PRODI UNO ERA UN “SIGNOR GOVERNO”. PRODI DUE NO

Il Premier avrebbe dovuto e potuto osare di più

Dieci anni fa, quando Prodi fece il suo primo governo, Paolo Mieli scrisse sul "Corriere" che si trattava di un "signor governo". Aveva ragione. Quel governo, che aveva Ciampi all'Economia e Napoletano all'Interno, si rivelò davvero un signor governo facendo entrare l'Italia nell'euro.

Non credo che domani Mieli potrà scrivere la stessa cosa. Perché quello che è appena nato non mi pare, con molta franchezza, un "signor governo". Intendiamoci, alcune persone sono di valore, la nomina di Padoa Schioppa è ottima, i politici ai quali sono stati affidati i Dicasteri maggiori, Interno, Esteri e Difesa, sono di tutto rispetto. Ma il governo paga un dazio pesantissimo alla frammentazione della maggioranza, che la scellerata legge elettorale proporzionale ha esacerbato. Il manuale Cencelli è tornato in auge, anzi forse sarebbe stato opportuno chiamare ufficialmente il dottor Cencelli, che a quanto so milita nella Margherita, a verificare la esatta applicazione delle sue regole e ottenere una patente di conformità. Credo che derivi da questo la spartizione di Ministeri che erano stati unificati, come le Infrastrutture e l'Economia. Il danno di immagine è forte. Ma temo che i danni al funzionamento saranno maggiori. Perché è tornata in vigore con brutalità la prassi delle delegazioni di governo, che per la verità erano già rinate nella scorsa legislatura. D'Alema non entra al governo solo come Ministro degli esteri e vice premier. Vi entra anche come capo della delegazione DS, cioè come unico rappresentante autorizzato a parlare a nome del partito di maggioranza della coalizione che esprime ben otto ministri. In nome di tutto questo intende affermare una specie di diarchia nel governo, affermare implicitamente (ma presto lo farà esplicitamente) che si tratta di un Prodi - D'Alema, e forse domani di un D'Alema - Prodi.

Non è tutta colpa di Prodi, beninteso, anche se penso che avrebbe dovuto e potuto osare di più. E' che è rinato un clima partitocratrico spaventoso, che la classe politica è sempre più prigioniera di schemi del passato, visto che ormai i partiti tradizionali appartengono al passato e non torneranno più E' questo il punto che mi duole di più, perché significa che a distanza di quindici anni dai referendum elettorali, la partitocrazia, il nostro grande avversario, che sembrava allora avere ricevuto un colpo mortale, è rinata e anzi vive una nuova stagione di fulgore. E significa che la battaglia di allora, fatta di campagne istituzionali e battaglie politiche, va ripresa subito.

Su questo, assieme a un bel gruppetto di politici e giuristi (Salvati, D'Amico, Morando, Occhetto. Guzzetta) avevo chiesto un segnale, che sarebbe stato anche una garanzia di comportamento: la nomina di Barbera a ministro delle Riforme Istituzionali. Un grande politologo come Panebianco si era subito unito a noi giudicando "perfetta" l'eventuale nomina di Augusto. Non ci siamo mai fatti molte illusioni sapendo che la forza degli apparati avrebbe prevalso, e così è avvenuto. In realtà il Governo non ha scelto un altro Ministro per le Riforme: non ha nominato nessuno. Può anche essere un bene, visto che in passato i Ministri hanno fatto più che altro pasticci. Ma questo significa, mi pare, che in questa grande partita delle riforme il governo non intende entrare.

Se è così è bene saperlo da prima. Dovremo fare da noi. Ancora una volta è solo dal basso, dai cittadini, che può venire la spinta. Abbiamo due armi in mano: il referendum Guzzetta contro la legge elettorale e l'idea della Costituente. Le giocheremo sino in fondo. Stiamo preparando un documento il cui significato, grosso modo, sarà "devolution no, Costituente sì". Lo pubblicizzeremo la settimana prossima. Ti dico subito che se ti troverai d'accordo ti chiederò un'adesione e una battaglia.

Mario Segni

Mario Segni
Politica