Guerra. E adesso gli USA presentano il conto. Anche noi dovremo passare alla cassa per dare il nostro obolo. Salato.

di Red


LA
MACCHINA DEL DOPO. C
HIACCHIERE

Mentre gli arsenali si svuotano di missili e bombe
stupidamente chiamate “intelligenti, che alacremente le
fabbriche lavorano per rimpiazzare – non c’è però una
fabbrica che riesca a “rimpiazzare” mariti, mogli, figli,
genitori delle vittime, quale ne sia la nazionalità -, e
mentre è arrivato il redde rationem e militare e politico, è
parallelamente in moto “la macchina del dopo”.

Su diversi fronti.

Quello internazionale (ONU, NATO, Europa, Paesi Arabi),
quello politico (l’apparato che dovrà sostituirsi al regime
e al Partito Bath), quello del business (ricostruzione,
contratti petroliferi).

Tantissime chiacchiere, anche in casa nostra, in questo o
quello schieramento.

Perché chiacchiere?

Perché il dopo lo deciderà comunque l’Amministrazione Bush,
ascoltando anche Blair, ma fino a un certo punto, come
dimostrano le dichiarazioni che vengono da oltre Atlantico.
Dichiarazioni ufficiali, non opinioni della o sulla stampa.
Ultima in ordine di tempo quella del Vicesegretario alla
Difesa, analista molto acuto e di grande esperienza ma
“falco” tra i falchi. Secondo lui “la Francia deve pagare un
prezzo per il suo atteggiamento”.

Posizioni che lo scorso 5 aprile (intervista su “La Stampa”)
hanno fatto dichiarare al sen. Andreotti, che è uno che di
politica mondiale se ne intende e che è sempre stato
misurato nelle parole ed in particolare sulle vicende
internazionali: ''L'Europa stia attenta alla scuola dei duri
che sembra al momento prevalere negli Stati Uniti''.
Andreotti auspica che in Iraq, dopo la guerra, vi sia ''un
Capo che muoia di morte naturale, cosa mai accaduta nella
storia di quella Nazione''. ''Può darsi che in un primo
tempo vi sia un governo militare alleato, come del resto
accadde in Italia alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Ma credo che senza un apporto politico sarà difficile tenere
unito tutto l'Iraq''.


RICE: IL DOPO SADDAM? COSA
NOSTRA


Il consigliere per la Sicurezza nazionale Rice, - un bel
caratterino come un’altra donna sul versante opposto, il
Premier svedese che, rivolta agli amglo-americani,
lapidariamente a Bruxelles ha detto “sono loro che hanno
fatto i danni, siano loro a ripararli” – ha messo le cose in
chiaro: “ Gli Stati Uniti rivendicano il diritto di assumere
il ruolo principale nell'immediato dopoguerra in Iraq. “Sono
loro e i loro alleati ad aver dato vita e sangue” alla
campagna per rovesciare Saddam Hussein. Per lei gli iracheni
parteciperanno al processo di ricostruzione sin dal primo
giorno, anche se bisogna vedere come. Il ruolo sembra
peraltro definito: ministri e sindaci americani, irakeni
come consulenti al fianco, meglio dire sotto.

ONU gli aiuti umanitari

Per quanto riguarda l'ONU dovrà pensare alla distribuzione
degli aiuti umanitari. L’aria che tira, riferita da molti
ben introdotti, è molto chiara. Distribuire gli aiuti, un
compito gravoso per la capillarità che è richiesta e
considerato quanti sono gli irakeni, e magari anche qualche
rischio connesso, sta bene, ma nient’altro. E così l’ONU,
organismo politico garante del diritto internazionale, viene
ridotta ad agenzia “tecnica”. Realisticamente si possono
anche comprendere gli americani, sotto un certo profilo,
visto e considerato che è la prima volta che gli USA,
costretti al Palazzo di Vetro a subire le decisioni altrui,
hanno deciso di saltare l’ONU. Saltata prima, fatta la
guerra per conto proprio, non sono certo disponibili a
rimettere ora, quando dopo l’osso arriva la polpa, la
questione in mano agli altri. Al massimo ci sarà qualche
concessione, ma eminentemente di facciata.


