Paura di Dio o delle religioni? Un saggio di Maria De Falco Marotta (x)
 Quando Randa Chahal Sabbag, Leone d’argento (Venezia 60, 
 agosto- settembre 2003) per il suo struggente film Le Cerf 
 volant alla mia domanda: "crede nel processo di pace in Medio 
 Oriente?", mi ha risposto: "Mi spiace dirlo, ma penso che 
 non ci sia nessun processo di pace. Gli animi di tutti sono 
 sempre inquinati da un modo di comportarsi ideologico che 
 vuole la guerra, la violenza, la separazione. Israele 
 rifiuta uno Stato ai Palestinesi e questi rispondono con i 
 kamikaze", sono rimasta ammutolita.
 E lo sono ancora di più ora, dopo la sentenza del giudice di 
 L’Aquila che estromette dalle aule scolastiche il 
 Crocefisso, in nome di una laicità dello Stato (sempre e 
 solo sulla “carta”, tranne che nei Paesi buddhisti), 
 impossibile da realizzarsi, persino in Francia, dove i 
 contrasti tra lo Stato e i musulmani integralisti, sono 
 sempre sulla cresta dell’onda, mai addivenendo ad una 
 soluzione pacifica. Con un seguito politico- ideologico che, 
 considerata la debolezza della nostra classe parlamentare, 
 si appresterà ad accettare le proposte di Adel Smith che 
 ultimamente ha dichiarato che non è contrario al Crocefisso 
 nelle aule scolastiche, purché vi si aggiungano simboli 
 islamici (Cfr. La Stampa, 30 ottobre 2003).
 L’incresciosa vicenda ha suscitato un putiferio in Italia e 
 l’attenzione della stampa internazionale, dove si parla 
 addirittura che “In Italia si rischia la guerra 
 religiosa” (sul quotidiano arabo Al Sharaq Al Awsat 
 egiziano).
 Sicché Gesù di Nazareth, simbolo universale del dolore umano 
 e della povertà più assoluta, ancora una volta “muove” le 
 acque stagne del perbenismo, consumismo e tutto ciò che 
 attualmente finisce in “ismo” e fa affermare al giurista 
 Giuliano Vassalli che “E’ in atto una crociata musulmana, 
 essendovi centrali musulmane che stanno organizzando una 
 penetrazione profonda in Europa, volta a capovolgere la 
 nostra società” (Cfr: Il Giornale, 29 ottobre 2003, p.3).
 l’ombra o il 
 richiamo al nome di Dio
 In tanti conflitti, tuttora aperti, si può vedere l’ombra o 
 il richiamo al nome di Dio: dai terribili avvenimenti 
 dell’11 settembre alla guerra mediorientale, insensata se 
 non fosse reale, che dura da mezzo secolo.
 Lungo il bacino 
 mediterraneo non manca il retroterra religioso in tanti 
 dissidi, anche all’interno della stessa comunità osservante. 
 I Balcani hanno una dura esperienza del combattimento tra 
 serbi e albanesi musulmani . In Bosnia questo ha condotto a 
 una reislamizzazione dei bosniaci nello scontro con i serbi 
 e nel confronto con i cattolici croati, anche per affermare 
 la propria identità nazionale voluta da Tito. Inoltre non 
 sfugge che l’Islam è un riferimento in molti contrasti tra 
 correligionari. Avviene nelle società arabe a partire 
 dall’Algeria, un tempo cuore di un nazionalismo arabo laico: 
 i movimenti islamisti dai molti volti attaccano il potere 
 costituito (Cfr: M. Giro – M. M.Impagliazzo, Algeria in 
 ostaggio, Milano 1997).
 Ma anche lontano dal Mediterraneo 
 non sono assenti incidenti con taglio religioso: tra azeri e 
 armeni, tra russi e ceceni.
 Nell’Est asiatico la motivazione 
 religiosa si ritrova nei conflitti delle Filippine e in 
 quelli – come nella banda di Aceh- dell’Indonesia, il più 
 grande Paese musulmano del mondo, retto da una particolare 
 forma di neutralità religiosa, il panchasila (Cfr: V. S. Naipaul, Fedeli a oltranza, Milano 2001). Oggi si tratta 
 apertamente di guerra di religione.
 Lo si è fatto, ad 
 esempio, nel lungo conflitto libanese. Dopo l’11 settembre 
 si disserta di più di religione e si prova a spiegare tanto 
 con le religioni, così che non pochi intellettuali ribattono 
 l’inevitabile deriva violenta delle religioni monoteistiche 
 con la loro pretesa esclusivistica della verità. Dieu est-il 
 fanatique? (Cfr:Jean Daniel, Dieu est-il fanatique?, Paris 
 1996), guidano al conflitto. Altri, affermano che solo la 
 laicità consente la convivenza pacifica tra le religioni, le 
 quali, altrimenti, sarebbero giunte al combattimento (B. 
