Crocifisso nelle Scuole?!? Valore universale della Croce

L’ennesima ed inutile “questione” sul Crocifisso nelle scuole

(Maria de falco Marotta)   Negli ultimi giorni, oltre alla preoccupazione sul dazio americano sui prodotti alimentari italiani, i più venduti all’estero come i vini, il parmigiano e il prosciutto, si è aggiunto il diversivo del Crocifisso appeso nelle aule scolastiche. Ma come al suo posto attaccare una cartina geografica??? E giù polemiche a non finire. Anch’io- spesso per rispondere magari a quei tipi di “Laici o miscredenti”, ho trattato l’argomento, chiedendo perdono al Signore. Ora ripropongo una seria lettura sulla croce, sperando che si finisca di girandosela tra le mani come un giocattolo.
LA CROCE
Quando vediamo il segno che chiamiamo “croce” (due linee, tra loro verticali, che si
intersecano nel punto centrale) pensiamo che esso indichi senz’altro la croce, lo
strumento di tortura con cui è stato giustiziato Gesù di Nazareth. Ma non è vero.
Il segno croce esisteva già migliaia di anni prima dell’era cristiana e non era
assolutamente collegato alle idee di sofferenza e di morte. Quasi tutti noi pensiamo
che il crocifisso sia da sempre il segno dei cristiani e che sia sempre stato così com’è
adesso. Anche questo è un errore: così come lo rappresentiamo oggi, avrebbe sconvolto
i cristiani dei primi secoli.
Un segno universale
Ci sono alcuni segni presenti praticamente in tutte le tradizioni religiose del mondo, e
ciò ha fatto pensare agli studiosi che essi appartengano all’essenza del linguaggio
religioso umano: essi sono il segno cruciforme, il quadrato, il cerchio, il punto centrale.
In Egitto la croce è uno dei segni geroglifici più antichi (III millennio avanti Cristo). È
detto ankh e vuol dire “vita”, in un senso molto forte: infatti nei testi più antichi indica
una caratteristica esclusiva degli dei. È anche una qualità del faraone, ma come dono
degli dei. Soltanto nei Libri dei Morti (fine del II millennio) gli dèi sono rappresentati
mentre donano il simbolo della vita anche ad altri uomini.
In India il segno cruciforme lo si trova già nel 3500 a.C. nella forma di croce uncinata,
la svastica. È un simbolo solare, ruota cosmica che gira attorno al suo asse centrale; è
collegata con il culto del dio Visnù, il dio che simbolizza la vita che si rinnova in
perpetuo. I popoli indoeuropei hanno diffuso questo segno in Asia e in Europa: lo si è
ritrovato in Anatolia, nella regione dove sorgeva Troia, a Cipro, a Roma; presso i Celti
in Gallia e presso le popolazioni germaniche nel nord Europa.
In America, nelle civiltà precolombiane (in Perù, in Messico) è documentata la
presenza della croce nel culto solare e della fertilità. In Messico gli spagnoli furono
sorpresi nel trovare questo segno nei templi, sui monumenti, nei manoscritti.
Segno straordinario per gli ebrei
L’ultima lettera dell’alfabeto ebraico era la lettera tau, una lettera di significato sacro.
La sua grafia poteva avere varie forme, alcune riconducibili alla figura di una croce.
Per la tradizione ebraica questa lettera aveva un valore simbolico di grandissima
importanza: un tau, tracciato con il sangue dell’agnello, si credeva avesse
contrassegnato le case degli Ebrei in Egitto, salvando così i figli primogeniti (Es 12,7);
un tau era il segno che Ezechiele (9,4-6), per ordine di Dio, aveva fatto sulla fronte dei
salvati. Questa lettera – segno dunque di salvezza e di comunione con Dio – veniva
tracciata sulle tombe degli Ebrei anche ai tempi di Gesù, e così oggi un segno di croce
su una tomba del primo secolo non è sufficiente per dire se è di un ebreo o di un
cristiano.
