LA VERA CARITÀ (del Cardinale SEMERARO)

Omelia per il rito di beatificazione della martire Maria Laura Mainetti

Parlando della comune professione perpetua tra le «Figlie della Croce», una consorella
della nostra Beata ha ricordato che a tutte loro fu proposto di scrivere in un bigliettino
la grazia che ciascuna domandava al Signore; riferiva pure che ella scrisse: «La vera
carità» (cf. Summarium, Doc. 32, 282). L’espressione vera caritas è tradizionale e vi
ricorse anche san Tommaso per ricordare che consiste nell’amare Dio più di se stessi e
il prossimo come se stessi (cf. Mc 12,29-30) ed è l’opposto dell’amore di sé.
Questa medesima espressione fu molto cara a san Paolo VI, il quale l’uso in diverse
occasioni; una volta, in una forma che potremmo ritenere adatta per la nostra
circostanza: «Se davvero la nostra carità tende a imitare (non possiamo mai dire:
eguagliare!) quella sconfinata e divina di Gesù, Gesù è rappresentato, Gesù è presente.
La nostra carità diventa segno; segno di Cristo. Figli carissimi! Abbiamo noi sotto gli
occhi simili segni di Cristo? Abbiamo noi nella Chiesa fatti caritativi, che ci fanno
intravedere la sua presenza fra noi? La Chiesa è ancor oggi convalidata nel suo
possesso di Cristo dalla carità? Quella carità fondata sull’amor di Dio, quella carità che
risolve tutti i contrasti della convivenza umana, quella carità, che si dona senza limiti
e senza compenso? Sì, sì, diletti Figli di questa santa Chiesa cattolica; ella è tutta
lucente di tali segni, di tali testimonianze! Aprite gli occhi e osservate quante luci di
quella carità irradiano dal suo mantello; dal suo abito storico e concreto, vogliamo dire,
un abito non tutto egualmente splendido e nuovo, un abito antico e tanto umano, che
sempre ha bisogno d’essere riparato e rinnovato (come ha cercato di fare il Concilio),
ma tutto smaltato dalle gemme scintillanti di quella presenza di Cristo, che la vera
carità chiama ancora fra noi. Osservate quante vocazioni di uomini e di donne ancor
oggi immolano vite giovani e fiorenti all’esercizio e alla testimonianza della carità»
(Udienza del 9 novembre 1966). La beata Maria Laura Mainetti, che invocò dal Signore
il dono della «vera carità», è una di queste testimoni. Anzi, è martire!
L’espressione vera caritas – lo sappiamo – è presente nella Liturgia della Messa
vespertina in cena Domini. Dopo il gesto della lavanda dei piedi, che ricorda la carità
di Cristo, e durante la processione dei fedeli che presentano, con il pane e il vino, i doni
per i poveri, la Chiesa ci fa cantare un antico inno composto da Paolino d’Aquileia
durante il quale si ripete l’antifona: Ubi caritas est vera, Deus ibi est. Uno dei versetti
dice: «noi formiamo qui riuniti un solo corpo». Siamo, così, ricondotti al mistero
dell’Eucaristia, cui è dedicata questa domenica.
Mentre, però, ricordiamo ciò che il Signore fece coi suoi discepoli nell’Ultima Cena,
ci risuonano nella mente le sue parole: «Io vi dico che non berrò mai più del frutto della
vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio» (Mc 14,25). Queste parole,
che concludono il racconto evangelico, sono un annuncio di morte. Gesù parla di un digiuno
e ogni digiuno raffigura una morte. Egli non si lascia sorprendere dagli eventi.
È consapevole dei progetti di morte maturati contro di lui, ma non si lascia togliere la
vita. Prima la dona ai suoi discepoli, la offre a loro spontaneamente. La sua consegna
è racchiusa nei segni del pane e del vino e oggi raggiunge tutti noi che, uniti attorno
alla stessa mensa, ripetiamo in memoria di lui quel che egli ha fatto «nella notte in cui
veniva tradito».
Le parole di Gesù, però, non sono soltanto un congedo. Sono anche una promessa.