 Spinelli, Il sonno della memoria, Milano 2001).
 D’altra 
 parte, studiosi, credenti, autorità religiose, dichiarano 
 che la pace, non la guerra, è il messaggio dei monoteismi, 
 riferendosi ai testi sacri e ad altro.
 Guerra di religione 
 come destino inevitabile
 o pace in nome di Dio?
L’autore de 
 "Il Dio degli eserciti", Peter Partner, scrive: “non ci sono 
 mai state guerre sante combattute per motivi esclusivamente 
 idealistici e quella storiografia che stabilisce nella 
 purezza d’intenti il criterio di definizione di una guerra 
 santa si basa su metodi di un mal riposto moralismo” (Cfr. 
 Peter Partner, Il Dio degli eserciti, Islam e Cristianesimo, 
 le guerre sante, Torino 1997, p. 336). Eppure la fede 
 religiosa è tanto mischiata nel motivare il consenso, nel 
 consolidare il pregiudizio, nel promuovere un’identità 
 conflittuale. Allora, la contesa su Dio dovrebbe essere 
 spostata sul terreno più appropriato di “Scontro tra 
 civiltà” (Cfr. S. Huntington, The Clash of Civilisations and 
 the Remaking of World Order, Simon & Schuster, 1996, trad. 
 it. con il titolo Lo scontro delle civiltà, Milano, 
 Garzanti, 1997), , tra i poteri di uno sull’altro, sul 
 terreno dell’asservimento di un gruppo a quello che ha più 
 autorità economica, sociale e così via?
 Da sempre, la storia 
 umana è connotata anche da un’incredibile violenza delle 
 religioni: le Crociate e le guerre europee di religione 
 ormai sono entrate nell’immaginario mondiale. 
 Se si considera solo la seconda parte del secolo XX, ci si 
 accorge che la violenza interreligiosa nel mondo si è 
 diffusa enormemente.
 Violenza fra indù e musulmani in India, 
 fra buddhisti e indù nello Sri Lanka, fra cristiani e 
 musulmani nelle Filippine, in Indonesia e nella ex 
 Jugoslavia, violenza tra cristiani in Irlanda, fra ebrei e 
 musulmani in Medio Oriente, fra buddhisti e cristiani in 
 Birmania… 
 Il mondo è in guerra. Quando si dice ‘guerra’, si pensa al 
 Medio Oriente o al massimo, a ‘Enduring Freedom’, la 
 campagna contro il terrorismo lanciata dagli Stati Uniti 
 dopo l’11 settembre. Ma questi sono solo i conflitti più 
 seguiti dai mass media. Invece, gli scenari di guerra 
 censiti oggi nel mondo sono ben 142.
 In questi, raramente vi sono cause puramente religiose. 
 Esistono sempre moventi socioeconomici e politici al fondo. 
 La religione li giustifica e vi inserisce sue proprie 
 ragioni.
 E allora, per capirne qualcosa, è necessario conoscere la 
 genesi della violenza religiosa.
 Naturalmente, il mio elenco sarà parziale. Ciascuno 
 l’arricchirà con le sue informazioni.
 la genesi della 
 violenza religiosa:
 1) La difesa dell’identità personale- sociale
 Una delle radici della violenza religiosa è la ricerca 
 dell’identità sociale. Le nostre identità sono socialmente 
 costruite. Gli individui diventano coscienti di quello che 
 sono attraverso l’interazione con altri individui 
 significativi, a cominciare dai genitori, dai fratelli, dai 
 familiari, dai vicini. Allo stesso tempo, costruiscono anche 
 un’identità sociale mediante l’interiorizzazione delle 
 strutture simboliche su comunicazione e relazione attraverso 
 il linguaggio e il rituale. Il ciclo della vita e i riti 
 delle stagioni contribuiscono, in particolare, alla 
 costruzione del gruppo. Le cerimonie di iniziazione possono 
 svolgere un ruolo significativo in un momento cruciale dello 
 sviluppo personale. Queste sono costitutive della cultura. 
 L’individuo appartiene a un gruppo che si distingue in 
 contrapposizione ad altri gruppi: “Noi” contro “Loro”. 
 Gli psicologi sostengono che, quando ci sono due gruppi, 
 questi si guardano non solo come diversi, ma come 
 competitivi, nemici e inferiori. Tale atto si basa sul 
 sentimento di “appartenenza al gruppo” contro lo “stare 
 fuori dal gruppo”. Non c’è lo sforzo di conoscere l’altro, 
 da cui discende , poi, l’ignoranza e i preconcetti. 
