IL CONFLITTO DI INTERESSI. IL NODO RAI. TARALLUCCI E VINO?

Dice un antico adagio che il meglio che ci si può aspettare dalle vacanze è che non succeda niente (di male naturalmente). E in queste vacanze l'auspicio si è realizzato. Il mondo quindi è andato avanti come al solito, e l'Italia, sempre come al solito, un po' mediocremente. Di argomenti di cui parlare ce ne sarebbero un'infinità. Ma ne voglio riprendere uno che è vecchio e stravecchio, ma che in questi giorni si presenta in modo un po' diverso.

Parlo del conflitto di interessi. Se hai seguito questa newsletter e la mia azione politica di questi anni sai come la penso: lo considero un problema gravissimo, una delle ragioni che ha portato alla sconfitta politica (non elettorale) del centro destra. Mi aspetto che questa maggioranza affronti il tema, e non mi stupisco se il dibattito è già incandescente. Ma dico subito che il centro sinistra ha affrontato in modo sbagliato il problema, e che questa partenza mi fa nascere tanti dubbi sulla bontà delle conclusioni, o addirittura sulla possibilità di andare sino in fondo.

Questo enorme problema ha due aspetti: il primo attiene al vero e proprio conflitto di interessi, cioè alla necessità che esistano regole che vietano che l'uomo di governo possa decidere su materie che toccano suoi interessi personali. Si badi bene che occorre assicurare non solo che l'uomo pubblico non approfitti del suo potere, ma anche che non abbia il potere di decidere su cose che lo riguardano. L'uomo non va messo in tentazione, e soprattutto bisogna tenere rigorosamente distanti la sfera pubblica e quella privata. La vita pubblica deve essere trasparente, e deve essere garantito che chi vi è immerso si occupa, appunto, solo di cose pubbliche.

Ma c'è un altro punto che nella specifica situazione italiana è strettamente connesso, ed è quello dell'informazione. Se il caso Berlusconi ha posto tanti problemi non è solo per la connessione di interessi diversi, ma perché le imprese di Berlusconi riguardavano un settore che tocca da vicino il cuore della politica e la formazione del consenso, e cioè l'informazione. E che, soprattutto quando il centro destra ha vinto, la concentrazione in una sola mano del potere televisivo pubblico (RAI) e di quello privato (Mediaset) mettevano in forse il pluralismo dell'informazione, pilastro insostituibile della democrazia. Su questo si incentrò il messaggio di Ciampi e la posizione del Parlamento europeo (cui diedi anch'io un contributo).

Ma questo ha una precisa conseguenza: che se si vuole davvero porre una seria garanzia per ciò che riguarda il pluralismo, non basta affrontare la questione delle tv private di Berlusconi: bisogna sciogliere il nodo RAI, cioè di un ente pubblico che ha tuttora una fortissima presenza, tre reti e quasi la metà degli ascolti, e che nonostante la grande professionalità di tanti giornalisti, ha sempre avuto e continua ad avere una ferrea dipendenza dai partiti: è cioè uno dei campi in cui si scatena con la massima voracità la peggiore partitocrazia.

Vogliamo andare più in là e dire brutalmente le cose come stanno? Poiché la Rai, dopo l'iniziale predominio democristiano, è stata per anni feudo politico e culturale della sinistra, l'ascesa delle tv berlusconiane è stata da molti percepita come una sorta di riequilibrio di un sistema informativo fortemente squilibrato. E in una certa misura così è stato. E' stato solo dopo l'avvento al potere di Berlusconi che i benpensanti si sono accorti che l'equilibrio era casuale, e che vigendo la legge della giungla era fatale che prima o poi il più forte si impadronisse di tutto.

Insomma il mostro da combattere è il duopolio, cioè un assetto che dà a due gruppi il 95% della pubblicità, che vede spesso collusioni aziendali alla faccia dell'interesse generale, come è spesso accaduto nel mondo del calcio, e che naturalmente peggiora quando capo del governo e proprietario delle tv private coincidono: ma che non è affatto risolto quando Berlusconi va all'opposizione, perchè sino a che la RAI è dominata dai partiti e quindi dal governo, nessuno ci garantisce che la situazione non si ricrei, magari con uno schema diverso: e cioè, tanto per fare un esempio, con Berlusconi che vende a Murdoch che appoggia un governo di sinistra (come capita in Inghilterra). E quindi con una nuova concentrazione, questa volta dalla parte opposta.

Per risolvere il problema in modo serio non c'è che da sciogliere il nodo RAI con un taglio netto, rompendo il potere dei partiti. Ad esempio, azzerando tutto, e dando a un organo terzo il potere di nomina del Consiglio di amministrazione. E poi, dopo questo, ma solo dopo questo, affrontando la questione dei limiti del duopolio, magari limitando a due le reti di ciascuno, e aprendo gli spazi per altre voci.

Ma è alle porte una riforma di questo genere? Non ne vedo l'ombra. Il partito RAI mi pare sempre fortissimo, soprattutto a sinistra, e si intravede una prospettiva che è la più semplice, ma anche la peggiore: che la sinistra si limiti a mettere i suoi uomini alla testa dei telegiornali e lasci tutto come sta. E che sia rimandato alle calende greche il sogno di una informazione veramente obiettiva, completa, seria, che sarebbe un enorme contributo di civiltà.

C'è un giornalista che da anni conduce su questo tema una battaglia spesso solitaria. E' Giovanni Valentini, che scrive su Repubblica, che con la stessa franchezza con cui ha denunciato le anomalie di Berlusconi ha indicato lo scandalo della RAI partitocratrica e le contraddizioni della sinistra. Il guaio è che è solitario, e che pochi hanno il coraggio di dire queste cose.

Andrà a finire ancora una volta a tarallucci e vino? Spero di no, ma francamente in questo caso non si può proprio dire che il buon giorno si vede dal mattino.

Mario Segni

Mario Segni
Politica