelle scuole, costituiscono esempio da additare come antipedagogiche e come repressive.

Ma fare della disciplina la statuizione tra adulto che insegna ed educa e giovane che impara ed è educato è l'unica condizione per non ridurre il rapporto alla pura trasmissione delle conoscenze, senza la relazione umana che costituisce la vera e ricca condizione della pedagogia.

Auspichiamo regole, valide - come principi ispiratori dello stile di vita - nella distinzione del ruoli, sia per il docente che per lo studente; per il docente che non deve predicare bene e razzolare male; per lo studente che rispetta il docente, i compagni, l'ambiente, le cose della scuola e - stando a quelle regole - rispetta sostanzialmente se stesso.

A nulla vale se lo studente impara la lezione e non impara a vivere; se sa ripetere gli argomenti delle materie e non sa trarre da quelli i principi regolatori per la sua personalità in fieri.

Parlando dei docenti e della disciplina tocchiamo un nervo scoperto della professionalità. I docenti, in genere, non hanno avuto alcuna formazione sulla psicologia giovanile; hanno dovuto imparare sul campo come regolare i comportamenti educativi. Non parliamo, poi, delle carenze sulle tecniche della comunicazione. Come si può pretendere d'inventare un "mestiere" così difficile e delicato, puntando solo sulle competenze disciplinari e affatto su quelle - non periferiche - psicologiche e comunicative?

L'ultimo degli imbonitori di piazza oggi viene preparato a saper comunicare con suoi clienti; nella scuola si viene scaraventati sulla cattedra e l'unica conoscenza che si ha dei giovani è quella dei luoghi comuni se non proprio quella della nostra "memoria giovanile"!

La scuola è prevalentemente relazione e la relazione richiede studio scientifico della personalità dell'interlocutore e capacità di stabilire un canale di trasmissione che non sia né provvisorio né approssimativo.

Non è azzardato sostenere che molte delle crisi d'identità dei docenti, nel quotidiano esercizio della professione, trovano principio nel non sentirsi compresi e nel provare difficoltà a "comprendere" questi ragazzi di oggi.

Comprendersi significa essere reciprocamente credibili: il docente che propone un messaggio e i giovani che si propongono come interlocutori attenti.

Dettare regole di comportamento non significa leggere un "codice" astratto ed impersonale, ma chiamarsi in causa - ciascuno nel suo ruolo - e rispondere reciprocamente del risultato formativo della scuola.

Si accennava prima alle regole della disciplina; occorre, allora, fare riferimento anche alle sanzioni. Punire rimane pur sempre l'istanza ultima, nelle decisioni da assumere, ma certo non l'istanza solo minacciata e mai applicata, quando la circostanza lo richieda; altrimenti il giovane si convince - ancora una volta - che l'educatore è solo cane che abbaia e non morde.

La prima vera sanzione dovrebbe essere l'avvertire come grave la riprovazione morale del proprio comportamento; sentire, cioè, che la comunità non approva quel che si è fatto e lo stigmatizza come difforme dall'agire condiviso e dichiarato come giusto, dignitoso e conveniente.

Un'altra vera punizione dovrebbe essere ufficializzata nella valutazione scolastica: se valutare - e mettere un voto - non significa solo pesare il compito scritto o l'interrogazione, ma anche - o soprattutto - esprimere un giudizio sul comportamento complessivo dell'alunno (interesse - partecipazione - costanza - solidarietà - attenzione - spirito creativo e critico - rispetto delle regole della relazione formativa), ad un comportamento scolastico negativo o riprovevole dovrebbe corrispondere un giudizio negativo e sanzionatorio, con effetti "reali" sul giudizio di ammissione o non ammissione alla classe successiva (per i casi davvero gravi). Come può, infatti, una scuola promuovere uno studente che, pur sapendo a memoria una materia, pur non commettendo errori nei compiti, sbaglia nei suoi comportamenti, deraglia nel suo stile di vita, infrange le regole fondamentali della comunità e dimostra di non aver imparato, quindi, il fondamentale insegnamento della scuola, che è legato alla sua crescita complessiva di personalità, in una società libera, democratica e rispettosa delle leggi?

