IL VOTO COME UNA CONQUISTA E LA PARTECIPAZIONE COME UN DOVERE CIVICO

Molti amici mi chiedono di non andare a votare e mi suggeriscono di prendere in questo senso una posizione pubblica. Per lo più si tratta di amici che negli anni 90 si sono impegnati a fondo nel movimento referendario. Il loro ragionamento è semplice: abbiamo fatto una lunga battaglia per dare al cittadino il vero potere di scegliere il suo rappresentante, abbiamo ottenuto l'elezione diretta del sindaco, del Governatore, il collegio uninominale per deputati e senatori. In due referendum gli italiani si sono pronunciati a favore a larghissima maggioranza. Ora un colpo di mano parlamentare ci ha scippato questo diritto, obbligandoci a votare su liste preconfezionate dai partiti, e quindi non abbiamo alcuna possibilità di scegliere le persone da mandare in Parlamento. Per il 90% le Camere sono già fatte. Perchè dobbiamo avallare con il voto questa orgia partitocratica? Meglio rifiutarsi, non andare a votare, e dirne pubblicamente il motivo.

Dico subito che si tratta di un ragionamento nobile, dettato da uno sdegno giustissimo e da una vera preoccupazione per la cosa pubblica, e di una logica stringente. Ma non sono d'accordo. E ne spiego i motivi.

Che la controriforma elettorale sia una cosa indegna non c'è bisogno di spiegarlo. L'ha detto Calderoli, uno degli autori, definendola "una porcata". Il giorno dopo decine di deputati del centro destra si sono affrettati a chiarire che loro non l'hanno votata, che hanno presentato emendamenti, che l'hanno subita.... Mai si era vista una classe politica rinnegare dopo tre mesi un proprio provvedimento. Il motivo è evidente. Ancora l'opinione pubblica non ha avvertito il mutamento, ma man mano che si renderà conto di essere stata spogliata di un diritto elementare, quello di scegliere le persone, vi sarà una reazione crescente. Meglio allora prendere le distanze, dire a tutti "io non c'ero". Scoperto col dito nella marmellata il monello dice che non era lui. Aggiungo che il danno non è solo la lista bloccata. Ancora più grave è la spinta alla frammentazione e l'ingovernabilità che ne deriverà. Per chi non lo sapesse ciascuna delle due coalizioni è composta da diciassette partiti. Chi ricorda i tempi del pentapartito, in cui l'esistenza di cinque segretari di partito obbligava a continui patteggiamenti, verifiche, lottizzazioni, può immaginare lo scenario della prossima legislatura. E a chi pensasse che questo è un problema accademico, ricordo che un governo rissoso e un parlamento frammentato non saranno mai in grado di affrontare i durissimi problemi che abbiamo davanti, dalle tasse ai prezzi alti, dalle università alle opere pubbliche.

Ma personalmente trovo un ostacolo insormontabile. Ho sempre considerato il voto come una conquista e la partecipazione come un dovere civico. Ho considerato pericoloso e sbagliato invitare alla astensione, come si fa pubblicamente da parecchi anni ai referendum. Continuo a pensarlo. Non posso quindi prendere una posizione diversa. E non credo comunque che il non voto risolverebbe il problema.

Ma naturalmente chi mi ha posto il problema, e tutti quelli che non si rassegnano a questa vergogna, hanno il diritto di chiedermi che fare. Rispondo che il gruppetto che fu il comitato promotore dei referendum non è rimasto con le mani in mano. Abbiamo iniziato a contattare i candidati che nel prossimo Parlamento sono decisi a battersi per cancellare la legge. Ma soprattutto abbiamo individuato il modo di proporre un nuovo referendum, che non risolverebbe tutti i problemi ma cancellerebbe alcune ignominie. Se riusciremo a organizzarlo, i cittadini potranno di nuovo pronunciarsi e decidere. Si aprirebbe la strada alle primarie, lo strumento più forte per garantire la scelta dei cittadini. Sull'onda di una vittoria referendaria diventerebbe possibile un'Assemblea Costituente, che Luca di Montezemolo ha invocato l'altro giorno a Vicenza. Per delineare una strategia abbiamo organizzato un primo incontro pubblico per il 12, subito dopo le elezioni.

Insomma gli strumenti ci sono. Il referendum può essere di nuovo il grimaldello per scardinare la cittadella della partitocrazia. Ma tutto questo vale se si ricrea un clima di speranza, di cambiamento, di partecipazione. Se la gente avverte che il ritorno della partitocrazia, delle lottizzazioni, della corruzione non è inevitabile e se vogliamo possiamo ribellarci. Disperso tra i vari schieramenti, o più spesso lontano dalla politica, c'è un pezzo di Italia che non si rassegna. Si tratta di riorganizzarlo, di compattarlo, di dargli modo di esprimersi. E' un cammino lungo e difficile, lo so. Ma è possibile. E comunque non ce ne è altro.

Mario Segni

Mario Segni
Politica