 Codesti impulsi rimangono smorzati in tempi di normalità, ma 
 si aggravano in momenti di tensione per un qualunque motivo 
 e le disgreganti idee fondanti l’holding sono ancora più 
 rafforzate dalla religione. I simboli religiosi si 
 interessano delle prospettive ultime e, come tali, toccano 
 livelli più profondi di identità personale e di insieme. Le 
 liturgie sacre rinsaldano l’appartenenza. 
 Il culto è una solida forza di associazione. Un gruppo può 
 sentirsi scelto da Dio e detentore di una rivelazione 
 speciale o può attribuirsi un’esperienza particolare delle 
 cose ultime. Gli altri, allora, possono essere visti come 
 entità che mettono in questione o minacciano la speciale 
 relazione, particolarmente se rivendicano una differente 
 esperienza del divino. In una situazione di frizione, le 
 persone tendono a proiettare nell’altro i propri mali e 
 problemi. In un contesto religioso, questo miscuglio di 
 sentimenti/ risentimenti può generare la demonizzazione dei 
 diversi.
 2) Comunanza religiosa
 I conflitti fra i gruppi sorgono quando essi sono forzati a 
 condividere lo stesso spazio geografico, economico e 
 politico. Tale prossimità implica una questione di potere: 
 chi controlla la situazione, chi domina. La necessità di 
 soggiogare sembra essere un’esigenza basilare degli esseri 
 umani, in quanto animali politici. Il controllo politico, 
 tuttavia, diventa cruciale quando, nella sfera economica c’è 
 competizione a causa di risorse limitate. Gli individui, 
 allora, considerano indispensabile l’appoggio 
 dell’insieme(clan, tribù, gente…). Esso, naturalmente, sarà 
 il più forte perché ha Dio al proprio fianco e i suoi 
 vincoli sono più saldi di quelli di un gruppo di classe.
 La credenza, allora, diventa comunione. Essa consiste 
 nell’uso politico dell’identità religiosa del gruppo. Le 
 persone che vi appartengono, sono portate a pensare di 
 condividere anche gli stessi interessi economici e politici.
 L’effettiva guerra può cominciare nelle sfere economica e 
 politica, giustificate dalla religione, così che facilmente 
 i simboli religiosi sono assaliti. In questi casi, 
 coinvolgendosi nei conflitti economici e politici, ne 
 diventano il loro “scudo”. Non è da escludere che nel gruppo 
 possono esserci persone tangibilmente religiose, capaci di 
 percepirne la prepotenza e che poi assumono, di conseguenza, 
 una posizione critica per dirigere verso il bene gli 
 appartenenti alla comunità.
 Di fatto, in ogni gruppo, si trovano i profeti, che 
 condannano gli abusi e tentano di incanalare la religione 
 verso la pace, che è, innanzitutto, rispetto dei diritti 
 umani e attuazione della giustizia.
 3) Fondamentalismo 
 religioso
 Spesso, la religione può diventare causa di divisione e di 
 conflitto. In ognuna, vi sono gruppi fondamentalisti.
 Fondamentalisti sono i difensori di quegli elementi che essi 
 definiscono le basi della loro religione, quando sentono che 
 sono avversati. 
 Il fondamentalismo cristiano è sorto negli Stati Uniti, ai 
 primi del secolo XX°, quando alcuni cristiani sentivano le 
 loro credenze minacciate dalle emergenti teorie 
 scientifiche, come quella dell’evoluzione delle specie, 
 proposta da Charles Darwin, considerata una pura visione 
 naturalistica del mondo che non aveva bisogno di Dio. 
 Pensavano che essa criticasse, direttamente, il racconto 
 biblico della creazione. Difendevano la loro fede religiosa 
 mediante un’interpretazione letterale della Bibbia. Essi, 
 più tardi, posero la loro attenzione e la loro azione contro 
 il comunismo, considerato come propagatore di ateismo. 
 L’opposizione al comunismo è il nucleo della costruzione di 
 quella grande macchina da guerra che sono oggi gli Stati 
 Uniti. Anche prassi di morale liberale come la 
 rivendicazione dell’aborto, hanno attirato la loro ira.
 Esiste una corrente fondamentalista simile anche nell’Islam.
 Molti fra i moderni riformatori dell’Islam si sono opposti 
 tanto all’ateismo secolarista, promosso dalla cultura 
 consumistica dell’Occidente rappresentato degli Stati Uniti, 
 quanto all’ateismo marxista delle potenze comuniste. Alcuni 
 di essi hanno promosso un’interpretazione letterale del 
 Corano. 
 Purtroppo, i conflitti fondamentalisti sono diventati comuni 
 da quando le due correnti cultural-religiose sono state 
 appoggiate l’una dal dominio politico-militare delle 
 potenze occidentali guidate dagli Stati Uniti, l’altra dal 
 blocco comunista, condotto dall’ex Unione Sovietica. 
