NON VEDO, NON SENTO, NON PARLO
 
Riceviamo e pubblichiamo:
“NON VEDO, NON SENTO, NON PARLO”: PER LE STRAGI AMERICANE 
 BASTANO LE TRE SCIMMIETTE
 Tra i mille luoghi comuni che puntellano l’apertura di credito 
 di cui gode il meccanismo della cosiddetta “informazione”, in 
 Italia ve ne sono alcuni di particolarmente sottili, 
 consolidatisi grazie all’abitudine a non porsi domande sulle 
 questioni di fondo, per un più comodo lasciarsi trascinare dal 
 torrente dell’attualità, e quindi ad accettare le cose così come 
 ci è sempre piaciuto sperare che fossero.
 Pochi si danno da fare per uscire da questo circolo vizioso, per 
 paura di fare il salto più lungo della gamba e di ritrovarsi 
 senza “certezze” rassicuranti. Ad essere obiettivi, anche chi 
 cerca “informazione alternativa” lo fa per una sorta di gusto ad 
 atteggiarsi a quello che la sa lunga, senza che a ciò 
 corrisponda alcuna realtà esistenziale. Si legge o si naviga per 
 siti “alternativi” per dirsi che si è più furbi degli altri e 
 per disporre di qualche argomento sbalorditivo da sfoderare a 
 cena con gli amici.
 Vediamo la questione degli “inviati speciali”, coloro che 
 dovrebbero essere uno di quei fiori all’occhiello che scavano il 
 classico fossato tra professionismo e dilettantismo nei mass 
 media.
 La maggior parte della gente è convinta che non appena accade 
 qualcosa d’importante in giro per il mondo, dai giornali e dalle 
 tv che contano - con i soldi che ci spillano tra canone e 
 pubblicità (attenti che paghiamo anche la seconda) - venga 
 sguinzagliato all’istante un branco d’inviati speciali 
 espertissimi e assetati di verità.
 Innanzitutto bisogna iniziare a chiedersi che cos’è un fatto 
 importante, meritevole di copertura “informativa”.
 Un fatto importante è ad esempio che gli Stati Uniti continuino 
 da mesi a bombardare l’Afghanistan, dopo che Kabul è stata 
 “liberata”. Ma laggiù non c’è alcun “inviato speciale” 
 dall’Italia. Importante nell’importante è che l’altro giorno 
 abbiano fatto fuori in un attimo un bel po’ di gente, parenti e 
 amici, che si era riunita per festeggiare un matrimonio. Ma 
 figuriamoci se da Roma o Milano mandano qualcuno nel sud 
 dell’Afghanistan.
 Trenta, quaranta, cento, centoventi: una strage d’innocenti, 
 questo è poco ma sicuro.
 Visto che tanto nessuno può opporre smentite, la strage diventa 
 un’occasione per ripassare il condizionale dei verbi ausiliari: 
 “bombardamenti statunitensi avrebbero provocato almeno 120 morti 
 o feriti”, “sarebbe stata colpita per errore una festa di 
 matrimonio”, “un contrattacco americano [loro non attaccano mai 
 per primi, N.B.], con ricorso a B52, avrebbe fatto ‘perdite’ tra 
 i civili”.
 Se addirittura della gente ammazzata mentre faceva festa si 
 trasforma in ‘perdite’ (scritto virgolettato), si può finire per 
 raccontare che in fondo tutto è stato inventato di sana pianta!
 Gli americani ammazzano solo “per errore”? Mi sta bene, allora 
 mia nonna è un carretto con le ruote, come dicevano dalle mie 
 parti. A Panama vi renderete conto che mia nonna non è un 
 carretto con le ruote.
 Stavolta si sono aggrappati alla storia secondo cui qualcuno, 
 sparando in aria come si fa a Napoli, avrebbe traviato un 
 “irriflessivo” pilota americano. Per non parlare di chi ha 
 scritto che “qualcosa non ha funzionato”: ci mancherebbe altro 
 che tutto “funzionasse” mentre si fanno a brandelli famiglie 
 intere.