NATO a
presidiare l’Irak


Esperti militari hanno fatto presente che l’occupazione
militare dell’Irak potrà richiedere un triennio e i 200.000
uomini ipotizzati non bastano. Facile pensare cosa vuol dire
questo: costi altri e rischi non da trascurare. Ed ecco la
pensata di chiedere alla NATO che partecipi a questo
presidio. Alla scontata freddezza della risposta francese a
Powell si è però aggiunta la freddezza anche di Aznar, già
in declino di popolarità in Spagna per le sue posizioni, un
declino che rischierebbe di diventare una caduta libera con
l’invio di consistente truppe spagnole e allocazione in
bilancio di altrettanto consistenti spese militari.
Presumibilmente sarà allargata la presenza di molti Paesi in
funzione di ordine pubblico e compiti collaterali, visto che
da qualche giorno già operano al sud gli spagnoli, molto ben
accolti dalla popolazione, certo molto di più che non
americani e inglesi (un alto ufficiale americano ha usato
l’aggettivo “terrificante” per definire l’impatto dei
bombardamenti sulle forze militari irakene. Fedeli seguaci
di Saddam o anche oppositori i familiari di queste migliaia,
tante, di morti non saranno affatto grati a chi li ha
liberati da Saddam…).

La notizia che gli Stati Uniti hanno chiesto a 65 Paesi di
fornire contingenti per l’ordine pubblico è sintomatica e si
aggiunge all’elenco di valutazioni incomplete o errate della
vigilia.


ITALIANI IN IRAK


La prima notizie era che, NATO o non NATO, circa 500 soldati
italiani dovrebbero essere inviati in Irak. Poi dovrebbe
continuare la missione in Afghanistan ed essere rafforzata
quella nei Balcani, entrambe per sostituire americani da
destinare all’Irak. Ora abbiamo 8000 nostri militari in
varie parti del mondo, di cui 6000 nella vecchia Yugoslavia
e 1400 in Afghanistan. Già spendiamo per questo oltre 100
miliardi di vecchie lire al mese. Dovremmo aggiungerne,
andando bene, almeno altri 150, e per un periodo previsto
breve ma che breve non sarà.

Poi è venuta l’altra, dell’invio di 1000 carabinieri,
probabilmente del Tuscania, su richiesta sia degli USA che
di altri Paesi Arabi che degli italiani si fidano. Bisognerà
mandarli, e presto, per ragioni umanitarie, di un tipo
particolare. L’anarchia del post-Saddam non è governabile
dagli USA. Non è mestiere per i falchi, oggi dominanti a
Washington.


FRANCIA, GERMANIA E SIRIA AL BANDO


Il Congresso USA ha votato all’unanimità e, inconsuetamente
e significativamente per alzata di mano, la messa al bando
di Francia, Germania e Siria dagli appalti per la
ricostruzione nell’Irak.

Al di là dell’aspetto economico, che poi con l’andar del
tempo in qualche modo i business-men troveranno il modo di
aggiustare, la decisione è politicamente gravissima. Non si
tratta solo di una sorta di dichiarazione di guerra
economica, come taluni hanno interpretato, ma metter sullo
stesso piano Paesi NATO, sia pure con la posizione
particolare della Francia, e la Siria è un fatto destinato a
rivoluzionare gli equilibri, non solo i rapporti USA-Francia.


PAGARE, PLEASE


ONU ridotta a fare assistenza, NATO scombussolata, Europa
non considerata come soggetto politico, questa la sintesi
delle posizioni espresse in questi giorni.

Non basta. Arriva, per la verità non senza nostra sorpresa,
l’invito a passare alla cassa.

I Paesi del G7 dovranno aiutare l'America a sostenere le
spese per l'Iraq.

L'auspicio arriva autorevolmente dal Segretario del Tesoro
statunitense, John Snow. Snow ha annunciato l'intenzione di
parlare con i ministri finanziari dei sette Grandi a margine
dell'incontro di primavera del Fmi e della Banca Mondiale in
programma a Washington la prossima settimana.'Vogliamo
assicurarci che gli altri Paesi ci aiutino, ha spiegato Snow.

In effetti in occasione della Guerra del Golfo gli Stati
Uniti se l’erano cavata molto bene, oltre i quattro quinti
delle spese essendo loro state rimborsate dagli altri Paesi,
e con il vantaggio derivato per le loro aziende belliche. Ma
c’era il piccolo particolare che la guerra l’aveva decisa
l’ONU.

Questa volta non è così.

E’ evidente anche la ratio della novità. Ci sarebbe stato da
pensare che l’aiuto venisse richiesto ai 45 Paesi che Bush
aveva definito d’accordo con gli Stati Uniti, sia che
partecipassero con forze proprie, sia che non partecipassero
alle operazioni belliche. Scorrendo l’elenco dei 30 Paesi
nominati - per 15 era rimasto il riserbo evidentemente per
non esporre i rispettivi Governi a rischio con le loro
opinioni pubbliche -, si vede che per parecchi di loro c’è
poco da mungere. Di qui questo bussar cassa agli altri sei
Paesi del G7, ovvero a quattro di essi più la Francia e la
Germania appena messe al bando dal Congresso americano.