 Ecco che le ostilità sono diventate non solo religiose, ma 
 anche politiche e militari. Guerriglie e attacchi 
 terroristici sono le “armi del debole” e la violenza verrà 
 sempre legittimata come autodifesa.
 L’esclusivismo religioso può essere considerato una forma 
 lieve di fondamentalismo. Gli intolleranti pensano che la 
 loro religione sia l’unico mezzo di salvezza. 
 Di conseguenza, sono anche universalisti o globali. Si 
 sentono responsabili della salvezza di ogni persona. Un 
 sentimento di tal genere, li spinge a “salvare” gli altri, 
 se necessario, con la forza. 
 Oggi, però, l’aggressività non è solo politica, sociale, 
 economica ma anche dei media e dei mezzi che interagiscono, 
 senza alcun rispetto per il singolo, nel campo della 
 comunicazione.. 
 Nel passato, l’Islam e il Cristianesimo non hanno esitato ad 
 usare la frenesia militare, naturalmente, per il bene ultimo 
 del popolo.
 4) Violenza 
 religiosa
 Il potere della religione è, spesso, cooptato per 
 legittimare il conflitto.
 Di per sé, il fondamentalismo 
 religioso non sembra divenire violento, a meno che non sia 
 mescolato con fattori politici e con interessi economici non 
 tanto occulti. 
 Si potrebbe dedurre che le religioni, in se stesse, sono 
 promotrici di pace, personale e sociale. Invece, esse sono 
 molto ambigue su questo punto.
 Un acuto scrittore francese, René Girard (cfr: Renè Girard, 
 Il capro espiatorio, Adelphi, Milano 1987), scrive che la 
 violenza è alla fonte della religione. La sua tesi è 
 semplice. C’è una tendenza umana di base a desiderare di 
 avere quello che hanno le altre persone, cioè l’imitazione. 
 Uno è pronto ad usare la brutalità contro un persona diversa 
 allo scopo di appropriarsi di quello che l’altro possiede. 
 In una comunità, questa tendenza alla violenza reciproca è 
 proiettata su un capro espiatorio - una persona più debole o 
 uno straniero - che a questo punto è morto.
 L’atto di violenza aiuta la comunità a purificarsi della sua 
 propria aggressività. 
 Nel cristianesimo, Dio in Gesù, attraverso l’offerta di se 
 stesso come capro espiatorio e la ritualizzazione della sua 
 offerta nell’Eucaristia, libera dalla necessità di scovare 
 altri capri espiatori, da ulteriore violenza e dalla colpa 
 conseguente. 
 Ciò dimostra quanto facilmente la crudeltà possa essere 
 giustificata e assunta dalla religione.
 In realtà, le religioni iniziano come ricerca di una qualche 
 soluzione al problema del male, in quanto sofferenza 
 immeritata, considerata una punizione del peccato, 
 attribuito solo agli umani, non a Dio. 
 Tuttavia, il peccato pare essere così smisurato che la 
 maggioranza delle religioni sente la necessità di un potere 
 maligno come Satana che tenta e provoca gli umani. 
 Satana può, infine, essere vinto da Dio. Il conflitto fra il 
 bene e il male è costante, ed assume forma storica, umana e 
 sociale. La lotta è diretta contro quelle persone e 
 strutture che sono identificate come agenti di Satana in 
 questo mondo. La violenza contro di esse non solo è 
 accettata, ma pure incoraggiata. 
 E così che una “guerra giusta”, scivola verso una “guerra 
 santa”: una jihad, una crociata, una rivendicazione, un 
 gesto terroristico…
 Le Scritture delle varie religioni sono dense di guerre. 
 L’Antico Testamento narra, principalmente, quelle del popolo 
 di Dio contro i suoi nemici. Spesso, al lettore smaliziato 
 del nostro tempo, sembrano umanamente ingiustificabili. 
 L’elezione e il favore di Dio sono l’unica spiegazione. Il 
 Nuovo Testamento riferisce della lotta fra Gesù e Satana. 
 Tuttavia alla fine è Gesù che soccombe. La sua morte è 
 interpretata come una punizione per i peccati dell’umanità.
 L’induismo ha le sue guerre epiche fra le forze del bene e 
 del male, nel Ramayana e nel Mahabharata (famoso il film di 
 Peter Brook. dallo stesso nome che alla Mostra del cinema di 
 Venezia, anni fa, riscosse un plauso internazionale).
 Nel Corano, Maometto è a capo di un esercito, anche se 
 l’ultima battaglia in difesa della Mecca si è svolta in modo 
 non violento. 
