PD egemone con il 14,2% degli italiani. 6 su 10 non ne vogliono sapere

Dato democraticamente allarmante. Numeri reali (!!!): PD al 14,2%, FI al 4,6, M5S al 7,6 eccetera. Il futuro. E la Valle?

Sfatiamo 'la magia' dei sondaggi. Vediamo perchè

I sondaggi de La7
L'analisi parte dal dato normalmente trascurato o citato en passant, ovvero l'area del 'non voto'). Assumiamo, essendo una rilevazione a periodicità costante, il sondaggio del lunedì di Mentana nel TG de La 7 (EMGAcqua x La7).

L'area del 'non voto'
18 italiani in età di voto su 100 si dichiarano indecisi. 41,3 non vanno a votare. Il 2,4 ci va ma non scrive nulla sulla scheda, bianca era e bianca va nell'urna.
TOTALE: l'area del 'non voto' comprende ben il 61,7% degli italiani.

Le percentuali sui votanti
Le percentuali quindi che vengono attribuite ai diversi partiti sono calcolate sui votanti e quindi sul 38,3% del corpo elettorale. In base a questo, ci fossero elezioni politiche, verrebbe attribuita la rappresentanza parlamentare con un difetto di rappresentanza popolare. Vediamo.

Le percentuali sugli elettori
Partiamo dal maggiore partito, il PD cui il sondaggio attribuisce una percentuale del 37,1. In altri termini si tratta di quasi 4 italiani su 10 ma solo di quelli che hanno dichiarato la loro scelta. Passando ai numeri – omettiamo esempi per non infastidire il lettore – si sono pronunciati per tale partito poco più di 14 italiani su 100 elettori (14,2 per la precisione). Analogamente per gli altri, come di seguito:

PD 37,1  14,2%
SEL 4,1  1,6%
ALTRI CS 1,2  0,5%
FI 12  4,6%
Lega 15,5  5,9%
NCD UDC 3,2  1,2%
FI-AN 3,8  1,5%
M5S 19,8  7,6%
ALTRI CS 3,3  1,3%

Gli assenti...
Gli assenti hanno sempre torto recita un proverbio che qualcuno cerca di applicare all'argomento di cui dianzi. Non è così perchè quel 61,7% è 'una massa fluida' e non un complesso granitico. Togliamo pure, ma esagerando, un 20% di astensione considerando un ritorno alla fisiologia resta circa un 40% che non è affatto detto si distribuisca proporzionalmente fra le forze in campo.

Futuribili? Renzi
Un solo futuribile, stando così le cose oggi, si profila nel bene o nel male, legato al PD. Tale partito infatti con Renzi è quasi fulmineamente arrivato ad essere egemone, oggi ramificato in tutte le Istituzioni o quasi, avvantaggiato da uno sbriciolamento del centrodestra, innanzitutto in sofferenza da difetto culturale. Non solo ma con, al suo interno, un capo disinvoltamente egemone, con il non indifferente particolare della unificazione nella sua persona di Presidenza del Consiglio e Segreteria del Partito, con i soli precedenti di Fanfani 54 anni fa e, per breve periodo, di De Mita circa un quarto di secolo fa. Non basta. Per quanto persona ammodo e di buona caratura il Ministro degli Esteri non ha curriculum ed esperienza da sempre attributi dei titolari della Farnesina, quale fosse il colore politico del Governo. Come del resto già visto nei mesi scorsi ai ruoli citati si aggiunge dunque per Renzi anche uno di carattere internazionale.
Per le cose che contano ormai non va più il Ministro degli Esteri, -  quello dell'Europa! - va il Premier con i colleghi o bilateralmente o collegialmente

Quale allora questo 'futuribile'? Innanzitutto dal vocabolario Treccani: “Dopo il 1960, il termine è stato usato, per lo più nel plur. futuribili, per indicare l’oggetto di un particolare tipo di ricerca rivolta al futuro come «scelta» consapevole tra più futuri possibili, nel quadro di una visione globale e interdisciplinare, in contrapposizione al carattere settoriale delle previsioni tecnologiche”. Renzi dunque?

O oppure
La fluidità indicata dai sondaggi restringe al massimo il campo che dipenderà sempre più da Renzi. O si consolida ulteriormente e allora c'è con lui quel ventennio di ripristinata egemonia nel Paese, essenziale per lo sviluppo, di cui a diverse nostre analisi confinate negli oltre 20.000 testi dell'archivio da “La Gazzetta di Sondrio”, oppure alle elezioni del 2018, salvo oggi improbabili anticipi, lui torna a Firenze. Ad oggi previsionalmente prevale la prima soluzione, facilitata dall'assenza di alternative mature e di un frastagliato panorama parlamentare.

Il quadro istituzionale che comunque riguarderà gli italiani prossimamente appare una sorta di cimitero se riferito al passato con pochissime possibilità, novella Fenice, che dalle sue ceneri risorga l'Italia politica quale l'abbiamo conosciuta.
Profondamente mutata la Costituzione, spostato il baricentro del potere nel breve spazio di 100 metri esatti tra il portone della Camera in Piazza Monte Citorio e quello di Palazzo Chigi in Piazza Colonna, mummificato il Senato, umiliate le Regioni sottraendo loro la parte che per poco ancora hanno in comune con lo Stato e insidiate dalle aree metropolitane, liquidate le Province e ridotte a una specie di agenzia, tolti di mezzo i grossi Comuni finora co-protagonisti per il sensibile ruolo politico esercitato per via di un inevitabile condizionamento da parte di tutti i Comuni dell'area metropolitana, marginalizzati gli altri Comuni, asserviti di fatto i principali gangli burocratici il cerchio si chiude. Il dominus politico, il domus instituzionale ha tutte le carte per giocare l'altra partita, quella con i poteri forti, in una alleanza chiave di accesso a quel salotto buono d'Europa nel quale oggi siamo ridiscesi, rispetto a un quarto di secolo fa, nel ruolo al più di ospiti, e su invito.

E noi, in Valle
Tempi non facili. Spazi ridotti. Rappresentanza ridotta al minimo (avremo a Roma un solo rappresentante). Peculiarità di provincia montana e confinante dipendente dalla Regione, sì, ma quali deleghe può darci se la competenza in quello che ci interessa lo Stato se la riprende?
Spazi non facili anche perchè si pensa sempre meno, si dibatte sempre meno, si guarda in termini strategici sempre meno. In termini di realizzazioni concrete abbiamo fatto Bingo, anzi Bingone. Ma tempi duri se la cultura non alimenta la politica e se i Partiti, quasi tutti, somigliano sempre più a evanescenti creature tra l'ectoplasma e il fantasma.
GdS

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