IL
NUOVO GOVERNO


Dicono in tanti che deve essere l’ONU ma si veda la
dichiarazione, riportata dianzi. E’ già pianificato tutto, o
quasi. L’incertezza non dipende da scelte ancora da fare
sulla sostanza bensì dalle poltrone. A Capo del Governo è
già stato indicato il generale Garner, di cui abbiamo
pubblicato nel numero scorso il curriculum fornito dal
giornale inglese Observer: “"Presidente della SY Coleman,
una industria d' armamenti con sede in Virginia, filiale di
una azienda di componenti elettronici che fornisce
assistenza tecnica per il sistema dei missili Patriot,
utilizzati in Iraq. La SY Coleman ha anche lavorato al
sistema difensivo antimissile Arrow".

Parallelamente vi sarà un’Autorità militare per il cui
comando era stato indicato il gen. Abizaid, che quantomeno
conosce l’arabo essendo arabo di origine, ma che ora si dice
toccherà al Comandante in capo della forza d’invasione gen.
Franks.

La realtà è che anche su questo argomento Pentagono e
Dipartimento di Stato, cioè Rumsfeld e Powell litigano mica
male, ciascuno avendo le sue idee. Di stampo rigidamente
militare il primo, più attento alle esigenze politiche il
secondo. Gli osservatori non mancano poi di far rilevare
come a latere di questo problema di linea ci sia anche un
aspetto più prosaico, e cioè i grandi appalti per i lavori
di ricostruzione e magari anche i contratti petroliferi.

Per il Times di Londra il Pentagono ha stabilito che dovrà
essere il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, ad
approvare personalmente ogni candidato a partecipare a
questa amministrazione.

Per il New York Times Rumsfeld è intervenuto duro annullando
l'incarico ad una serie di candidati del dipartimento di
Stato che erano già in zona operazioni pronti ad entrare in
funzione

Fra questi l'ex ambasciatore in Sudan, Timothy Carney,
designato per il Ministero dell’Industria; l’ex ambasciatore
in Tunisia Robin Raphael designato Ministro del Commercio,
", l'ex ambasciatore del Qatar, Kenton Keith designato
Ministro degli Esteri. Anche una donna, l'ex ambasciatrice
nello Yemen, Barbara Bodine, designata Sindaco di Bagdad

Comunque i punti fermi ci sono già: 23 Ministri, tutti
americani, ciascuno dei quali con quattro irakeni come
“consulenti”. Vedremo Blair cosa riuscirà a fare, visto che
si è impegnato per un ruolo attivo dell’ONU. Dall’incontro
con Bush in Irlanda è uscito abbastanza a mani vuote

Le poltrone comunque sono tante. Solo per le più importanti
c’è da pensare a dare una guida a 15 Governatorati e 4
Regioni autonome, alle città, agli altri centri, e poi a una
serie di Amministrazioni, compresa naturalmente quella a cui
farà capo la produzione petrolifera.

«Il motivo più importante per il quale Powell dovrebbe
dimettersi -ha scritto Bill Keller in un recente editoriale
pubblicato dal New York Times- è che il presidente ha scelto
una politica estera che ripudia gran parte delle linea in
cui crede il segretario di stato...nella fattispecie il suo
rifiuto della dottrina dell'idealismo arrogante».

Il guaio vero di tutto questo è che le decisioni della Casa
Bianca sono state adottate sulla base delle previsioni da
parte di coloro che disdegnavano le opinioni “della vecchia
Europa”, dimostratasi in realtà “la saggia Europa”.

E
L’ITALIA?


Il dopo-Saddam: non dobbiamo pagare un euro.

Il Segretario del Tesoro statunitense, John Snow fa bene dal
suo punto di vista a chiedere ai Paesi del G7 di aprire il
portafoglio per aiutare gli Stati Uniti e ci sarà qui
qualcuno che appoggerà la richiesta battendo il tasto della
solidarietà occidentale, ma magari pensando a qualche
appalto nella ricostruzione.

No. L’Italia dovrà occuparsi d’altro. Se qualche soldo va
stanziato, oltre a quelli necessari per i carabinieri da
inviare laggiù, lo deve essere solo per ragioni umanitarie,
non per ricostruire quello che con le bombe si è distrutto.
Ad esempio si dovrebbe intervenire per il problema da questi
anni continuamente sottolineato della mortalità infantile
enormemente cresciuta per via dell’embargo. Vale per noi e
vale per l’Europa.

E sarebbe bene mettere in chiaro questo aspetto subito per
evitare strumentalizzazioni. In questo dovrebbero concordare
tutti, di destra o di sinistra.
Red
                          



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