 Solo nel buddhismo il contrasto fra il bene e il male è 
 inteso come travaglio morale, interiore. Perciò Buddha 
 sceglie la via mediana fra l’ascetismo rigoroso e 
 l’indulgenza. Sebbene i buddhisti siano violenti quanto gli 
 altri, non possono citare il loro fondatore o i suoi 
 insegnamenti per sostenere la loro aggressività. Di fatto, a 
 livello mondiale, escogitano varie strategie per il dialogo 
 interreligioso e le vie pratiche per la pace.
 Pertanto, le religioni, tranne il buddhismo, demonizzano il 
 nemico e giustificano la violenza, e persino la 
 incoraggiano. I difensori delle guerre giuste sono molto 
 attivi, anche oggi: in Palestina, in Iraq, in molti Paesi 
 africani… Basta vedere in TV o leggere i giornali.
 5) Violenza 
 sacrificale
 Un altro principio religioso sembra giustificare la 
 violenza. 
 Escluso il buddhismo, le religioni trattano del sacrificio.
 Nella loro storia, si aggira un fantasma che si estende dal 
 sacrificio umano al sacrificio “spirituale”. Si disserta di 
 sacrifici nel contesto del peccato, della colpa e della 
 propiziazione. Esso è un’oblazione di se stesso, è l’offerta 
 della propria vita che simbolicamente si dona mediante la 
 donazione di altre vite, cioè quelle di animali. Essa è 
 simbolizzata dal sangue, sicché il sacrificio implica 
 assassinio e violenza. Il giainismo, in India, il buddhismo 
 e alcune forme di induismo hanno abolito i sacrifici 
 cruenti. Ma lo hanno fatto ponendo l’enfasi sull’auto-realizzazione (spesso con l’inazione, fino alla consumazione 
 della persona), attraverso la meditazione in cerca della 
 liberazione definitiva. Tali fedi non accennano a un Dio che 
 necessita ingraziarsi o che si deve soddisfare con l’offerta 
 di sacrifici. I cristiani non hanno abbandonato il 
 linguaggio votivo nella comprensione della redenzione 
 realizzata da Gesù. La proposta di se stesso come un segnale 
 d’amore ha un senso profondo, ma si deve liberare da 
 qualunque concetto di riparazione o soddisfazione che 
 implichi la sofferenza come punizione.
 6) Le religioni per 
 la pace
 Sebbene le religioni possano, in molti modi, provocare la 
 violenza, dispongono dei mezzi anche per ispirare la pace: 
 Shalom!, Salam!, Shanti! 
 Esattamente in quanto religioni, nel processo di radicamento 
 in un determinato luogo, tendono a inculturarsi e a 
 giustificare strutture socioeconomiche e politiche già 
 esistenti. In esse, però, alcuni dei loro praticanti seri, 
 sfidano l’ingiustizia e la violenza in nome dell’Ultimo (poveri, malati, affamati, ecologicamente deprivati di un 
 ambiente sano per la crescita…). Senza farsi troppe 
 illusioni, sulle strutture economiche e politiche che 
 saranno sempre guidate dal profitto e dal potere. 
 Anche quelle che giustificano la violenza propongono sempre 
 la pace come loro scopo. Come possono nella pratica 
 promuovere la pace, se non sono in pace tra di loro?
 7) Un atteggiamento 
 positivo
     nei confronti delle altre religioni
 Prima del Concilio Vaticano II, il cristianesimo si 
 considerava l’unico mezzo di salvezza e l’unica vera 
 religione (ma ciò viene predicato anche oggi da nostalgici 
 del passato). Le altre credenze erano semplicemente false. 
 L’erroneità non può rivendicare nessun diritto. Di 
 conseguenza, laddove i cristiani erano maggioranza, i membri 
 di altre religioni erano, nella migliore delle ipotesi, 
 tollerati, senza pieni diritti. Nella peggiore, erano 
 perseguitati, come gli ebrei. Dove era possibile, li si 
 privava delle loro terre e inseriti nella Chiesa a forza, 
 come, per esempio, è successo in America Latina. Solo le 
 culture ricche e le religioni evolute dell’Asia riuscirono a 
 resistere all’aggressione.
 Nel Concilio Vaticano II, è stata affermata la libertà 
 religiosa.
 Le persone hanno diritto di seguire la religione 
 secondo la loro coscienza. Questa libertà non è basata sulla 
 “bontà” delle religioni, ma sulla dignità di cui ogni 
 persona umana, per i credenti, gode essendo creata a 
 immagine di Dio.
 In secondo luogo, c’è stato un approccio 
 più positivo verso le altre religioni. Dio è visto come 
 origine e destino comune di tutti i popoli: si riconoscono 
 nelle altre fedi, stimate come sforzi umani per giungere a 
 Dio, elementi di bontà e di santità, i semi della Parola. I 
 cristiani sono incoraggiati a dialogare con loro. Insieme 
 all’apertura verso le altre religioni c’è stata anche una 
 energica affermazione della volontà salvifica universale di 
 Dio. Ogni essere umano ha la possibilità di partecipare del 
 mistero pasquale di Cristo, mediante l’azione dello Spirito, 
 pur attraverso cammini sconosciuti agli intelletti umani.
