La voce del teologo per la Festa della Mamma

Non è per accettare una festa dei consumi, né per un buon sentimento ma per dovere: dovere di dare una risposta da lungo tempo attesa, rimorso per esservi spesso sfuggito, o forse momento di sosta nel lungo e faticoso cammino per la liberazione; gioia soprattutto di liberare dal cuore una parola mai detta, ma via via s’è fatta più pregnante.
Una parola data alle donne,: alle mamme, alle ragazze.
Parlando e riflettendo in occasione del referendum, ho percepito tutta la complicità e la consapevolezza per i silenzi, le inibizioni e i comodi tabù che hanno sfigurato dell’amore umano.
L’amore è un mistero non solo come sacramento ma come vivere umano, esistenziale.
Mistero che non è una cosa oscura, ma una realtà vitalissima che affonda le sue radici in una profondità di rimandi, e di accenni che superano l’esperimentabilità della singola persona, dell’uomo stesso.
E’ sempre una esperienza drammaticamente gioiosa capire che l’amore lo si può vivere in una parola mai detta, in una fusione che si fa lontananza, in un tu vicinissimo che si fa infinito (nei rimandi, nella speranza, nel segno).
Ed è divinamente bello che l’amore si riveli nel rapporto uomo-donna là dove si fondono iniziative e accoglienza, forza e povertà, rischio e pazienza, là dove la perfetta complementarietà non è semplice uguaglianza, ma crescita di continue novità.
Novità che si costruisce nella fedeltà e sé stessi, al proprio più profondo poter essere.
Per questo oggi auguro alle donne di essere sé stesse, perché siano “nuove” e portatrici di novità.
Se stesse nell’essere donna, non copiando, o facendo concorrenza o sostituendosi all’uomo.
La nostra epoca è satura di cosiddetta iniziativa, di divismo, di attivismo, di false sicurezze, emancipazioni, pseudo-libertà … è vecchia. Forse è anche perché le donne hanno mancato il loro ruolo di accoglienza. Un accogliere per niente amorfo, che chiama per nome, che crea, plasma l’iniziativa, ricreandola, dandole lo spazio vitale, la possibilità; un’accoglienza che dà lo spazio della libertà, che fa degli uomini liberi.
L’uomo realizza un valore solo nella misura in cui è antecedentemente accolto, altrimenti rischia di sfogare, nell’attività solo il suo narcisistico contemplarsi, la sua impotente insoddisfazione, la sua delusione, la sua oppressione.
La donna che accoglie, è solo donna, è fedele a se stessa, alla sua unicità insostituibile: esprime la massima attività perché fa rinascere, ricreare, rivivere, ri-gioire.
Un uomo non può vivere, ma solo rivivere dopo che è accolto dalla sua donna.
Accogliere diventa sinonimo di “amare profondamente senza possedere, conoscere intimamente per aiutare a vivere il solo vero senso della vita, il darsi agli altri”.
La donna che accoglie è la donna povera.
Troppo spesso questa povertà è diventata dipendenza, sfruttamento, inferiorità, rivalsa, seduzione.
La povertà della donna è forza, profondità, festa nella misura in cui ridimensiona il progetto dell’uomo, lo rende più umano (non a livello sentimentale), gli dona la freschezza, la spontaneità del particolare, del piccolo,del relativo, del provvisorio … rompe la soddisfazione dell’uomo mantenendo viva l’inquietudine.
Così la donna insegna all’uomo a diventare mortale, a diventare se stesso, vero … a diventare saggio. “Abbatte i potenti dai troni … innalza gli umili”. Un capovolgimento dello schema maschile di dominio, nel dono di sé, in una vita “fedele”, mortale.
Nella misura in cui la donna povera accoglie l’uomo lo vota, lo consacra alla morte come espressione della vera vita: morte che è amore fatto carne nel dono di sé.
La povertà si fa allora pazienza, non come rassegnazione, ma come attesa … che il germe germogli.
Non basta seminare, bisogna accogliere ed aspettare perché il seme porti frutto.
Così la donna diventa madre non perché ha figli, non per un facile e romantico sentimento, ma perché crea e ricrea il nuovo (il nuovo della risurrezione che nasce dalla morte).
Quando una donna non è più grembo da cui scaturisce novità non è più donna.
Dicono gli psicologi che l’uomo ha sempre tendenze ad un ritorno al seno materno come regresso, falsa sicurezza, pseudo-pace.
E’ un’esperienza comune oggi, forse perché non si è conosciuto una donna, una madre.
Non è questa una “cattiva” insinuazione, forse è uno stimolo, forse un augurio … a tutte quelle donne che hanno un figlio, un marito, un fidanzato, un amico o tanti amici, che hanno rischiato o stanno rischiando grandi o piccole scelte, che vogliono vivere realmente, che forse sono andati lontano … “siate per loro grembo fecondo di novità, di coraggio sereno, di libertà, di festa, sappiate accogliere e far rivivere, insegnate loro a diventare mortali liberandoli e staccandoli da ogni legame egoista, da ogni paura.
Siate, giovani o anziane, veramente madri, stimolo continuo di novità e di coraggio.
Siate così non nel sentimento, nelle parole, ma in quella dimensione che è fatica, la fatica quotidiana dell’essere se stessi, smettendo la vanità, la gelosia, la seduzione, l’isterilimento progressivo, la evasione.
Conosco i momenti di isteria e di egoismo, conosco i momenti silenziosi di grandezza di ogni donna: il mio augurio oggi vive di questa esperienza, ma non è una speranza: che domani ogni donna sappia accogliere il nuovo (forse espresso di una “stramba” decisione del figlio) con il coraggio di Maria, con la sua povertà senza paura del disonore, del diverso, della “faccia”; sappiate consacrare i figli, lo sposo, gli amici alla morte, accompagnandoli fino alla fine … come Maria.
Questo è il solo volto di donna e di madre che costruisce la festa per gli uomini che diventano mortali nell’amore.
Teresio Belletti, teologo

 

Fatti dello Spirito