Capodanno in carcere:

visita alla Casa circondariale di Sondrio

Un conto alla rovescia amaro, amarissimo, per circa 700 detenuti italiani che godono del regime di semilibertà: per loro la mezzanotte non rappresenta il momento a cui affidare le proprie speranze per il futuro, ma al contrario il ritorno in carcere, la fine del periodo inaugurato con il COVID in cui al regime di semilibertà si accompagnava la facoltà di dormire presso la propria abitazione sperimentando in tal modo, come dimostra l’esperienza compiuta, una progressiva responsabilizzazione e il ritorno alla normalità.

Una situazione che torna ad aggravare il problema del sovraffollamento, ma che pone un nuovo tema di giustizia o semplice umanità e ripropone con forza quanto previsto dall’art. 27 della Costituzione e più volte ribadito dai pronunciamenti della Consulta in merito al valore della pena come «strumento dinamicamente volto ad assicurare la funzione rieducativa ».

Non è però questo l’unico motivo di amarezza relativamente alla situazione carceraria: accanto all’altissimo tasso di suicidi del 2022, che non hanno risparmiato nemmeno il carcere di Sondrio che ho visitato incontrando tutti i detenuti, vi sono moltissime situazioni di persone che avrebbero le condizioni e i provvedimenti per le misure alternative, ma sono costrette a rimanere in carcere per l’emarginazione a cui la società questa volta, e non il governo di centrodestra, li costringe.

Si tratta dei tanti, una percentuale che secondo molti arriva sopra il 20%, che non trovano nessuno disposto a dargli fiducia e nemmeno ad affittargli la casa: senza dimora sono così costretti a rimanere in carcere anche quando dovrebbero essere fuori, come accade a Giulio (nome cambiato) che mi ha raccontato di essere detenuto da mesi perchè non trova un appartamento che lo possa ospitare per scontare i domiciliari.

Nonostante tutto abbiamo potuto fare anche molte risate: anche per loro l’ultimo dell’anno è un giorno speciale, dove giocarsi una sigaretta a carte può essere meno monotono e disperante di un giorno qualunque.

Prima di uscire una passeggiata nel cortile “dell’ora d’aria” con gli agenti di custodia, gentili e premurosi, per osservare lo scorcio di cielo che quotidianamente rappresenta per i 35 detenuti a Sondrio ciò che l’esterno ha loro da offrire, tranne che per quell’unico detenuto art. 21 che un’azienda agricola ha preso come collaboratore e che, glielo leggi in faccia, ha dentro di sè il sapore del riscatto e il sorriso della vita anche per questo motivo.

Un’ultimo sguardo al programma delle lezioni che riprenderanno grazie al CPA di Morbegno, il rammarico per il vuoto che il COVID ha creato attorno a queste strutture: “una volta veniva l’istruttore di atletica”, mi raccontano. E quante altre attività si potrebbero proporre a queste persone per rendere davvero la pena rieducativa, per il loro bene e nell’interesse della collettività.

Poi il portone si chiude e rimane lo spazio di una foto. Non un ricordo, ma un impegno che ci porteremo nel 2023 per iniziare a invertire questa tendenza proprio dal milleproroghe. Grazie all’esperienza del collega Roberto Giachetti abbiamo già predisposto con Ivan Scalfarotto un emendamento che ripristini immediatamente la possibilità di continuare a dormire fuori per chi aveva iniziato questo percorso. Perchè il tema delle carceri è una questione che riguarda la società, non i soli detenuti. E’ una questione di civiltà che segnala drammaticamente il progresso o il declino di un paese. Diremo a gran voce al governo che non accettiamo il declino, sicuri di essere ascoltati dal Ministro della Giustizia Carlo Nordio.

on. Mauro del Barba

Giustizia