La disciplina chiama, inoltre, in causa la "mobilità corporea". Sotto questo aspetto la scuola - come struttura spaziale - ha molto da farsi perdonare, tante sono le carenze dei suoi spazi, delle sue strutture e dei suoi "tempi di lavoro".

Troppe scuole sono inadatte alla permanenza di giovani per tante ore: aule strette, scomode, fatiscenti, superaffollate, scarsamente dotate dal punto di vista della vivibilità. Questo comporta che gli alunni (e i docenti) soffrano una forte riduzione dei tempi di "sopportabilità" fisica a stare in classe fermi. Molti comportamenti, cosiddetti di indisciplina, hanno un'origine nel disagio spazio-temporale delle ore di lezione.

E' necessario, quindi, eliminare le cause scatenanti o gli alibi del comportamento indisciplinato, che nasce da quelle condizioni. La stessa successione delle materie d'insegnamento - nell'orario di lezione - sovente è causa di nervosismo, di protesta: i docenti sanno - e non lo possono negare - che l'orario delle lezioni, prima di essere stilato nell'interesse della didattica, è organizzato, a volte, sulle esigenze della scuola o degli stessi docenti. Capita, così, che ci siano dei giorni troppo carichi d'impegno scolastico, che generano nervosismi, fughe, distrazioni, ansia, scontri. L'esatto contrario di una comunità autoregolata, impegnativa nei compiti, ma strutturata in modo da poter chiedere ai giovani il sacrificio dello studio, che è fatica, che è rinuncia, ma che è anche piacere e gratificazione(Cfr.:http://www.edscuola.it/archivio/esami/disciplina.htm )

Alla 69.ma Mostra del cinema di Venezia. È stato proiettato il film di Olivier Assayas Apres Mai, premiato per la migliore sceneggiatura. Ma non è per questo che lo ricordiamo. Stranamente con tutti quei giovani in cerca di sogni da realizzare, di valori da costruire c'è una qualche attinenza con quanto sta succedendo nel mondo studentesco odierno: solo che quelli facevano sul serio e si sottoponevano a parecchi sacrifici, sebbene accompagnati dalla solita chitarra, dalle riunioni di gruppo per decidere il da farsi e tutte le varietà del tempo. Il regista, però. non ha voluto girare un film sul '68, ma sul "dopo" per seguire la vita dei vari ragazzini. La cosa più triste del film è che tutti i ragazzi non sorridono mai.

Che cosa è stato il 68 per la gioventù francese?

Il 1968 è stato per molti versi un anno particolare, nel quale grandi movimenti di massa socialmente disomogenei (operai, studenti e gruppi etnici minoritari) e formati per aggregazione spesso spontanea, attraversarono quasi tutti i Paesi del mondo con la loro carica contestativa e sembrarono far vacillare governi e sistemi politici in nome di una trasformazione radicale della società. La portata della partecipazione popolare e la sua notorietà, oltre allo svolgersi degli eventi in un tempo relativamente concentrato ed intenso, contribuirono ad identificare col nome dell'anno il movimento, il Sessantotto appunto. Il Sessantotto è stato un movimento sociale e politico ancora oggi controverso: molti sostengono che sia stato il movimento che ci ha portato ad un mondo migliore e molti altri sostengono invece il contrario ovvero che sia stato un movimento che ha spaccato e distrutto la moralità e la stabilità politica mondiale fondata su valori borghesi, capitalistici e clericali (nel 2007 Nicolas Sarkozy contro la generazione del '68: http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/elezioni_francia/200704artic...).

Dove nacque il '68?

