Parlare del Papa mi fa male al cuore

Oggi siamo immersi in un mare di "inciuci", cioè di intrighi. E - purtroppo - siamo in un momento tristissimo: ce ne sono in politica per la questione di tanti balzani "giovinetti" che lasciano andare la nostra Italia alla deriva e - per un puro caso del destino - e della chiesa - in quanto istituzione gerarchica che raccoglie in questi giorni in Vaticano i cardinali che dovranno scegliere tra tweet vari il successore di BenedettoXVI dimessosi, tra lacrime e rimpianti dei cattolici che lo amavano.

Sinceramente, avrei voluto evitare di parlare di questo tema così doloroso-peraltro- ma mi sento tirata per i capelli, sebbene me li sia fatti accorciare tantissimo.

Vi sono tante domande da porsi il "perché" Benedetto XVI si è dimesso e "Perché" il suo gesto fa tanto discutere. Durante il suo pontificato , qual è l'idea di uomo che l' ha guidato? Quale l'idea di Dio? Quale l'idea di Chiesa? E quali, infine, i grovigli irrisolti che saranno l'agenda con cui il nuovo Pontefice dovrà risolvere?

Mi viene in mente il titolo del famoso volume di Dietrich Bonhoeffer, teologo tedesco, «Widerstand und Ergebung », cioè di «Resistenza e Resa». Pensando alle dimissioni di Joseph Ratzinger, dal 28 febbraio 2013 «Papa emerito ». La sua é «resa» il riconoscere con umiltà l'avanzare dell'età, la mancanza di vigore nel fronteggiare adeguatamente la rapidità dei cambiamenti del mondo, la difficoltà a comprendere il linguaggio dei suoi contemporanei. È resa ai propri limiti umani, ma anche pastorali: più bruciante di tutti - probabilmente - il fallimento del tentativo di riconciliazione con i Lefebvriani. Gesto di resa, dunque, ma anche di «resistenza», di denuncia: contro «la sporcizia» annidata nel seno della Chiesa, che egli aveva additato lucidamente, da cardinale, nel suo famoso discorso della Via Crucis al Colosseo del 2005. Resistenza alle manovre che stanno portando su binari morti quei processi di rottura e di innovazione che pure egli aveva provato a innescare: rottura con gli scandali finanziari e sessuali che scuotono la Chiesa universale; rottura con la logica della "guerra per bande" fatta di piccolezze, invidie e liti da cortile che infuria nelle sacre stanze vaticane. Resistenza anche all' impercettibile fatalismo ecclesiastico, che impone di arrendersi al corso delle cose, in attesa di tempi migliori.

Penso come tanti altri, che non abbia compiuto un atto di viltà, «scendendo dalla croce», ma di coraggio abbracciando su di sé l'ambiguità di un gesto clamoroso, le dimissioni, che se da una parte appare come una confessione di impotenza, dall'altra è la cosciente presa di posizione in favore di nuovi assetti istituzionali per la Chiesa universale. Con le sue dimissioni, infatti, Benedetto XVI ha contribuito a desacralizzare la figura del Papa, attuando il pensiero del Concilio Vaticano II che umanizza la funzione del «vescovo di Roma» quale «capo del collegio episcopale».

Joseph Ratzinger ha preso su di sé questa sua croce, fatta intersecando resistenza e resa. Da questa croce, il collegio cardinalizio dovrà ripartire. Del resto, in un mondo così secolarizzato, nessuno in terra viene considerato più potente di Dio. Nemmeno il Papa. Infatti , dice il teologo Antonio Autiero docente di Teologia morale alla Facoltà cattolica di Münster, che nel pensiero del teologo Ratzinger e nell'insegnamento di Benedetto XVI, colpisce il fatto che, in tutta la sua pur vasta produzione letteraria, sia da teologo che da Papa, Joseph Ratzinger non abbia un'opera dedicata esplicitamente al tema dell'uomo. Una simile impostazione ha aspetti positivi, ma anche critici. Infatti tutto lo sforzo fatto dalla modernità per dare spazio alla "svolta antropologica" viene ridimensionato e soffre angustie di impianto e di risvolti, se al tema dell'uomo si giunge per rimando e non per focalizzazione originaria e diretta».

Allora, per non speculare troppo teologicamente, tralascio quella che in BenedettoXVI è l'idea e la convinzione di Dio e della chiesa propongo, ciò che per i nostri contemporanei è più accessibile. Per esempio, non è che i nostri contemporanei non cerchino più una via, una verità e una vita. Al contrario... Ma nella stragrande maggioranza non sembrano trovarle nella Chiesa cattolica. Per quale ragione? La storia degli ultimi secoli può aiutarci a capire. Questo stato di cose è legato al fatto che la Chiesa abbia visto il mondo moderno come un nemico, tanto nella sua versione filosofica del XVIII secolo che nella versione scientifica e politica del XIX secolo. La Chiesa si è spesso chiusa in un atteggiamento di opposizione e di condanna di questo mondo e di questa cultura. Anche se le cose si sono evolute nel corso del XX secolo, specialmente col Concilio Vaticano II, restano sempre, però, una specie di diffidenza sottintesa e un riflesso di condanna immediata quando nelle nostre società sorgono questioni cruciali, come il controllo delle nascite, le sfide che riguardano l'inizio o la fine della vita, le varie forme di vita coniugale.