 Se avete buona memoria, vi ricorderete di quando, un paio di 
 giorni dopo la “liberazione” di Kabul, venne trucidata la 
 colonna di capi clan che stava recandosi lì per la Loya Jirga, 
 l’assemblea dei notabili. Anche quella volta Kharzai, il 
 consulente della Unocal impaludato dagli americani con l’abitino 
 panneggiato da “Presidente” dell’Afghanistan, si sbracciò ai 
 quattro venti per rassicurare sull’istituzione di “commissioni 
 d’inchiesta”. Qualcuno ha mai letto i documenti prodotti da 
 quelle “commissioni”? Non è che faceva comodo la scomparsa di 
 quei personaggi?
 Ma se in Italia è successo quel che è successo dopo il Cermis, 
 figuriamoci in Afghanistan. Ad “indagare” (vedasi la voce 
 “insabbiare”) ci penseranno i “consiglieri” della base americana 
 di Bagram, intervistati quali testimoni super partes (!) dalla “Cnn-Verità”, 
 i quali hanno escluso che i morti siano più di tre o quattro.
 Il giornale di Joseph Goebbels, intervistando i responsabili 
 della Luftwaffe sui bombardamenti delle città spagnole, avrebbe 
 svolto un lavoro più obiettivo.
 Che poi i morti siano cento oppure tre o quattro, non ci si dà 
 pena di definirlo: tanto sono ignoranti, barbuti, cenciosi nei 
 loro burqa‘, infidi e turbolenti per natura, mica persone 
 oneste, pulite, educate, sensibili, coscienti di sé, con storie 
 di famiglie e affetti come quelle morte a New York. Lì, poi, 
 chissà con che sbobba stavano gozzovigliando, mica il 
 celeberrimo tacchino del Thanksgiving Day.
 Che gli americani non considerino tutti i morti (né civili né 
 militari) allo stesso modo, questo è ormai assodato, se solo si 
 avesse voglia di leggere la politica estera americana senza gli 
 occhiali della retorica hollywoodiana. Ma il fatto grave è che 
 anche molti tra coloro che si nutrono di “controinformazione” si 
 indignano, si sorprendono di quest’atteggiamento spocchioso, 
 sperano in chissà quali “prese di coscienza” da parte degli 
 americani. Eh, ma una volta che ci si mette a fare i numeri uno 
 nell’hit parade dei gusti del (loro) Padreterno puritano bisogna 
 essere coerenti, e gli americani lo sono. Sono semmai i “non 
 prescelti” che – proprio perché non sono affetti dalla fisima 
 dell’“elezione” – sottovalutano questo dato e sperano che questi 
 qua siano recuperabili per un discorso di convivenza pacifica 
 tra i popoli. Almeno nei limiti del possibile, che non sono 
 certo quelli di un endemico stato di aggressione verso 
 l’esterno. Sì perché loro hanno una “missione di civiltà” da 
 compiere e da imporre, altro che discorsi da “anime belle”.
 Chi sta al gioco come l’Italia fa “carriera”, ma svende l’anima 
 e perde ogni dignità. E’ per questo che l’Italia sta nel G8 e un 
 colosso come la Cina no. Il regime partitico collaborazionista 
 italiano sa anche quali sono le regole del giornalismo, quindi 
 non manda i suoi inviati dove non deve mandarli perché a fare e 
 a disfare ci pensa lo Zio Sam con la regola delle tre scimmiette, 
 mentre li manda dove è invece bene che ci siano perché devono 
 curare alla perfezione le versioni da diffondere. Come in 
 Palestina, dove incompetenti che non sanno una parola d’arabo 
 rendono familiare la disperazione dei parenti dei morti 
 israeliani nei ristoranti di Gerusalemme e di Tel Aviv. Talvolta 
 saltati in aria mentre festeggiavano un matrimonio.
 L’americanizzazione penetra ormai nel profondo dell’anima: 
 facendo mostra di un’ipocrita compassione a comando, gli 
 “inviati” italiani prenotano un cantuccio accanto al Padreterno 
 americano.
Enrico Galoppini
GdS 8 VII 2002
