La vicenda Unipol mi è piombata addosso al rientro dall’estero: un trauma

di Mario Segni

Sono stato due settimane
all'estero, come ti avevo accennato nella lettera precedente, e
la vicenda Unipol mi è piombata addosso al rientro. Quando sei
all'estero, anche se qualche giorno riesci a leggere "Il
Corriere", le questioni italiane arrivano attutite, lontane. E
quindi tornare e immergersi in una Italia dilaniata dallo
scandalo è stato un trauma. Non entro nel merito: avrai letto
decine di articoli, di commenti, di indagini su registrazioni,
cene, colloqui segreti. Ti voglio dire la mia prima reazione,
quella che mi ha messo dentro più amarezza e più rabbia.

Le responsabilità politiche dei DS (mi auguro che non ce ne
siano di penali) sono enormi. Fassino pensa di giustificarsi
dicendo che ha solo "fatto il tifo per Consorte". Ma il
segretario di un partito non è un privato cittadino che la
domenica va allo stadio a tifare per Totti o Del Piero. Avere
tifato per Consorte significa avere politicamente appoggiato
l'iniziativa, con tutto quello che c'era dentro; significa avere
chiuso gli occhi per molti mesi su Fazio per non disturbare la
scalata alla BNL; significa non essersi accorti, o meglio non
essersi voluti accorgere, che in una vicenda delicatissima si
privilegiava l'interesse di partito su quello dello Stato;
significa che è più che mai viva l'antica concezione comunista
per cui il partito è il fulcro di una macchina che deve occupare
più spazio possibile nella società.

E tuttavia non è questa la cosa che trovo più grave, o almeno
quella che mi ha colpito come un pugno nello stomaco. La cosa
più sconvolgente è che questa vicenda è il trionfo dell'inciucio.
Le due carovane, quella che puntava alla BNL e quella che
scalava l'Antonveneta agivano d'accordo, si aiutavano
vicendevolmente. Apparentemente si appoggiavano una a destra e
l'altra a sinistra, Fiorani parlava con Berlusconi e Fassino
telefonava a Consorte. Ma nei fatti il progetto era unitario: la
banda dei furbetti assaltava due banche per poi conquistare il
"Corriere della Sera, le Generali, forse Telecom: mezza Italia
insomma. Questa avventura aveva appoggi da ambedue le parti. E
non era possibile che ambedue le parti non sapessero che anche
"gli altri" erano coinvolti.

Questo significa che l'asse D'Alema - Berlusconi è vivo, e
continua ad essere uno dei veri perni della politica italiana.
Non voglio dire che siano stati loro gli strateghi; credo anzi
che vi siano stati portati dentro da alcuni furbetti. Quello che
vedo è che l'asse scellerato nato ai tempi della Bicamerale,
quando D'Alema patteggiava sulla giustizia e sul conflitto di
interessi in cambio di altre riforme, continua ad essere una
realtà, un costume. Dentro ambedue i Poli è diffusa l'idea che
in fondo in fondo su tante cose è meglio mettersi d'accordo. E
quelle tante cose non sono i principi fondamentali e le regole
istituzionali, ma la spartizione del potere e qualche volta gli
affari.

La seconda repubblica ha ereditato questa male dalla prima,
quando negli anni bui della peggiore corruzione tutti i partiti,
di governo e di opposizione, si spartivano la torta e spesso le
tangenti. Era un frutto della partitocrazia imperante, e si
innestava su una vecchia e sciagurata degenerazione italica. E'
contro questo che abbiamo fatto i referendum; è contro questo
che abbiamo portato l'Italia al bipolarismo, nella speranza che
la competizione aperta tra i due blocchi li spingesse alla
competizione aperta, non al furbesco accordo sotterraneo.

Per questo la vicenda Unipol mi brucia quanto il ritorno alla
proporzionale. Significa che il male che abbiamo combattuto, e
che in certi momenti credevamo di avere debellato, è più vivo
che mai e si è reinserito profondamente nella vita pubblica di
oggi, come un virus che attraverso le mutazioni resiste ai
farmaci più forti.

Conclusione amara a più di dieci anni di distanza dalle vittorie
referendarie. Ma ricordiamoci bene che questo ci deve portare
rabbia, disperazione, ma mai rassegnazione. Questa è una
battaglia che non si abbandona mai.
Mario Segni


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