SENZA UNA BUONA SCUOLA IL FUTURO NON PUÒ CHE ESSERE GRIGIO

La preparazione scolastica dei giovani è un tema che tocca da vicino l'Europa, preoccupata di non stare al passo coi tempi: senza una buona scuola il futuro non può che essere grigio e sancire un declino europeo. D'altronde una scuola che sia veramente formativa non ha soltanto ricadute concrete sul livello culturale delle generazioni future, sullo sviluppo scientifico e tecnologico: essa contribuisce infatti a formare la personalità dei giovani, può renderli attivi anziché passivi, entusiasti anziché disillusi, desiderosi di fare anziché di assistere o consumare. Ma la scuola è oggi in grado di stare al passo con la società in cui viviamo? Un punto critico riguarda il divario che esiste tra la scuola, percepita come un'istituzione in ritardo coi tempi, e la realtà, in particolare quella scientifico- tecnologica. Negli ultimi decenni i ritmi dell'innovazione scientifica sono stati incalzanti e la realtà si è modificata in modo talmente veloce che i tradizionali strumenti di analisi segnano spesso il passo e che spesso la filosofia e l'etica rincorrono la scienza. Sino alla fine degli anni Cinquanta le conoscenze scientifiche erano abbastanza statiche, durature nel tempo: poi si è verificata una vera e propria esplosione che, soprattutto in ambito biologico ha dapprima portato alla conoscenza dei meccanismi genetici e poi alla possibilità di modificarli, di produrre organismi geneticamente modificati, addirittura di micro-organismi sintetici vale a dire forme di vita artificiale. Nel campo delle neuroscienze, altro settore trainante, le conoscenze sul cervello hanno portato a una cascata di ricadute cliniche e applicative come ad esempio la neuroeconomia. Di fronte a questa esplosione di innovazioni, che certamente non segnerà il passo nei prossimi anni, la scuola potrebbe adottare due strategie: quella di rincorrere le nuove conoscenze e tentare di impartire nozioni sempre più specialistiche ai ragazzi oppure insegnare un nucleo di nozioni fondamentali e puntare a formare la mente dei giovani. Mentre il primo approccio è destinato a fallire, come ogni eccessivo specialismo scolastico, il secondo rappresenta la strategia da seguire: è fondamentale che la scuola fornisca un metodo, una chiave di comprensione della realtà e anche un approccio empirico. È infatti difficile affrontare un problema se mancano metodo e logica, se non si sa ragionare. In quest'ambito non vedo alcun contrasto tra le cosiddette due culture: se un ragazzo non sa esprimersi correttamente in italiano, se non sa passare dalla parola orale a quella scritta, se non si orienta nei problemi logici, potrà essere un esecutore ma certamente non una persona colta in grado di saper scegliere. Nel bagno mediatico in cui siamo oggi immersi i ragazzi possono essere raggiunti da tante informazioni ma spetta alla scuola formarli, insegnare un metodo, una capacità di analizzare e scegliere, di esporre quanto osservato.

La nostra scuola manca inoltre di empirismo, è troppo astratta, il che dimostra il suo scollamento in un mondo in cui i ragazzi dovranno confrontarsi con un crescente numero di tecnologie. Ma l'acquisizione di capacità manuali e la pratica empirica non hanno soltanto un aspetto di servizio: esse contribuiscono a formare attitudini analitiche, concretezza e fiducia in sé stessi a partire dalla scuola dell'obbligo, anche in quanto molti ragazzi sono portati verso la concretezza e si sentono frustrati da approcci essenzialmente teorici. Alcuni di questi ragazzi andrebbero poi indirizzati verso settori più in linea con le loro inclinazioni. Una buona scuola e una buona università sono il volano dell'innovazione scientifico-

tecnologica: e se l'Italia rinuncia a produrre innovazione le conseguenze saranno sempre più serie in quanto il Paese sarà ancor più dipendente, addirittura poco in grado di comprendere cosa scegliere: se infatti non si hanno competenze in materia è difficile compiere scelte e decisioni, come d'altronde è avvenuto in passato per il nucleare o per alcune innovazioni nel settore della zootecnia o in quello agro- alimentare. Il problema, come ben sappiamo, è la mancanza di risorse:

ma investire nella scuola significa investire nel futuro, anche puntando sulla qualità dei docenti e su incentivi economici.

Mario Pulimanti

Mario Pulimanti
Politica