Quando il Papa ha baciato il Corano: un instancabile operatore di pace tra incomprensioni e gesti profetici

“Vi lascio la
pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a
voi…” In queste parole dal Vangelo di Giovanni, al capitolo 14,
versetto 27, si capisce chiaramente che la pace, la vera pace
l’uomo la può trovare solo in Gesù Cristo. La pace come
individuo, come essere creato. Gesù Cristo è la pienezza del
Padre, è la Parola di Dio che si è fatta carne, che ha assunto
su di sé tutti i peccati degli uomini, del mondo. Egli ha
ricapitolato in sé tutte le cose. Quelle parole Gesù le rivolge
agli apostoli, prima di ritornare al Padre, dopo aver sofferto
la tremenda Passione, la Crocifissione, la morte, ed essere
quindi risuscitato dalla potenza dello Spirito Santo.
Primogenito di coloro che risuscitano dai morti. L’uomo senza
Cristo non troverà mai la vera pace, per quanto si sforzerà di
cercarla. Anzi, man mano che ci si allontana dalla verità che è
Cristo, sostituendola con altre presunte verità, man mano che ci
si allontana dalla Sua Parola, la menzogna si fa strada ed altre
parole, altri pensieri, altre idee, altri ragionamenti prendono
il suo posto. Di fronte a tragedie come quella che si è
verificata in Iraq poche ore fa, le parole poco contano. La
tragedia è stata quella delle Torri, quelle delle guerre
successive. La guerra in sé è una tragedia. Calato nel contesto
storico, nella secolarità, dentro la storia, il cristiano spesso
si è trovato davanti ad un bivio che impone una scelta: fare il
bene ed evitare il male. E’ l’indicazione di Dio attraverso San
Paolo, è quella che la Teologia morale, nella Chiesa cattolica
si chiama “opzione di fondo”, da percorrere nel pellegrinaggio
terreno. Gesù Cristo verrà a giudicare ogni uomo e la storia nel
suo complesso, ognuno di noi dovrà comparire di fronte al
tribunale di Dio, ma il cristiano sa che appellandosi al sangue
di Cristo e riconoscendosi peccatore, convertendosi, la
giustificazione del Figlio di Dio è certa. Non per propri
meriti, non per le proprie azioni, ma per i meriti di Cristo.
Sicché anche la pace sociale deve cominciare da sé stessi, dal
perdono dei propri fratelli, dal perdono di chi ti ha fatto del
male. In questa vicenda dell’Iraq, come in tutte le guerre del
genere umano ciò che fa scattare i meccanismo perversi è la
mancanza di perdono: la vendetta, l’odio. La verità è solo in
Cristo e questo è un fatto chiaro, così come senza la Chiesa non
vi è salvezza. Non ci si salva da soli e senza la Chiesa di
Cristo, depositaria dell’unica verità. In questo contesto la
Parola di Dio è chiara: “Chi è il menzognero se non colui che
nega che Gesù è il Cristo? L’anticristo è colui che nega il
Padre e il Figlio. Chiunque nega il Figlio, non possiede nemmeno
il Padre; chi professa la sua fede nel Figlio possiede anche il
Padre”. Come è quando si è insinuata la menzogna? Come e quando
ci si è allontanati dalla verità? Quando si riacutizzano le
tensioni, fino a straripare nella tragedia come in queste ore,
si pensa se effettivamente alla base ci ciò ci sia il portare
fino alle estreme conseguenze i principi più intransigenti di
una religione come l’Islam, laddove questi principi siano
talvolta irrevocabilmente incentrati sulla “guerra santa”,
oppure se in gioco vi siano “interessi” anche probabilmente
diversi. Ma fuori dalla verità il ragionamento, il pensiero,
sganciato dall’alito dello Spirito Santo diventa in qualche modo
fuorviante, allora come non citare il passo evangelico del
Vangelo di Matteo, al capitolo 5, versetto 9: “Beati gli
operatori di pace…saranno chiamati figli di Dio”. Lo sforzo
compiuto in questo senso dal Santo Padre, Giovanni Paolo II, in
tutto il suo pontificato, fino ad ora e per l’avvenire, è
chiarissimo e questa tangibile fatica è di tutta la Chiesa, che
da una parte sottolinea quale sia l’unica verità, dall’altra,
non rinuncia a quel dialogo “interreligioso” ed ecumenico
necessario affinché i popoli che in qualche modo seguono leaders
“carismatici” di natura spirituale si riconoscano nella parola
pace.

Interreligioso, tra il cristianesimo, la Chiesa cattolica, e le
diverse “spiritualità”; ed ecumenico, tra i cristiani stessi,
perché, come auspicato recentemente dal Santo Padre, ritrovino
l’unità.

I cristiani nel mondo sono un miliardo e settecento, i musulmani
un miliardo e trecento milioni.

Giovanni Paolo II è stato il primo Papa ad entrare in una
Moschea, a Damasco, in Siria, nel maggio del 2001, invitando
cristiani e musulmani a perdonarsi mutuamente e a non tornare
più in conflitto. Nel settembre del 2001 il Santo Padre visitò
l’Armenia e il Kazakhstan.