Ebbe origine a metà degli anni sessanta negli Stati Uniti e raggiunse la sua massima espansione nel 1968 nell'Europa occidentale col suo culmine nel Maggio francese. Nel campo occidentale (Europa e Stati Uniti) un vasto schieramento di studenti e operai prese posizione contro l'ideologia dell'allora nuova società dei consumi, che proponeva il valore del denaro e del mercato nel mondo capitalista come punto centrale della vita sociale (oggi- purtroppo- si parla solo di economia). Negli Stati Uniti la protesta giovanile si schierò contro la guerra del Vietnam, legandosi alla battaglia per i diritti civili e alle filosofie che esprimevano un rifiuto radicale ai principi della società del capitale (controcultura). Al contempo, alcune popolazioni del blocco orientale si sollevarono per denunciare la mancanza di libertà e l'invadenza della burocrazia di partito, gravissimo problema sia dell'URSS che dei paesi legati ad essa. Diffusa in buona parte del mondo, dall'occidente all'est comunista, la "contestazione generale" ebbe come nemico comune il principio dell'autorità. Nelle scuole gli studenti contestavano i pregiudizi dei professori, della cultura ufficiale e del sistema scolastico classista e antiquato. Nelle fabbriche gli operai rifiutavano l'organizzazione del lavoro e i principi dello sviluppo capitalistico che mettevano in primo piano il profitto a scapito dell'elemento umano. Anche la famiglia tradizionale veniva scossa dal rifiuto dell'autorità dei genitori e del conformismo dei ruoli. Facevano il loro esordio nuovi movimenti che mettevano in discussione le discriminazioni in base al sesso (con la nascita del femminismo e del movimento di liberazione omosessuale) e alla razza. Gli obiettivi comuni ai diversi movimenti erano la riorganizzazione della società sulla base del principio di uguaglianza, il rinnovamento della politica in nome della partecipazione di tutti alle decisioni, l'eliminazione di ogni forma di oppressione sociale e di discriminazione razziale e l'estirpazione della guerra come forma di relazione tra gli Stati. In un certo senso, molti di questi obiettivi nella contemporaneità, sono diventati " bene comune", anzi vi è una certa apertura e dialogo tra le religioni qualche anno fa assolutamente impensabile, però sono scaduti i principi morali e legali dovuti al mercato di droga e altre sostanze pericolose.(CFR: Wichipedia)

La fine del movimento

La protesta giovanile si spense, all'inizio degli anni '70, ovunque senza aver riportato apparentemente risultati significativi. La principale ragione di questo fallimento va indagata nella sua incapacità di tradurre le aspirazioni in programmi concreti e in strutture organizzative in grado di realizzarli. Il Sessantotto, quindi, si caratterizzò come una rivolta etico- politica dei giovani contro la società, piuttosto che come un insieme di movimenti politici finalizzati alla realizzazione di un programma ben definito. Merito del movimento giovanile di quegli anni fu, soprattutto in Occidente, quello di mettere al centro dell'attenzione valori che fino a poco tempo prima erano stati interesse di pochi. Temi come il pacifismo, l'antirazzismo, il rifiuto del potere come forma di dominio di pochi privilegiati sulla popolazione, i diritti delle donne e l'interesse per l'ambiente, entrarono a far parte stabilmente del dibattito politico e socio-culturale del mondo intero.

In Italia il movimento non si spense, ma si trasformò aumentando di intensità e continuò per tutto il decennio successivo (in particolar modo il movimento del '77) e con intensità ridotta per altri decenni. In qualche misura dura ancora. Ed è proprio per questo che questo movimento è, secondo la definizione del TIME, "il rasoio che ha separato per sempre il passato dal presente".

E adesso, parliamo del film:

Clement Metayer ha detto: "Nel Maggio'68, i giovani avevano delle vere idee; adesso i blocchi e le occupazioni, spesso sono solo una scusa per non andare a lezione e fumarsi delle canne fuori da scuola"

Apres Mai - TRAMA

1971, una cittadina nei pressi di Parigi: sono tempi di impegno politico per un gruppo di ragazzi nel passaggio dalla fine del liceo all'inizio dei vari percorsi di vita adulta. C'è chi viaggia, chi lavora, chi opta per la formazione accademica. Il protagonista è un giovane pittore appassionato di cinema che in quegli anni si trova alle prese con le difficoltà e le emozioni di una crescita personale e artistica che lo porterà a inserirsi più consapevolmente nel mondo dell'arte. L'azione si svolge, come suggerisce il titolo, dopo il maggio. L'ondata rivoluzionaria che infiamma l'Europa si sta già affievolendo e la società sta cambiando molto rapidamente. Anche se i movimenti studenteschi hanno impresso un movimento, questo è già al di là del loro controllo. Il film di Assayas in realtà è un romanzo di formazione che potrebbe avere il regista stesso come protagonista. Nel racconto c'è quel tipico atteggiamento di recriminazione di chi racconta gli anni della giovinezza, un misto di nostalgia e di senso di colpa per tutto ciò che è stato, che avrebbe potuto essere e che è stato impedito. Di fatto, gli elementi classici del racconto di formazione ci sono tutti: i grandi ideali, gli amori adolescenziali, la fascinazione per l'arte e il sogno di cambiare il mondo. Il percorso di Gilles è una ricerca di autoconsapevolezza al di là dei binari ufficiali, non solo della società borghese ma anche dello stesso movimento rivoluzionario. La visione è amara, di chi usa il presente come un comodo punto di vista per giudicare in maniera sentenziosa il passato, ma senza una vera utilità.