Per la prima comunità cristiana
La prima comunità cristiana, nata dalla cultura ebraica, ha considerato questo segno
tau come una profezia che la salvezza sarebbe stata portata da Gesù, morto in croce
e risorto. Nei testi canonici e non canonici il tema ritorna. L’Apocalisse (7,2-3) dice:
«Dall’oriente apparve un altro angelo. Aveva in mano il sigillo di Dio vivente. Egli
gridò con voce possente ai quattro angeli ai quali Dio aveva dato il potere di devastare
la terra e il mare: “Non devastate né la terra né il mare né gli alberi, finché non
abbiamo segnato in fronte i servi del nostro Dio”». Nella Lettera degli apostoli, un
testo del II secolo, sono messe in bocca a Gesù queste parole: «Tornerò e il mio
splendore sarà sette volte superiore a quello del sole. Le ali delle nuvole mi
sorreggeranno nella mia gloria, mentre la croce mi precederà».
Il tau-croce è dunque il sigillo del Dio vivente; è un segno di vita e di luce e alla fine
dei tempi annuncerà il ritorno di Gesù.
Nel III e IV secolo
Il cristianesimo si diffuse subito nell’Impero romano, dove la lingua internazionale era
il greco. Il termine Messia venne tradotto con la parola greca Crist’j (Christós). La
grafia greca della lettera X e quella ebraica della lettera tau ammettevano delle
varianti, e in alcuni casi le due lettere non si distinguevano. Perché è importante
questa osservazione? Nelle antiche iscrizioni cristiane troviamo frequentemente il
segno detto crisma : non è soltanto l’abbreviazione del nome di Gesù Cristo (Ihs„j
Crist’j); è un segno quanto mai denso, perché è insieme il nome di Gesù, è il segno tau
ed è croce. Fu molto amato dai cristiani del III e del IV secolo: nelle antiche basiliche
romane o nelle catacombe lo si trova ovunque.
Quando all’inizio del IV secolo questo segno diventò – per gli avvenimenti che
conosciamo – il vessillo vincente dell’imperatore Costantino e al cristianesimo venne
riconosciuta piena libertà, il crisma assunse, con ancora più forza, il significato di
sigillo del Dio della vita e della salvezza.
Racconta la leggenda che la madre di Costantino si recò a Gerusalemme e ordinò degli
scavi alla ricerca della croce di Gesù. La croce venne ritrovata e nel 335 (non è più
leggenda) in quel luogo venne costruita una basilica e fu eretta una croce, splendida
d’oro e grande come non si era vista mai. La festa dell’esaltazione della croce venne
celebrata il 14 settembre. A distanza di tanti secoli, la Chiesa celebra la medesima
solennità nella stessa data.
Nei primi quattro secoli dunque il segno della croce è stato considerato segno di vita,
di salvezza, di appartenenza a Cristo e a Dio; non è mai stato un segno triste.
La croce non ha indicato tristezza e morte ancora per vari secoli. Si potrebbero citare
molti esempi, tra i più belli le croci gemmate custodite nel museo del Duomo di Monza
o nei Musei Vaticani o a Cividale.
Ma certo più conosciuto è il bellissimo mosaico che orna l’abside di Sant’Apollinare
in Classe a Ravenna (VI secolo): vi campeggia una grande croce gemmata, con al
centro (piccolo, invisibile e lontano) il volto di Cristo; accanto ci sono le figure di Mosè e
di Elia, ai piedi Pietro, Giacomo e Giovanni (nella forma simbolica di tre agnelli).
È la scena della trasfigurazione sul monte Tabor: la croce, immersa in un grande
splendore, rappresenta Gesù nella gloria.
Vengono in mente le parole della Lettera degli apostoli già citata sopra: «Tornerò e il
mio splendore sarà sette volte superiore a quello del sole».