 Dopo il Concilio, il progresso teologico ha incoraggiato una 
 valutazione più positiva delle altre religioni, dicendo che 
 le persone sono salve nelle e attraverso le loro religioni e 
 non malgrado esse. I vescovi asiatici, infine, hanno 
 affermato che, per giudicare i frutti della santità, 
 necessita riconoscere l’azione di Dio nelle altre religioni.
 Un atteggiamento positivo di tal genere nei confronti delle 
 altre religioni, ha ricevuto il sigillo “ufficiale” quando 
 Giovanni Paolo Il ha invitato i leader delle religioni a 
 riunirsi ad Assisi per pregare per la pace nel mondo 
 nell’ottobre 1986 (ed oggi altri incontri per il dialogo 
 interreligioso come quello che si sta svolgendo a Roma, sono 
 continui. Cfr: La Stampa, 30 ottobre 2003) .
 Purtroppo, i conflitti cruenti e violentissimi persistono 
 nel mondo, senza che si possa prospettare una situazione 
 “fraterna”. Intanto le religioni sono chiamate a dialogare, 
 a correggersi mutuamente e ad arricchirsi nella loro vita 
 verso il Regno (per i credenti, è ovvio) Ma tutti concordano 
 sul fatto che c’è bisogno, oggi, di dialogo fra i credenti 
 delle differenti religioni, non di conflitto. 
 Questo dialogo deve verificarsi non semplicemente a livello 
 religioso, ma anche a livello sociale e politico, dove tutti 
 sono chiamati a collaborare nella promozione della 
 giustizia, della solidarietà e della pace nel mondo. 
 8) Quale dialogo?
 La Chiesa, diversamente da altre religioni come l’induismo o 
 il buddismo o lo stesso Islam, è una istituzione molto ben 
 organizzata. In questo senso, quello che i suoi leader 
 dicono è accettato sul serio. Però spesso, si usa un doppio 
 linguaggio. Da un lato, il Papa invita i capi delle altre 
 religioni a riunirsi in preghiera per la pace. Dall’altro, 
 il Vaticano taccia le altre religioni di essere 
 obiettivamente deficienti (Cfr: Dominus lesus della 
 Congregazione per la Dottrina della Fede), senza ricordare 
 che è difficilissimo giudicare gli altri in questioni di 
 religione. E’ da supporre che ogni credente pensi che la sua 
 religione sia la migliore. Non è da trascurare la questione 
 che, genericamente, nella pratica missionaria, si continua 
 con un atteggiamento e un linguaggio aggressivo, con echi di 
 una crociata religiosa. Proclamare ad altri uomini dotati di 
 libertà che hanno una loro propria esperienza di Dio, la 
 buona novella che Dio ha comunicato ai cristiani, è 
 possibile solamente in forma di dialogo, tenendo conto della 
 loro esperienza del divino. A volte, ci si domanda perché 
 chi si mostra severo nell’imporre la propria versione del 
 cristianesimo in Oriente o nel Sud non dimostra lo stesso 
 tipo di zelo nel tentativo di convertire le popolazioni 
 scristianizzate del Nord e dell’Occidente, le quali 
 progressivamente sembrano non credere più in nulla.
 Le persone serie, rispetto al dialogo interreligioso, non 
 dicono che tutte le religioni sono la stessa cosa o sono 
 tutte uguali. Si dialoga non con le religioni, ma con le 
 persone. I sistemi e le istituzioni religiose, hanno i loro 
 limiti. Hanno bisogno di essere sfidate, profeticamente, per 
 convertirsi.
 Non aiuta guardare il bene che è in noi, in 
 teoria, e il male negli altri, in pratica. Se si crede che 
 lo Spirito di Dio è presente in ogni parte, si deve 
 discernere la sua presenza attentamente e non emettere 
 giudizi a priori sul piano di Dio per gli esseri umani, 
 basandosi sulla sua esperienza “occidentale”. E’ anche 
 impossibile cercare un denominatore comune intorno al quale 
 unificare le religioni. Le religioni sono differenti. Dio è 
 libero di dire parole differenti a popoli differenti. Per 
 questo il dialogo fra le religioni può essere arricchente 
 per tutti.