Già privo di modelli di società per l'avvenire, dopo la fine del mondo comunista e la crisi senza precedenti della speranza capitalista, l'Occidente non trova nella Chiesa cattolica la via, la verità, la vita, a cui - nonostante tutto - aspira ardentemente. Quindi, il primo dovere del Papa è dunque di ridare speranza ai nostri contemporanei e alla Chiesa (e Benedetto XVI non vi è riuscito appieno). Ma ciò non si potrà fare senza un cambiamento di tono e di stile nella comunicazione, sebbene abbia imparato a twittare. Ogni richiamo alla verità che non susciti una speranza e non apra a un avvenire non è la verità di Gesù Cristo. Ciò non significa che ogni evoluzione della società sia da benedire, ma che il modo di essere critici può essere portatore di vita o di morte.

Resta da meditare continuamente l'atteggiamento del Cristo nei suoi incontri, nel suo modo unico di mettere ciascuno di fronte alla sua verità, ma nello stesso tempo di incoraggiarlo a rialzarsi e a mettersi in cammino. Ciò suppone che i cristiani prendano la parola in maniera più larga sui problemi di società, ma anche di fede e di spiritualità. Una parola che sia riproposta dal magistero della Chiesa. Perché il ruolo decisivo del magistero è anche di incoraggiare e di dare visibilità a tutte le iniziative locali - numerose - degli uomini e delle donne che con generosità si mettono alla sequela di Gesù Cristo. Compito non così gravoso, poiché esso è sostenuto dallo Spirito! (Cfr. : Laurent Villemin professore di Teologia all'Institut Catholique di Parigi).

Quali - allora- le questioni aperte / Che cosa aspettiamo dal nuovo vescovo di Roma???

Il primo gesto di Benedetto XVI fu aprire le braccia ai Lefebvriani. Il prossimo Papa avrà una esposizione impensabilmente moltiplicata dal fulmine delle dimissioni che hanno aperto il percorso alla sua nomina. Sarà responsabilità grande il primo gesto. Può essere anche semplice, come fu la carezza spiazzante e piena di Vangelo di Giovanni XXIII. Che cosa vogliamo noi dopo? Tutto. Trasparenza. Sapienza. Ascolto. Sobrietà. Modestia. Capacità. La somma dei desideri è il paradiso, e non si può. La media dei desideri è nulla, nessuno che si senta visto e riconosciuto, è l'indistinto dell'indecisione, e non si deve. E allora? Dalla sponda della comune nostra umanità e insieme di una investitura assolutamente unica, un Papa nuovo si trova ad agire raccogliendo per scelta, per vocazione, per investitura appunto, quel che è stato fatto e forse è rimasto interrotto e nello stesso tempo ascoltando il bisogno di chi, sulla terra, ancora non è stato accolto perché ha meno voce per farsi sentire. C'è il potere. Siamo in overdose da potere politico ed economico e sociale esibito, inseguito, millantato. Singolare, solitario, assoluto, sciolto da ogni responsabilità. Tutti che vogliono di più, essere di più e contare di più. Il desiderio è di un agire chiaro, che racconti una Chiesa che vuole essere meno. Meno ricca, meno potente, meno presente nell'abbaglio mediatico, segreta nell'azione che cambia le cose. Nessuna scorciatoia di un potere a cui affidare magicamente la propria salvezza. Né di un potere rimpianto a cui affidare la propria rilevanza. In risposta a questa periodica tentazione del mondo e anche della Chiesa, un Papa che mostri la forza, piena di rispetto per ciascuno, che viene dalla responsabilità condivisa è un Papa che apre un sentiero nuovo, o semplicemente interrotto. Collegialità si chiama. Per noi è abitata dallo Spirito, come ci è stato promesso. Ci vuole un mare di coraggio. È un viaggiare controvento oggi.

