NESSUNO SI CHIAMI FUORI

NESSUNO SI CHIAMI FUORI

In questi giorni fioriscono le polemiche tra sindacati del pubblico impiego e governo sul tema della gestione del famoso memorandum sottoscritto tra le parti per giungere alla firma del contratto nazionale di lavoro che i circa tre milioni di dipendenti pubblici attendono da parecchio tempo.

La materia del contendere sarebbe il sistema premiante proposto dal governo per incentivare la produttività del lavoro. Al di la delle titubanze dei vari ministri nel proporre soluzioni credibili, a fomentare le polemiche sono anche i dati diffusi in questi giorni dall’INPS.

Secondo l’Istituto infatti, le giornate di malattia certificate dai medici di base ai lavoratori italiani, dal 2003 al 2005, sono aumentate di 6,8 milioni, un aumento di oltre il 10% in due anni, con un incremento dei costi di circa un miliardo di euro. Se si calcola che il numero complessivo di giornate di assenza per malattia è salito a 73.700.000 (cifra consolidata anche nel 2006), il costo complessivo per queste giornate di lavoro perse per malattia sale a oltre 11 miliardi di euro all’anno (22 mila miliardi di vecchie lire).

Quali siano le ragioni vere di tale incremento è ancora tutto da scoprire, ma quello che è certo è il costo che le imprese e le amministrazioni pubbliche devono sopportare per pagare quelli che certi media sbrigativamente definiscono “i nullafacenti”.

Sempre a proposito di costi, alle cifre testè riportate bisogna aggiungere i costi derivanti dagli infortuni sul lavoro (dove i fannulloni non centrano per niente) che, secondo l’INAIL, ammontano a circa 40 miliardi di euro all’anno (ottantamila miliardi di vecchie lire), senza contare la frequenza e il numero dei morti che una poco rigorosa azione di controllo e una massiccia presenza di lavoro nero provocano, tanto da scomodare anche le reprimende del Capo dello Stato.

Come si può osservare, le cifre sopra richiamate mettono in luce l’ammontare di una ingente spesa che annualmente la collettività deve accollarsi. Molti critici, compreso il sottoscritto, sostengono a ragione, che tanti di quei soldi potrebbero essere utilizzati diversamente, per altri scopi più nobili, se ciascuno degli attori in campo (governo, imprese, sindacati e lavoratori) facessero uno sforzo comune per evitare sprechi, disservizi e diseconomie varie derivanti da una endemica carenza di controlli, da una latitanza di responsabilità professionale (penso a certi medici, certi giudici e anche certi sindacalisti) e da una cattiva organizzazione del lavoro specie nel settore del pubblico impiego dove, per esempio, il tasso di assenteismo per malattia supera il 20%, a fronte di un 12,8% nel settore delle medie e grandi aziende private. Ma questo è un ragionamento di buon senso che purtroppo cozza contro un diffuso malcostume che, praticato “dai vertici”, discende a cascata sul resto della società civile.

Tanti politici tacciono e latitano per paura di perdere consensi elettorali; tante imprese trovano più comodo scaricare sui propri dipendenti i maggiori costi derivanti da situazioni di concorrenza sleale piuttosto che denunciare apertamente le imprese che esercitano il lavoro nero; i sindacati, loro malgrado, spesso si trovano a dover difendere situazioni discutibili proprio perché a monte ci sta questo disordine di costume e mancanza di senso di responsabilità; tanti professionisti badano più agli interessi di bottega piuttosto che attenersi alla deontologia professionale. Infine i lavoratori dipendenti, coinvolti in questo vortice perverso, sembra che non si rendano conto del rischio che corrono e delle devastanti conseguenze che un simile andazzo può provocare sull’intero sistema delle tutele contrattuali in materia di malattia e sicurezza personale.

In conclusione mi pare di poter dire che è interesse di tutti, in special modo delle classi più deboli, di quelle che sono ai gradini inferiori della scala sociale, non abusare in malo modo delle conquiste sociali realizzate dalle generazioni precedenti. Anzi è interesse comune tutelare e consolidare lo stato sociale difendendolo da attacchi sconsiderati di quanti nel nome di un falso concetto di libertà sono usi a praticare l’illegalità e a diffondere la perversa cultura del non rispetto delle regole. Questi anarcoidi comportamenti non devono poter trovare spazio in una società civile con tradizioni di elevato spessore storico - culturale come la nostra. Tocca pertanto a tutti, attraverso il dialogo e la concertazione tra categorie e istituzioni trovare un punto d’incontro che permetta di debellare quelle neoplasie culturali che altrimenti ci portano alla rovina.

Valerio Dalle Grave

Valerio Dalle Grave
Giustizia