Diremo, anzi, che dalle sue parole fiorisce la speranza. Le parole del Signore sono mani
tese verso di noi; sono un abbraccio, che tutti ci raccoglie. Gesù parla di un «vino
nuovo» – ossia di un banchetto festivo – bevuto nel regno di Dio. Ogni digiuno, in fin
dei conti, vuol dire attendere e, per questo, rinvia a una festa. Il vangelo secondo Matteo
contiene una piccola, ma importante esplicitazione. Scrive: «lo berrò nuovo con voi»
(Mt 26,29). Chi mai banchetterebbe da solo? È confortante, allora, cogliere dalle labbra
di Gesù questo: con voi! È molto bello il commento che ne ha lasciato Origene: «Non
vuole bere da solo il vino nel Regno di Dio. Egli ci aspetta. Infatti così disse: finché
non lo berrò con voi… Ci aspetta per bere del succo di questa vite. Di quale vite? Di
quella di cui Egli era la figura» (In Leviticum VII, 3: PG 12, 479). Nelle parole di Gesù,
insomma, Origene riconosce il desiderio che Egli ha di averci con Lui, per sempre.
Non ha forse detto: «Verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate
anche voi… Non vi lascerò orfani: verrò da voi» (Gv 14,3.18)?
Potremmo, anzi, aggiungere, che il «vino nuovo» Gesù lo pregusta di già, ogni volta
che la sua comunità – quella per la quale ha dato la sua vita e alla quale il Padre lo ha
ridonato risorto – fa memoria di Lui in attesa della sua venuta. Il Regno dove sarà
gustato il «vino nuovo» si avvicina sempre di più ogni volta che «annunciamo la morte
del Signore e proclamiamo la sua risurrezione». E già degustano il «vino nuovo» del
Regno quanti sono rivestiti della «veste di lino puro e splendente», ossia delle «opere
giuste dei santi», per i quali è scritto: «Beati gli invitati al banchetto di nozze
dell’Agnello!» (Ap 19,8-9). Tra questi invitati la Chiesa oggi riconosce la beata martire
Maria Laura Mainetti.
L’ora cruciale della sua vita tutti la conosciamo ed è stata ancora rievocata all’inizio di
questo rito solenne. Mentre moriva, ella perdonava e pregava per chi le procurava la
morte. «… Come noi li rimettiamo ai nostri debitori», diciamo nel Pater. Quante volte,
nella Santa Messa, per prepararsi all’incontro sacramentale con Cristo; e poi in
comunità, o da sola suor Maria Laura ha recitato questa preghiera. Ammonisce
sant’Agostino: «Vuoi dirlo in tutta sicurezza? Fa’ quel che dici» (Enarrat. in Ps., 103
I, 19: PL 37, 1352). È, infatti, perdonando, che si è perdonati. Al termine della sua
esistenza, mentre era uccisa suor Maria Laura l’ha fatto ancora; questa volta, però,
prima d’incontrarlo realmente, il Signore. Risentiamo allora sant’Agostino:
«Come noi li rimettiamo ai nostri debitori: se potrai dire così, cammina pure sicuro, esulta nella
via, canta nella via. Non temere il giudice!» (Enarrat. in Ps., 66, 7: PL 36, 808).
Nel processo per la beatificazione, un testimone si domandò: «Come mai una suora,
che vive per tanti anni nel suo ritmo ordinario, arriva a questa autocoscienza, di dover
pregare per quelli che la uccidono, mentre la uccidono, quasi producendo una fotocopia
del Vangelo… » (Summarium Testium, Teste II, §48). Sì: come mai? Nella tradizione
cristiana, soprattutto i martiri si usava chiamarli athletae Christi. Ma cosa fanno gli
atleti per vincere le gare? Allenamenti continui, fatiche, rinunce fuori dell’ordinario …
I nostri santi, allora, saranno anch’essi uomini e donne dell’eccezione, dello sforzo? La
nostra martire scriveva: «Il cammino della mia vita religiosa è molto semplice. Ero
molto giovane quando un sacerdote, dopo una confessione mi ha detto: “Tu devi fare
qualcosa di bello per gli altri”. C’era in questa frase un imperativo: inoltre la sua
risonanza in me mi riempiva di gioia. Sentivo che avrei dato un senso pieno alla mia
vita» (Informatio, 22). La santità è così: non è il frutto di uno sforzo umano, ma spunta
semplicemente come un fiore nel prato.