 Del resto nella Bibbia c’è scritto: 
 Quando il Dio Altissimo assegnò ai popoli la terra,
 quando distribuì gli uomini nel mondo,
 segnò i confini delle nazioni
 e diede a ognuna un dio protettore (Deuteronomio 32, 8)
 Quindi gli elementi nella soluzione di un qualsiasi 
 conflitto sono la restaurazione della giustizia e il 
 rispetto degli altrui credi.. Le autorità sudafricane, al 
 ritorno della democrazia dopo anni di apartheid, 
 costituirono la Commissione di Verità e Riconciliazione 
 (Cvr), un’esperienza che ha propiziato un clima favorevole a 
 certe proposte.
 I conflitti interreligiosi sono spesso provocati da fattori 
 economici e politici. Le proprietà di alcuni vengono 
 distrutte e altri ne beneficiano. Anche l’ordine politico è 
 violato. In tale situazione, non si può parlare di soluzione 
 di conflitti senza restaurazione della giustizia. Giustizia 
 non significa vendetta: occhio per occhio, vita per vita. 
 Non si tratta di giustizia del vincitore, come è successo 
 con il processo di Norimberga dopo la Seconda Guerra 
 mondiale. Non si rimette indietro l’orologio della storia.. 
 Per questo la Cvr ragionava di giustizia restauratrice in 
 opposizione alla giustizia retributiva.
 9) Il dialogo della 
 vita
 Come assumere azioni preventive, al fine di scongiurare i 
 conflitti nel futuro? Come si può superare l’identità di un 
 gruppo che si oppone ad un altro?.. 
 Come si può superare l’identità conflittuale e come può 
 essere promosso un senso di convivenza civile?
 E’ sicuro che 
 le differenze di identità, specialmente a livello religioso, 
 non possono essere abolite. Pertanto, si deve creare una 
 coscienza del fatto che, nella società contemporanea, 
 realmente si vivono molteplici identità. Si appartiene a 
 differenti gruppi in differenti momenti della vita: gruppi 
 di convivenza, professionali, ricreativi, culturali…
 Di questi alcuni possono essere scelti volontariamente. Uno 
 dei gruppi che, in certo modo, coinvolge tutti gli altri, ci 
 riunisce come cittadini di un Paese. Come cittadini si 
 condividono certi interessi economici e politici. Lo Stato 
 dovrebbe essere una struttura neutra, che non favorisce 
 nessun gruppo in particolare. A un altro livello, ogni 
 gruppo possiede e ricerca identità e interessi propri, senza 
 nuocere i legittimi interessi degli altri. Ma, tra questi 
 due livelli, esiste una società civile dove le diverse 
 religioni e gruppi ideologici si impegnano in una 
 discussione attiva al fine di convergere su obiettivi 
 comuni, per quanto ogni insieme si basi sulle sue proprie 
 prospettive religiose e culturali.
 Tale dialogo è condotto 
 in gruppi di discussione, sui media, nelle università, nei 
 quartieri, nelle famiglie, in Internet..
 Il fatto di incontrare gli altri in un contesto sociale, 
 culturale e politico, rende capaci di scoprirli in quanto 
 esseri umani, non identificati esclusivamente nei termini 
 della religione che praticano. Il contatto aiuta a 
 conoscerli e a coltivare relazioni di amicizia. Ciò induce a 
 liberare e a sperimentare una solidarietà ad un livello 
 umano più profondo che trascende le divisioni religiose. 
 Vivere insieme in una stessa area geografica, frequentare la 
 stessa scuola o club, lavorare nello stesso ufficio può 
 aiutare a raggiungere questo scopo. 
 Ma ciò non sarà automaticamente. Le circostanze possono 
 riunire, però vanno compiuti sforzi positivi per conoscersi 
 mutuamente, per relazionarsi. 
 Il contatto umano personale può, infine, spingere anche a 
 comprendere alcuni elementi della credenze e della pratica 
 religiose degli altri, in modo che i pregiudizi nei loro 
 confronti possano essere ridotti, se non eliminati, così 
 che, a un livello sociale, si partecipi a feste e 
 celebrazioni gli uni degli altri, dialogando con la vita.
 Dove iniziarlo?
 Nella scuola, dove agli studenti vengono presentate le varie 
 religioni, i loro fondatori, le storie e le dottrine, le 
 loro feste e le loro specifiche pratiche, le loro opzioni 
 politiche e morali. Questa presentazione potrebbe includere 
 i testi e la letteratura, le opere d’arte e i luoghi di 
 culto, i simboli e i rituali, sostenere le somiglianze, così 
 come le differenze, in un contesto di dialogo, per una 
 fusione di orizzonti e di arricchimento reciproco. Si spera 
 che le conclusioni convergano sull’azione. L’interazione 
 interreligiosa è sempre esistita nella storia, pur essendo 
 polemica. Il confronto intellettuale porta sempre alla 
 chiarificazione e alla crescita, prima o poi.
 L’incontro interreligioso conduce alla riforma interna e al 
 cambiamento. 