Oggi
È proprio vero che la croce oggi significa sofferenza e morte? Non è questa
un’osservazione superficiale e miope? La croce sulla tomba di un proprio caro
sottolinea l’idea della morte o dice qualcosa d’altro? La croce rossa che segnala
l’ospedale vuol dire soltanto sofferenza? Non accomuna anche un significato diverso
(ospedale come luogo di accoglienza e di speranza) e, a conti fatti, più importante del
primo. E perché si è associato una croce all’ospedale? (Dove e quando sono nati gli
ospedali? Da dove viene la parola “ospedale”? Chi “ospitava”?...)
Il crocifisso
Per molti oggi il crocifisso è soltanto il segno distintivo di un gruppo: come la
mezzaluna o la falce e il martello. E, anche per coloro che credono, questa figura è
diventata come una parola consumata dall’uso.
È l’immagine di un uomo morto, crudelmente inchiodato a una croce; eppure lo
guardiamo e non ne restiamo impressionati. L’abitudine spegne già nei nostri occhi
quell’orrore e quella pietà che certo proveremmo se lo vedessimo per la prima volta.
La grande notizia portata dal cristianesimo non è la morte di Gesù in croce (gli uomini
sapevano e sanno uccidere in modi anche peggiori): ciò che ha sconvolto ogni
aspettativa e ogni logica umana è la resurrezione di Gesù. Da quel giorno (non dal
venerdì, giorno della passione) l’Occidente ha ricominciato a scandire il tempo:
domenica significa “giorno del Signore”. Gesù ha affidato ai discepoli un messaggio di
gioia e di salvezza (la parola “vangelo” in greco significa “buona notizia”). E la buona
notizia è la vittoria di Gesù sulla morte.
Perché allora i cristiani continuano a tenerlo in croce crocifisso?
Non è sempre stato così. Se un cristiano dei primi secoli vedesse un nostro crocifisso,
lo scambierebbe per una grave forma di dissacrazione di quanto ha di più caro. Che
cosa è avvenuto in questi tre millenni?
Chi studia l’evoluzione dell’immagine del crocifisso, passando di scoperta in scoperta,
ricostruisce la storia della nostra comprensione del messaggio cristiano e insieme la
storia della nostra cultura.
I primi quattro secoli
Se uno andasse a Roma per cercare nelle catacombe cristiane delle immagini che
parlino di tristezza e di morte, resterebbe deluso. Tutte le immagini sono serene ed
esprimono speranza. La passione di Gesù non è dimenticata, la morte dei propri cari
non è nascosta: ma su tutto prevale la luce di Pasqua.
Ad esempio, varie volte viene ripetuta la rappresentazione della vicenda di Giona, il
profeta che rimase tre giorni nel ventre del pesce e poi fu gettato sulla riva. È un modo
potente di ricordare due cose:
• il racconto di Giona è una profezia di Gesù che ha vinto la morte;
• tutto questo è opera di quel Dio, che agisce con braccio potente.
Anche i segni cruciformi erano frequenti. Infatti Minucio Felice e Tertulliano, due
autori vissuti tra il II e il III secolo, ci dicono che i pagani accusavano i cristiani di
essere adoratori della croce (come se qualcuno di noi assumesse come proprio simbolo
la sedia elettrica!). Ma come abbiamo visto, per i cristiani la croce significava ben
altro. E il crocifisso? Nei primi quattro secoli nessun artista cristiano ha mai
rappresentato Gesù inchiodato alla croce.
Non se ne è trovato traccia, salvo alcune piccole gemme su cui è tracciata
schematicamente la scena del Calvario (provengono da ambienti eretici) e un graffito
scoperto su una parete dell’alloggio dei paggi del palazzo imperiale al colle Palatino, a
Roma (metà del II secolo). Il graffito rappresenta una croce su cui è appeso un uomo
con la testa di asino; accanto c’è una figura che compie un gesto di adorazione. Una
scritta in greco dice «Alexamenos adora (il suo) Dio». Il fatto non può non sorprendere:
il primo crocifisso trovato dagli archeologi è stato disegnato da un pagano per irridere
un collega cristiano.
