Sacerdoti e suore in un congresso sulla "nuova cultura" della comunicazione

I religiosi si sono interrogati sull?uso di Internet, giornali, radio, televisioni, agenzie stampa

Si è tenuto a
Roma, il 26 e 27 marzo u.s., presso l’Ateneo Pontificio Regina
Apostolorum, il congresso “Vita consacrata e cultura della
comunicazione”, organizzato dall’Ateneo Pontificio Regina
Apostolorum e dalle Edizioni San Paolo.

Oggi, grazie alle nuove tecnologie, il modo di pensare,
trasmettere e ricevere informazioni è completamente cambiato.
Nell’era di Internet, è sufficiente il tasto di un computer per
entrare in contatto, in pochi secondi, con persone che si
trovano dall’altra parte del mondo.

Questo nuovo modo di comunicare ha una grande influenza nella
società e nei rapporti umani. Può rappresentare dei rischi, ma
anche offrire grandi opportunità per creare occasioni di
incontro e di arricchimento culturale.

Per questa ragione, i religiosi si sono interrogati sul rapporto
tra la vita consacrata e i mezzi di comunicazione, per
rispondere all’invito di Giovanni Paolo II, secondo il quale:
“Possiamo parlare davvero di una ‘nuova cultura’ creata dalle
moderne comunicazioni, che coinvolge tutti, in particolare le
generazioni più giovani. (…) Poiché tutti i credenti sono
coinvolti in questi cambiamenti, ciascuno di noi è chiamato ad
adattarsi alle situazioni che mutano e a scoprire modi efficaci
e responsabili per usare i mezzi di comunicazione sociale a
gloria di Dio e al servizio della Sua creazione”.

Padre Paolo Scarafoni, Rettore dell’Ateneo Pontificio Regina
Apostolorum, ha aperto il congresso con queste parole: “Il mondo
della comunicazione penetra fortemente nella vita sociale. Non
soltanto crea cultura, ma possiamo dire che definisce la cultura
nel suo modo di essere, perché siamo di fronte a un nuovo modo
di vivere dell’uomo, con importantissime conseguenze personali e
comunitarie.

Un simile fenomeno ci coinvolge profondamente in due sensi: la
necessità di integrare alle esigenze proprie della vita
consacrata questo nuovo ambito della vita umana, nel quale
bisogna imparare a vivere come consacrati; e l’integrazione del
mondo della comunicazione alla missione, nel senso che esso può
diventare un importantissimo strumento per l’evangelizzazione”.

Al congresso hanno preso parte autorevoli esponenti del mondo
giornalistico, culturale ed ecclesiastico. Fra questi, Mons.
John P. Foley, Presidente del Pontificio Consiglio delle
Comunicazioni Sociali, ha voluto ricordare i tre principi-base
del lavoro nei Mass Media: la verità, la dignità dell’individuo
e il bene comune.

“Non siamo mai giustificati nel raccontare menzogne – ha
ricordato Mons. Foley - La comunicazione dovrebbe sempre
accrescere e non sminuire la nostra innata dignità umana.
Dovrebbe contribuire al bene della comunità e non danneggiarlo
moralmente o in altro modo”.

Mons. Claudio Giuliodori, Direttore dell’Ufficio Nazionale per
le Comunicazioni Sociali della CEI (Conferenza Episcopale
Italiana) ha parlato dei rapporti tra la Chiesa e i Media,
evidenziando i numerosi aspetti positivi di questo dialogo, pur
non mancando “elementi critici legati ai mali congeniti della
comunicazione moderna, come la ricerca dello scandalo e del
sensazionale, l’assoggettamento ai dettami della pubblicità e
della ricerca dell’audience a tutti i costi”.

Don Antonio Sciortino, Direttore di “Famiglia Cristiana”, ha
invitato i giornalisti ad usare la comunicazione “con
responsabilità e nel rispetto della deontologia professionale”.


“Per noi religiosi, e nello stesso tempo, giornalisti, o per
quelli che operano nei giornali di ispirazione cristiana, la
responsabilità è ancora maggiore – ha detto Don Sciortino – E’
per questo che nelle nostre inchieste, anche quando facciamo
delle forti denunce, non dimentichiamo mai di usare il
linguaggio della carità. Se mettiamo a nudo il male, non
vogliamo dare l’impressione che sia tutto marcio. Cerchiamo
sempre d’essere ottimisti e non catastrofici. Abbiamo una
visione positiva della vita e andiamo alla ricerca di uno
spiraglio di luce, di un briciolo di speranza anche nelle
situazioni disperate della cronaca quotidiana”.

Padre Giulio Albanese, Direttore dell’agenzia stampa “Misna”, ha
evidenziato il ruolo prezioso dell’editoria missionaria, che
“avvalendosi delle missionarie e dei missionari sparsi per il
mondo e della società civile come sue fonti principali, e non
dovendo rispondere né alla pubblicità né ai poteri politici di
sorta, può permettersi almeno un ragionevole avvicinamento alla
verità”. Il tutto “nella consapevolezza che occorre veicolare,
nonostante le contraddizioni del tempo presente, il messaggio di
speranza che scaturisce dall’ascolto attento del Vangelo”.

Suor Graziella Curti, Responsabile della comunità internazionale
di studenti del Corso di Spiritualità delle Figlie di Maria
Ausiliatrice ha parlato dei mezzi di comunicazione come
possibile strumento per “cercare i giovani là dove sono”.

“Questo – ha detto Suor Graziella Curti - vale anche per il
discorso vocazionale, che è il cuore della missione educativa in
quanto ricerca di un progetto personale di vita. Gesù stesso ci
insegna che la proposta di seguirlo va fatta nella quotidianità.
Lui ha chiamato Matteo che stava alla gabella delle imposte; ha
invitato gli apostoli mentre erano intenti alla pesca. Anche noi
dobbiamo andare a cercare i giovani nei loro luoghi o ‘non
luoghi’ vitali”.

Non mancano, in questo senso, esperienze positive di siti
Internet che hanno messo a disposizione dei ragazzi canali di
ascolto e di dialogo attraverso la posta elettronica o il
“telefono amico”.

A proposito di “nuova cultura della comunicazione”, Suor Emma
Zordan, Segretaria USMI per la Diocesi di Palestrina, ha voluto
sottolineare il grande valore dei gesti del Papa.

“C’è una lettera che Giovanni Paolo II non ha mai scritto eppure
ha fatto il giro del mondo – ha detto Suor Emma Zordan - E’
‘l’enciclica dei gesti’: un biglietto infilato nel Muro del
pianto di Gerusalemme, la visita in carcere al suo attentatore,
il ‘mea culpa’ durante il Giubileo per le colpe della Chiesa, il
baciare la terra all’arrivo in ogni paese straniero,
l’accarezzare i bambini, lo sciare in montagna, l’entrare in una
sinagoga e in una moschea e mille altri gesti ‘fuori
cerimoniale’, compiuti in venticinque anni di pontificato. Le
immagini, i gesti comunicano più delle parole. Documentano
meglio di qualsiasi saggio di sociologia della comunicazione”.

Carlo Climati

www.carloclimati.com  
E-mail:
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GdS - 30 III 2004 -
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Carlo Climati
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