Il Concilio e l'elaborazione della dottrina sociale della Chiesa

Ho già scritto qualcosa a ricordo della ricorrenza dell'Enciclica "Pacem in Terris" e del suo autore: Papa Giovanni XXIII. Desidero riprendere quel discorso allargandolo al Concilio Vaticano II° e a tutto quanto ne è seguito negli anni, passando attraverso le encicliche dei Papi che si sono succeduti.

L'Enciclica di Papa Giovanni XXIII "Pacem in Terris", fu accolta con entusiasmo in ambienti politici diversi. Già fin dall'inaugurazione del Concilio, vi è stata una chiara scelta di campo: la Chiesa preferisce oggi la misericordia piuttosto che la severità, vuole mostrare la validità della sua dottrina piuttosto che fare l'elenco degli errori per condannarli. In poche parole la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia. La sua autorità deriva dal servizio e dalla testimonianza e non dal potere dottrinario. E' la teologia delle realtà terrestri.

Con il pontificato di Paolo VI° la costituzione pastorale "Gaudium et Spes" sistematizza i frutti dei lavori conciliari. Alla assemblea dell'ONU il Papa presenta la Chiesa come "esperta di umanità" che offre al mondo il suo patrimonio etico per contribuire umilmente alla ricerca della pace.

Di fronte al dilagare di tanti gruppi cattolici del dissenso, e alle pressioni degli ambienti ultraconservatori della Curia, Paolo VI° sente l'esigenza di una maggiore rigorosità filosofica, dalla quale ne fa derivare l'incompatibilità del marxismo con il cristianesimo, nonostante la forza dirompente del dialogo in atto messo in funzione a seguito della sua enciclica del 1967: "Populorum Progressio".

E' un linguaggio duro quello usato dal Papa, non facile da capire e da assimilare, tanto che arriva a sconfessare le ACLI dopo il famoso convegno di Vallombrosa del 1970, svoltosi sul tema: "movimento operaio, capitalismo, democrazia". Gli eventi dei tempi che scorrono gli daranno invece ragione sulle sue elaborazioni sulla società della comunicazione, enunciate nella sua enciclica "Octogesima adveniens" del 1971: tra i principali mutamenti del nostro tempo individua il nuovo potere assunto dai mezzi di comunicazione sociale circa l'influsso sulla trasformazione delle mentalità, delle cognizioni e della società stessa.

Occorre perciò interrogarsi sui detentori reali di questo potere, sugli scopi e sulle ripercussioni della loro azione nei confronti dell'esercizio delle libertà individuali, tanto nel settore politico e ideologico, come nella vita sociale, economica e culturale. Ci siamo interrogati a sufficienza? Sembra di no! Invece di intensificare i controlli e dettare regole di protezione dell'utenza, la politica ha preferito lasciare mano libera ai nuovi imbonitori del popolo.

Con l'avvento della televisione si delinea una nuova forma di civiltà: quella dell'immagine. Dopo la caduta del muro di Berlino (infatuati proprio dalle immagini), una consistente opinione pubblica festeggia la vittoria del capitalismo, al punto che lo statunitense Fukuyama parla di "Fine della Storia". Papa Giovanni Paolo II, invece, con l'enciclica "Centesimus annus" esorta i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà a impegnarsi per ricostruire non una società capitalistica ma una società del lavoro libero e della partecipazione. Una società che non si oppone al mercato ma che molto opportunamente sia in grado di controllarlo attraverso le forze sociali e lo stato.

La crisi del marxismo, sottolinea il Papa polacco, non elimina nel mondo le situazioni di ingiustizia e di oppressione, da cui il marxismo stesso, strumentalizzandole, traeva alimento.

La Dottrina Sociale della Chiesa non è comunque una "terza via" tra capitalismo liberista e collettivismo marxista, ma una categoria appartenente al campo della teologia morale.

Questo concetto è ripreso con molta chiarezza da Papa Benedetto XVI con la sua enciclica "Caritas in Veritate" laddove precisa che l'attività caritativa cristiana deve essere indipendente da partiti e da ideologie. Certamente la "Caritas" sarà sempre necessaria, anche nella società più giusta, ma il Papa mette in guardia contro il rischio di un contesto sociale e culturale che relativizzi la verità, perche senza la verità la carità scivola nel sentimentalismo e l'amore diventa un guscio vuoto. (.) La enciclica prosegue riportando affermazioni molto pesanti che possono portare alla chiusura del dialogo con gli uomini di buona volontà non credenti e prefigurano una Chiesa che ha paura della modernità fortemente secolarizzata. Da qui la necessità di approfondire i temi della enciclica in questione liberandola da eventuali possibili equivoci e da interpretazioni fuorvianti, o peggio da strumentalizzazioni.

Nello spazio pubblico la chiesa deve semplicemente testimoniare il Vangelo e tutti i cristiani devono praticare ciò che dicono di credere, tutti, proprio tutti, indipendentemente dal ruolo che ricoprono nella società. Questo non è, e non potrà mai essere, un obbligo/dovere imposto dalla legge. Questo è un obbligo/dovere morale la pratica del quale ciascuno dovrà fare i conti con la propria coscienza.

Di Papa Francesco abbiamo ancora poche notizie, anche se le immagini che vediamo e le poche parole che abbiamo ascoltato vanno coerentemente verso l'attuazione del concilio. La parola di Gesù va al cuore prima che alla ragione perché è parola d'amore. La vocazione di custodire il creato è una vocazione umana e perciò riguarda tutti, non soltanto i cristiani.

A proposito della Chiesa dei poveri forse occorre precisare che la povertà evangelica non significa la rinuncia ai beni materiali, ma lo svuotamento del proprio egocentrismo, la spoliazione della brama del potere, il non diventare schiavi degli idoli indotti dalla potenza del denaro, in poche parole significa mettersi al servizio della parola: di quella parola.!

Valerio Dalle Grave

Valerio Dalle Grave
Fatti dello Spirito