Dal V al IX secolo
Secondo i documenti a nostra disposizione, le prime due crocifissioni sono di origine
italica, ambedue risalenti agli anni 420-430: il bassorilievo di un riquadro della grande
porta lignea della basilica di S. Sabina in Roma; l’immagine scolpita su un piccolo
reliquiario di avorio conservato nel British Museum di Londra. Ambedue gli esempi
raffigurano Gesù come una figura solenne: è vivo, senza alcun segno di sofferenza.
Accanto a questo schema iconografico (italico) prese forma un altro modo di
rappresentare la crocifissione (di origine orientale). L’esempio più antico a noi rimasto
risale all’anno 586. È una pagina dell’evangeliario di origine siriaca del monaco
Rabula, conservato nella Biblioteca Laurenziana di Firenze. Rispetto allo schema
precedente, Gesù è coperto da una specie di camice (il colobium) e la scena è più
complessa. Ma anche in questo caso non vengono rappresentate le conseguenze della
tortura e la morte di Gesù: egli è vivo, non piagato dai colpi subìti. La morte è come
annunciata, perché si vede il soldato che sta per trafiggerlo, mentre un altro soldato
sta offrendogli la spugna imbevuta di aceto.
Questi due schemi iconografici sono poi stati ripresi molte volte e in vari modi (molto
frequenti le tavole in avorio): dei due il più seguito è quello del monaco Rabula. Ma
soltanto a partire dal VII secolo troviamo delle crocifissioni poste nelle chiese. Forse
l’esempio più bello è l’affresco di S. Maria Antiqua a Roma (714-751).
Perché in questo periodo Gesù è rappresentato crocifisso ma vivo?
E perché non sono messe in evidenza le sue sofferenze?
La risposta va cercata nella teologia che guidava la mano di questi artisti: essi
continuano a rappresentare il mistero pasquale, la vittoria di Gesù, non la sua
sconfitta.
Il nuovo schema nacque per affermare – contro le tesi degli eretici – che Gesù era stato
realmente crocifisso e ucciso (non un suo sostituto). Ma Gesù era Dio: come era
possibile rappresentare la morte di Dio? La soluzione è ingegnosa: Gesù è
rappresentato vivo, ma proprio nell’istante in cui un soldato lo trafigge. In questo
modo cita (modificando la cronologia dei fatti) il Vangelo di Giovanni (19,33-34): il
soldato compì quell’atto per certificare che Gesù era morto.
In questo periodo compaiono i primi crocifissi veri e propri, intesi come figura isolata,
non inserita in una scena. Un esempio molto significativo – per la diffusione che ha
avuto in tutta l’Europa – è il crocifisso di Lucca (databile tra l’VIII e il X secolo). Tutti i
pellegrini che dal nord dell’Europa andavano verso Roma si fermavano nella città di
Lucca per venerare l’immagine del Sacro Volto e poi ne portavano copia con sé.
La seconda parte del primo millennio vide nascere una cultura nuova. Per opera del
cristianesimo, i valori superstiti della civiltà romana si fusero con la vitalità, la forza e
le tradizioni dei popoli germanici. L’immagine del crocifisso occupò un posto
importante nel passaggio dalla concezione germanica della vita, essenzialmente
tragica e dunque eroica, alla concezione cristiana, in cui prevale la speranza. Di queste
croci/crocifissi in Irlanda si trovano le testimonianze più belle.
Dal X al XIV secolo
Continua la tradizione di rappresentare sulla croce Gesù vivo e non sfigurato dalle
sofferenze. Ognuno di noi ricorda il crocifisso di Francesco a S. Damiano in Assisi
(questo tipo di croce dipinta era comune in Toscana e in Umbria). Ma in tutte le
regioni italiane si trovano dei bellissimi esempi di questo crocifisso. La forma e il
materiale cambiano (sono sculture in legno) ma non il messaggio: è l’immagine di
Cristo trionfante, come nel crocifisso ligneo del Volto Santo(Cfr: Giuseppe Bottione, iconografo).

Maria de falco Marotta

 

Fatti dello Spirito