Nelle prime pagine del suo Manoscritto «A», gettando uno sguardo sulla propria vita
santa Teresa di Gesù Bambino scriveva: «Gesù … mi ha messo davanti agli occhi il
libro della natura e ho capito che tutti i fiori che ha creato sono belli, che lo splendore
della rosa e il candore del giglio non tolgono il profumo della piccola violetta o la
semplicità incantevole della pratolina … Così avviene nel mondo delle anime che è il
giardino di Gesù… La perfezione consiste nel fare la sua volontà, nell’essere ciò che
Egli vuole che noi siamo…» (f. 2v°). Ho citato santa Teresina perché la nostra Beata
la volle come patrona e, proprio per imitarla, scelse «il tutto, il più grande, la vera
carità» (cf. Summ., Doc. 32 cit.). Anche questo possiamo apprenderlo dalla storia di
santità della nostra beata martire.
Nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate papa Francesco ha scritto: «Tutti
siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria
testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova» (n. 14). Oggi, forse, è
necessario ricordarlo: il terreno per la fioritura della santità non è l’eccezionale, ma la
fedeltà nel quotidiano. È in esso che si fa presente il momento opportuno (kairós). Alla
fin fine, la «vera carità» che la beata M. Laura Mainetti scelse e portò a compimento
nell’ora del martirio potrebbe coincidere col dilige et quod vis fac di sant’Agostino:
«Ama e fa’ ciò che vuoi. Sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per
amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; vi
sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene»
(In Epistolam Ioannis ad Parthos, VII, 8: PL 35, 2033).
Chiavenna (So), 6 giugno 2021
Marcello Cardinale SEMERARO

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CENNI BIOGRAFICI DEL CARDINALE MARCELLO SEMERARO
a cura della Sala stampa della Santa Sede
Il cardinale Marcello Semeraro, arcivescovo - vescovo emerito di Albano, prefetto della
Congregazione delle Cause dei Santi, è nato a Monteroni di Lecce il 22 dicembre 1947. Ordinato
presbitero l’8 settembre 1971.
Ha ricevuto la formazione iniziale nel Pontificio Seminario Regionale Pugliese Pio XI di Molfetta e,
successivamente, ha perfezionato gli studi di teologia nella Facoltà di Teologia della Pontificia
Università Lateranense in Roma dove ha conseguito i gradi accademici di Licenza e di Dottorato in
Sacra Teologia. Ha quindi insegnato teologia dogmatica all’Istituto Teologico Pugliese e poi anche
ecclesiologia nella Facoltà di Teologia della P.U.L.
Eletto alla sede vescovile di Oria il 25 luglio 1998. Trasferito alla diocesi Suburbicaria di Albano il 1°
ottobre 2004 fino al 15 ottobre 2020 quando è stato nominato da papa Francesco prefetto della
Congregazione delle Cause dei Santi. Attualmente è anche amministratore apostolico ad nutum
Sanctae Sedis dell’abbazia territoriale di Santa Maria di Grottaferrata e delegato pontificio dell’Ordine
basiliano italiano.
Nel corso degli anni è stato segretario speciale della X Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi
su “Il Vescovo: Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo”. Ha partecipato come
membro di nomina pontificia alla XIV assemblea generale ordinaria su “La vocazione e la missione
della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”; alla XV assemblea generale ordinaria su “I
giovani, la fede e il discernimento vocazionale” e all’assemblea speciale per la regione panamazzonica
del 2019.
Presidente per la Conferenza episcopale laziale della Commissione regionale per la dottrina della
fede, l’annuncio e la catechesi; membro della Commissione episcopale CEI per la Dottrina della fede,
l’Annuncio e la Catechesi; presidente del CdA di “Avvenire – Nuova Editrice SpA”. Membro della
Congregazione delle Cause dei Santi e del Dicastero per la Comunicazione; Consultore della
Congregazione per le Chiese Orientali.
Il 13 aprile 2020 è stato nominato come segretario del “Consiglio di cardinali per aiutare il Santo
Padre nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della Costituzione
apostolica Pastor Bonus sulla Curia Romana”.
Sui temi dell’ecclesiologia ha pubblicato diversi libri, articoli e voci di dizionario.
Il 15 ottobre 2020 il Santo Padre Francesco lo ha nominato prefetto della Congregazione delle Cause
dei Santi.
Da Papa Francesco creato e pubblicato Cardinale nel Concistoro del 28 novembre 2020, della
Diaconia di Santa Maria in Domnica.
È Membro della Congregazione per le Chiese Orientali e del Dicastero per la Comunicazione.

Fatti dello Spirito