Poi c'è il mondo. Dove sta il mondo rispetto alla Chiesa. E la Chiesa rispetto al mondo. Quanto lo sente lontano, quanto vicino, quanto dentro. Amico, pieno di valori, da chiamare con un nome comune, fianco a fianco. Il pane dei diritti da ritrovare. Il pane del corpo da assicurare. Un mondo alleato. Oppure invece visto come tenebra da vincere. Altro. Da salvare, convertire, guidare. C'è un dialogo con il mondo da continuare. Un Concilio lo ha ben cominciato. Non è scritto che ne serva un altro di Concilio, qualcuno autorevolmente diceva di sì, forse sì. Perché molto è cambiato da allora. Ma chi lo ha amato il Concilio Vaticano II, e lo ama, pensa che sia un sentiero questo ancora aperto, da percorrere del tutto, in compagnia del mondo. Il tempo durissimo della crisi economica e dei diritti non è così certo che sia più grave di altri già vissuti nella nostra storia di uomini, però è il nostro tempo ed è più grande la consapevolezza dell'ingiustizia, e insieme la possibilità di distruggerci gli uni gli altri. Che cosa può fare la Chiesa? Alimentare grandi speranze che forse sono antiche nostalgie, oppure stare accanto agli uomini, fratelli e sorelle nel resistere insieme e coltivare tutta la felicità a noi qui possibile. E se la promessa cristiana è che il male per quanto grande non è l'ultima parola, il salto oltre le nostre responsabilità nei confronti del mondo è sempre mortale.

E le donne. Non si può credere che la questione della donna nella Chiesa possa restare congelata nella attuale impensabile marginalità. Non è fatto di giustizia, ma di verità. Non è rimasto molto della lunga stagione della teologia femminista che denunciava i limiti di una teologia "naturalmente" al maschile: nel linguaggio, nelle metafore, nelle immagini utilizzate per dire Dio e la Chiesa. È rimasta però la situazione di una Chiesa che non sa trovare la strada di una condivisione della responsabilità che non passi attraverso il genere. E l'ordine sacro. Non si può quasi vedere oggi una Chiesa che sappiamo costituita soprattutto da donne, rappresentata esclusivamente da uomini nei luoghi della responsabilità. Si sa che non è possibile la storia dei "se", ma il pensiero che l'immensa buia vicenda della pedofilia nella Chiesa avrebbe avuto un corso molto diverso se la responsabilità delle decisioni fosse stata anche femminile, è un pensiero che non si può allontanare. E dire che la questione femminile nella Chiesa vien dopo molte altre significa non vedere. Che tutto si tiene, che il silenzio di molte donne credenti non significa assenso, che la verità non va subita alla fine di un ostinato resistere, come male minore, ma va affermata per primi, per amore, anche se non c'è rivendicazione, anche se non ci fosse dall'altra parte consapevolezza dell'errore e dell'ingiustizia subita. Ci stiamo perdendo, da cristiani e da esseri umani, se si continua così.

E certo si deve parlare dei bambini. La pedofilia nella Chiesa. C'è un lavoro da portare limpidamente avanti e c'è una fiducia da riconquistare. Qui Benedetto XVI ha sì iniziato una storia nuova, una trasparenza ricercata ma, paradossalmente, non solo non sembra "passata" nell'opinione pubblica questa sua volontà di impegno, ma addirittura l'aver parlato e detto il problema ha moltiplicato le attese e quindi le delusioni per quello che è apparso un agire troppo timido rispetto a fatti così immensi.. Di riforma è difficile parlare oggi, perché la politica ha chiamato così delle mascherate indecenti. Ma la riforma di quella che si chiama Curia, o Palazzo in modo più irriverente, sembra un gesto di libertà necessaria. Si capisce che ci vuole un mare di energia, perché la Curia è un intero mondo di potere, con il compito di «amministrare tutte le nazioni » e chissà se il «vigor quidam corporis et animae» di cui ha parlato Benedetto XVI nell'annunciare la fine del suo pontificato era pensato anche per questa opera immane di riforma del luogo e della struttura del potere. È impossibile impedire la chiacchiera intorno al potere, è però possibile non alimentarla, e questo vuole processi trasparenti, almeno nel campo amministrativo e finanziario. Quali che fossero le intenzioni, le nomine ai vertici del mondo finanziario del Vaticano sono state una delusione per chi si aspettava attenzione verso il mondo ormai solido e riconosciuto della finanza etica, che peraltro in Italia è nato proprio anche da realtà legate alla comunità cristiana (non solo cattolica) e del volontariato sociale.

La verità ci rende liberi, ci dice la scrittura. Liberi. Il nuovo Papa mostrerà con gesti e parole un'idea di Chiesa. Vicina oppure là in alto. Più o meno compagna dell'uomo oppure più o meno giudicante (Cfr. Mariapia Veladiano insegnante e scrittrice).

In ogni modo, la gerarchia ha su di sé un pesante fardello, perché é sempre sotto i riflettori dei Media e non sfugge più alla sua luce che - per sempre - racconterà inesorabilmente il suo agire.

Noi speriamo che sia ricca delle parole di Gesù che, povero ed umile, ha voluto aprire all'umanità le porte del cielo. Come ha fatto BenedettoXVI.

Maria de falco Marotta

Maria de falco Marotta
Fatti dello Spirito