Notizie tecniche

Titolo: Après mai / Regia: Olivier Assayas / Sceneggiatura: Olivier Assayas / Fotografia: Eric Gautier / Montaggio: Luc Barnier / Scenografia: François Renaud Labarthe / Interpreti: Clément Métayer, Lola Créton, Félix Armand, Carole Combes, India Menuez / Produzione: MK2 / Paese: Francia, 2012 / Durata: 122′

Chi è il regista

Olivier Assayas è nato a Parigi, il 25 gennaio 1955. Attualmente è un regista, sceneggiatore e critico cinematografico francese. La passione per il cinema l'eredita da suo padre che è sceneggiatore e adattatore di romanzi per il cinema e la televisione. Il suo primo cortometraggio, Copyright (1979), gli vale la proposta da parte di Serge Toubiana e Serge Daney di collaborare ai Cahiers du cinéma, rivista per la quale scrive dal 1980 al 1985, rivelando una particolare attenzione nei confronti del cinema orientale. Nel frattempo, appassionato di musica rock scrive anche per Rock & Folk, collabora come sceneggiatore con Laurent Perrin e André Téchiné e gira altri cortometraggi.

Nel 1986 debutta alla regia con un lungometraggio ambientato tra le bande giovanili parigine, Désordre - Disordine. I conflitti generazionali e le difficoltà di relazione interpersonale sono al centro dei suoi film successivi: Il bambino d'inverno (1989), Contro il destino (1991), interpretato da uno degli attori simbolo della Nouvelle Vague, Jean-Pierre Léaud, e soprattutto L'eau froide - L'acqua fredda (1994), versione lunga del televisivo La page blanche (per la serie Tous les garçons et les filles de leur âge).

Nel 1996 dirige la sua opera più lodata, Irma Vep, omaggio al pioniere della cinematografia francese Louis Feuillade e al cinema di Hong Kong: protagonista del film è l'attrice Maggie Cheung, che sarà sua moglie dal 1998 al 2001. La passione di Assayas verso il cinema asiatico si manifesta anche nel 1997 in un documentario-tributo al regista taiwanese Hou Hsiao-Hsien.

Nel 2000 Assayas dirige una grossa produzione in costume, Les Destinées sentimentales, tratto da un romanzo di Jacques Chardonne, con Emmanuelle Béart e Isabelle Huppert. Nei successivi Demonlover (2002), ambientato nel mondo della produzione dei manga, e Clean (2004), sull'ambiente del punk-rock, quest'ultimo di nuovo con Maggie Cheung protagonista, Assayas torna alla forma cinematografica sperimentale e ad una narrazione più intimista.

Nel 2005 dirige un episodio del film collettivo Paris, je t'aime, dedicato al III arrondissement di Parigi e nel 2007 partecipa a Chacun son cinéma, film celebrativo prodotto per il Festival di Cannes da Gilles Jacob, composto da 33 brevi cortometraggi d'autore. A Venezia si presenta nel 2012, alla 69.ma Mostra d'arte del cinema e il suo film riceve lusinghieri applausi, oltre il Premio per la migliore sceneggiatura. "Io della mia adolescenza ho in effetti un ricordo malinconico anche se innamorato della vita. Il film è impregnato di questo ricordo. È stata un'epoca seria, è vero, forse triste." (Olivier Assayas)

Maria Elisa Enrico Marotta

ww.gazzettadisondrio.it -30.10.2012 - n. 30/2012, anno XV


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Maria Elisa Enrico Marotta
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