In questo contesto viene ricordato e inserito il dibattuto
episodio del 14 maggio del 1999, quando Giovanni Paolo II,
ricevendo in Vaticano una delegazione di cristiani e musulmani
provenienti dall’Iraq, baciò il Corano. E tornano alla mente le
parole che il Papa scandì ad Assisi il 24 gennaio del 2002,
quando accolse i leaders delle “religioni”, perché convinto che
il dialogo interreligioso sia un antidoto alla dottrina venefica
dello scontro tra civiltà, quindici anni dopo il primo meeting,
Giovanni Paolo II indicò in un’«Assisi-bis» una strada molto
importante verso la convivenza pacifica. Gli occhi del mondo,
ancora una volta, sono stati puntati sulla città di San
Francesco, roccaforte della tolleranza e crocevia delle fedi.

«La religione», disse Giovanni Paolo II, «non deve mai diventare
motivo di conflitto, di odio e di violenza, chi veramente
accoglie Dio esclude dal cuore ogni forma di astio e
d’inimicizia». Come nel 1986, anche stavolta il Papa,
annunciando l´iniziativa del 24 gennaio 2002, indicò l´obiettivo
di «far salire all’Onnipotente un´invocazione corale per
ottenere la pace», ritenuto il presupposto necessario per ogni
serio impegno a servizio del progresso dell’umanità. Dal nuovo
incontro di Assisi, nelle intenzioni del Pontefice, sarebbe
dovuta scaturire una riflessione comune sul ruolo insostituibile
che svolgono le differenti fedi per la concordia tra i popoli.
Invitando le religioni del mondo a pregare ad Assisi, il Papa ha
sperato di rinfocolare il dialogo con i protestanti, ortodossi,
ebrei, buddisti ma soprattutto con i musulmani. Più volte
Giovanni Paolo II ha ribadito che «la religione non deve mai
essere utilizzata come motivo di conflitto». La decisione di
compiere un gesto di straordinario rilievo, lo ha fatto tornare
con la mente a 17 anni fa e all’intuizione profetica che mutò la
storia della Chiesa nel Novecento. Il 27 ottobre 1986, il Papa
indisse la Giornata mondiale di preghiera per la pace,invitando
i rappresentanti delle religioni di tutto il mondo. Da allora si
parlò di «spirito di Assisi» per descrivere la particolare
atmosfera che favorisce, anche per lo speciale rispetto da parte
di tutti i credenti per la figura del santo, il dialogo e il
confronto, superando differenze e diffidenze molto, molto
grandi. Il dialogo interreligioso, dunque, come contributo alla
composizione dei conflitti su una base religiosa, e non come
rinuncia al proprio credo. Nel suo primo viaggio pastorale, dopo
la sua elezione, il Papa visitò Assisi il 5 novembre 1978, al
ritorno da Loreto. Nonostante alcune perplessità affiorate in
Curia, la svolta nel confronto fra le fedi è stata generalmente
accolta con favore nel mondo cattolico, in particolare dai
francescani che hanno ospitato il meeting. «Nella vita ci sono
segni di morte e di rifiuto», osservò l’allora custode della
Basilica di Assisi, padre Vincenzo Coli, «con questa iniziativa
il Pontefice sceglie un gesto di collaborazione, di speranza, di
vita. Il 24 gennaio sarà una giornata storica e la scelta di
Giovanni Paolo II ci riempie di gioia perché ne esce confermato
il valore della città di San Francesco come centro di dialogo.
Il respiro universale del meeting è in linea con la tradizione
francescana di totale apertura a tutti quelli che sono
disponibili. Nonostante a più riprese siano ovunque affiorati
dubbi e incertezze l'esperienza del confronto fra diverse
culture ci dimostra il carattere irreversibile di una scelta di
fondo: il dialogo come unica via verso la pace. La proposta del
Papa ci trova concordi»

Alla comunità ebraica Rímon di Torino è di casa l'attitudine
all'incontro tra chi proviene da fedi diverse. «Tutte le
religioni - disse Gabriele Levy, animatore del gruppo
d’intellettuali impegnati nel confronto culturale con i non
ebrei hanno delle indubbie responsabilità storiche. E' da
incentivare, perciò, tutto ciò che va verso la pacifica
convivenza e il libero scambio delle idee. Affinché ciò avvenga
è necessario che ogni religione mostri il suo volto aperto,
liberale, pluralista, anti-integralista, multietnico e laico. E'
positivo che il dialogo tra le fedi si esprima ad Assisi nella
preghiera comune, da intendersi principalmente come prova di
reciproca tolleranza». La strada maestra verso la pace mondiale,
dunque, passa attraverso la ricerca di un'armonia globale. «E
lecito nutrire qualche perplessità sull'effettiva utilità della
proposta di Wojtyla - precisò Levy - l'esito sarà positivo
soltanto se verranno superate le incrostazioni di potere che
sussistono in ogni religione e rendono difficile ogni reale
apertura all'altro. II problema è oggi più che mai quello di
passare dalle mediazioni fra strutture al confronto concreto fra
la gente, ovvero dalle dichiarazioni programmatiche al
comportamento quotidiano».

Giancarlo Padula



GdS - 18 XI 2003 -
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Giancarlo Padula
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