 Nel XIX° secolo, vi sono stati molti movimenti di riforma 
 nell’induismo, dopo l’incontro con il cristianesimo. 
 L’atteggiamento cristiano rispetto alle altre religioni sta 
 subendo una radicale trasformazione a motivo del suo meeting 
 con l’induismo e il buddhismo. L’Islam, per esempio, ha 
 generato il sufismo devozionale quando ha gareggiato con la 
 religiosità popolare e il misticismo dell’India e dell’Asia.
 10) Quale domani?
 Circa l'influenza positiva/negativa della religione sulla 
 salute mentale, le ricerche in ambito psicologico dicono che 
 il 47% evidenzia un influsso positivo, il 23% un influsso 
 negativo e il 30% delle ricerche non hanno trovato alcuna 
 relazione tra religione e salute mentale.
 E’ ovvio che anche lo psicologo necessita di 
 contestualizzare la religione del singolo individuo 
 all'interno della rete di riferimenti linguistici, 
 culturali, sociali, etnici entro cui il sistema simbolico 
 religioso trova espressione e alimento. La parola con cui 
 l'uomo dice Dio sorge al crocevia tra l'evoluzione 
 storico-culturale e il processo individuale di crescita 
 delle competenze "linguistiche" e di "dazione di senso". E' 
 chiaro però che un atteggiamento così personale come quello 
 verso la religione (sia l'adesione di fede o il rifiuto 
 della credenza) richiede che i risultati vengano sempre 
 verificati, il che significa porre particolare attenzione ai 
 processi individuali ed alle storie personali entro cui 
 viene strutturandosi ed evolvendo l'atteggiamento religioso 
 e all'interazione dei vissuti "religiosi" con gli altri 
 vissuti e fattori di personalità. 
 Considerando, infine, che le religioni (eccetto il 
 buddhismo) credono in Dio e nessuna religione è realmente 
 politeista, il più profondo incontro tra le religioni può 
 avvenire alla Sua presenza. 
 Nell’ottobre del 1986 e nel gennaio del 2001 (e in 
 tantissimi altri incontri), le varie religioni si sono 
 riunite ad Assisi per pregare per la pace. Per quanto non 
 abbiano pregato insieme, hanno riconosciuto e rispettato la 
 preghiera le une delle altre. Decenni prima, in India, il 
 Mahatma Gandhi promuoveva la preghiera interreligiosa come 
 mezzo di promozione della pace e dell’amicizia 
 interreligiosa. 
 Gruppi praticanti diversi leggevano le proprie scritture, 
 cantavano i propri inni e pregavano. L’atteggiamento dei 
 differenti fedeli presenti variava dalla presenza rispettosa 
 alla partecipazione attiva, secondo i tipi di simbolo 
 adoperati. 
 Se si riconoscesse che si prega l’unico Dio, allora si 
 sarebbe capaci di relativizzare ed entrare nelle strutture 
 simboliche di diversificate religioni, purché non si ponga 
 l’accento sullo specifico dei propri miti, fede e storia. 
 Nel corrente processo, ogni religione scopre la differenza 
 con i pertinenti simboli e significati, accettandone la 
 convergenza di senso mediante un suo pluralismo. 
 E’ bellissimo che la preghiera interreligiosa sta diventando 
 comune, attualmente, in Asia.
 Vi è poi, un’apertura simile ai livelli più alti.
 Da alcuni 
 decenni, i cristiani si sono interessati ai metodi di 
 meditazione dell’induismo e del buddhismo. 
 Molti, infatti, praticano Yoga e Zen. Alcuni non vanno oltre 
 l’uso delle loro tecniche per raggiungere la pace interiore. 
 Ma altri tentano di toccare le profondità dell’esperienza 
 alle quali questi metodi conducono. Gli esperimenti e le 
 esperienze di alcuni pochi mostrano come le frontiere che 
 separano le religioni non sono tanto impermeabili come i 
 loro devoti immaginano. 
 Per concludere, le religioni sono per le persone e per la 
 loro vita nel mondo; le persone non vivono per la loro 
 religione.
 E, tanto per non dimenticare, ai cristiani sarà chiesto da 
 il loro fondatore, Gesù, non
 a quale Dio le persone hanno reso culto, ma se hanno servito 
 il povero e il bisognoso (Mt 25). 
 Dio non è esclusivista; le persone e le loro religioni sì.
 Maria De Falco 
 Marotta
 
 (x)
 (x) Giornalista, collaboratrice di 
 "Dimensioni Nuove" e di vari giornali on line, autrice di testi tra 
 cui "Verso una globalizzazione etica?" (Elledici, Leumann 
 Torino, 2002) e "Religioni Culture Dialogo" (Edusc, Roma, 2003).
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